sabato 16 marzo 2024

Roberto GALIA


Dire cose importanti in perfetto silenzio è un privilegio degli uomini veri – afferma Maurizio Crosetti su “Hurrà Juventus” del maggio 1992 –. Dirle senza urlare, in un calcio ricco di eccessi, è impresa titanica. Eppure, Roberto Galia percorre questo strano mondo da tanti anni ed è riuscito a non cambiare, a non fare deroghe. Il bello è che, la sua, non è l’umiltà un po’ appiccicosa e retorica dei vinti, ma una serenità che deriva dalla piena coscienza dei propri mezzi e dei propri limiti; una «scheda» personale che il centrocampista bianconero tiene a mente e usa come cartina di tornasole della realtà: «Mi conosco, so di non essere un fuoriclasse ma un giocatore prezioso forse sì. Ho cambiato diverse maglie, sono sempre andato d’accordo con i miei allenatori e sempre ho avuto la precisa sensazione di essere utile. Non è poco».
No, non lo è. Troppo comodo incantare le platee in virtù delle doti naturali, della classe indiscutibile. Se nasci Platini o Baggio, la vita puoi complicartela solo tu. Ma se nasci Galia, tutto è più difficile dall’inizio: «Me ne accorsi appena arrivato alla Juventus. Quando toccavo il pallone, dalle tribune si alzava una specie di mormorio che pian piano diventava contestazione aperta. Quella sfera mi bruciava tra i piedi; avevo paura di sbagliare, non ci capivo più nulla».
Altri si sarebbero smarriti. Avrebbero deciso che la Juventus non faceva per loro. Roberto ha continuato la scalata con lo spirito del gregario: «Devo ringraziare Zoff e Maifredi, cioè i tecnici che mi hanno dato coraggio a dispetto del giudizio generale. E aver convinto gli scettici è stata la mia vittoria più importante».
Galia è un mix di saggezza popolare e tenacia. Nato a Trapani ma cresciuto a Como, sintetizza il meglio di due anime. Altra impresa notevole, in tempi di leghe e beghe, nord-sud: «Sono legato alla Lombardia, però non posso dimenticare la mia terra. Le esperienze di vita e sportive mi hanno insegnato che in ogni luogo ci sono persone ricche di contenuti e degne di essere conosciute. Il razzismo è davvero un atteggiamento assurdo».
Esistono giocatori che ogni allenatore vorrebbe. Ecco, Galia ne è il prototipo: Perché sa soffrire, capisce la partita, è tatticamente sagace, difende e attacca. E ha due piedi più che dignitosi. Non a caso ha segnato, da centrocampista-difensore, quindici gol in Serie A. L’ultimo «importante», contro l’Inter, addirittura da antologia: scatto «alla Schillaci», pallonetto «alla Baggio» e palla in rete. Boato della folla, quella stessa che non poteva vederlo: «Segnare è sempre importante, tifa sentire bene: ed io sono abbastanza abituato a segnare».
E difatti la Juventus ha vinto la Coppa Italia del ‘90 proprio grazie a una prodezza di Galia, a San Siro contro il Milan. Oltre 250 partite in serie A, più di cento con la maglia bianconera. Eppure di copertine ne sono arrivate poche, di titoloni ancora meno. E ogni estate, il mediano gregario sente pronunciare il proprio nome tra quelli che potrebbero cambiare squadra. Salvo non cambiarla mai: «Sono abituato anche a questo e non ci bado, i giornalisti fanno il loro mestiere ed io credo che esista molta verità in quello che scrivono: ogni anno rischio di andar via, perché ci sono squadre e allenatori che mi vogliono».
Parole pronunciate senza un filo di presunzione o arroganza. Ma è un dato di fatto che quelli come Galia, contino più delle presunte stelle. Forza del cosiddetto «rendimento». O, per dirla con uno slogan pubblicitario, della «qualità costante nel tempo». «Il mio gioco» spiega Galia «ha pochissimi lampi e, quando mi riesce qualche numero a effetto, la gente si stupisce. È successo in occasione del gol all’Inter: nessun problema. Però io credo di offrire un contributo sicuro. I miei campionati non sono quasi mai condizionati da alti e bassi».
«È un giocatore ideale» spiega Trapattoni «perché con lui si va sul sicuro. Lavora con grande applicazione e altissimo senso professionale, non si fa mai trovare impreparato, è un titolare a tutti gli effetti anche quando non gioca. Ho sempre detto che per conquistare gli scudetti serve gente così. Un allenatore ha bisogno di certezze, deve poter ottenere un rendimento medio garantito: il principale segreto del successo è la costanza. Certo, poi devono scattare altri meccanismi, servono i colpi risolutivi, ma senza la base ogni discorso è inutile. Pensando alla squadra come a una casa, direi che Galia è un pezzo delle fondamenta».
Anche i compagni apprezzano questo siciliano di poche parole. «Come carattere siamo diversi» dice Tacconi «ma lo stimo molto. È un ragazzo intelligente, un gran lavoratore. E ha carattere. Roberto è sempre stato al proprio posto: una dote rara».
Esiste poi un’ultima qualità, forse la principale. L’educazione, la maturità di chi non ha mai fatto polemiche se relegato in panchina. La serenità di chi accetta di ricominciare daccapo ogni stagione, alla conquista di una maglia che, alla fine, arriva sempre, ma che non è affatto scontata. Anzi, è probabile che arrivi proprio perché rincorsa, sudata, voluta. Questi sono i silenziosi discorsi di Roberto Galia.

CAMILLO FORTE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’OTTOBRE 1992
È finito il periodo in cui Roberto Galia veniva definito il «tappabuchi» della Juventus: erano altri tempi, grami per lui, difficilissimi da superare. Eppure ce l’ha fatta. Ora i tifosi lo adorano, Trap lo stima e i compagni lo rispettano... Ed è arrivata anche la chiamata in Nazionale. Da tappabuchi e gregario a Principe Azzurro: un bel salto, una soddisfazione unica.
Galia nel club Italia in America. E, guarda la fatalità, negli Usa, si svolgeranno i prossimi Mondiali: non è il caso di correre con la fantasia, ma questo non è un pericolo. Roberto Galia ha sempre tenuto i piedi ben saldi per terra anche nei momenti più difficili, quando avrebbe avuto voglia (e forse il diritto) di prendere a pedate nel sedere qualcuno.
Acqua passata, certo. Però i ricordi restano e da questi il mediano ha sempre trovato la forza di reagire: «Guai se non avessi fatto così: a quest’ora non sarei più nella Juve. Invece ho lottato con tutte le mie forze per mantenere questa maglia che con il passare degli anni sento sempre più mia. Mi appresto a disputare la quinta stagione juventina ed evidentemente qualcosa di buono sono riuscito a farlo. Mai nessuno mi ha regalato niente e forse è stato meglio così».
Un tuffo nel film bianconero della sua vita è doveroso. Immagini già viste e riviste mille volte, le difficoltà incontrate, la valigia sempre pronta, poi puntuali le riconferme e il duplice trionfo in Europa (Coppa Uefa) e in Italia (Coppa Italia): «Vorrei fermarmi su questo punto. Evidentemente qualcuno si è già dimenticato di questi nostri due successi. E visto che nel calcio non si vive di soli ricordi, siamo pronti per vincere lo scudetto. A disposizione di questi fuoriclasse che sono arrivati, tutti di prim’ordine, metterò la mia esperienza juventina. Devono subito capire che cosa significa indossare la nostra maglia. Se lo apprenderanno subito, potranno togliersi parecchie soddisfazioni».
La concorrenza è agguerrita: mai come nel campionato 1992-93 ci saranno parecchie formazioni in grado di puntare al titolo, con il solito Milan sempre più competitivo, consapevole di avere una rosa imbottita di campioni: «Lo sappiamo benissimo...».
Non è una novità, certo. Dati di fatto, però, impongono doverose riflessioni. Bisogna capire, ad esempio, che cosa ha avuto il Milan della passata stagione in più rispetto alla Juve. Solo così si possono sferrare gli attacchi decisivi, vincere la... guerra e non soltanto le battaglie. Galia affronta il contraddittorio senza problemi. Del resto è abituato ad accettare le regole del gioco, anche se a volte possono far male. Non siamo di fronte a un processo, ci mancherebbe: «Iniziamo dicendo che del Milan non abbiamo mai avuto paura, semmai rispetto. Negli scontri diretti non siamo mai usciti con le ossa rotte e il più delle volte li abbiamo messi in seria difficoltà. Ma alla distanza sono stati più forti, niente da dire. A noi è mancato il colpo risolutivo, soprattutto in trasferta: certe partite bisognava vincerle per mettere paura al Diavolo».
Ora c’è la nuova Juve, rinforzata, bella a vedersi e ambiziosa: «I nuovi acquisti mi piacciono. Vialli segna con facilità anche in partitella, figuriamoci in campionato. Lui e Baggio, poi, s’intendono a meraviglia, una bella coppia. Ma attenzione ai vari Platt, Möller, Ravanelli, Rampulla e Dino Baggio. Siamo “coperti” in tutti i ruoli, adesso dipende esclusivamente da noi. Bisogna partire subito spediti, dimostrare che siamo una squadra che non teme nessuno. Poche storie: è all’inizio che si vincono gli scudetti».
Ha visto campioni che se ne sono andati, altri che arrivano... «E questa è la Juve, solo in un grande club come il nostro può esserci un via vai del genere. Ma adesso è diverso: con Boniperti e il Trap ci sentiamo tranquilli, quasi protetti. Loro sanno darci una carica incredibile ed è venuto il momento di ripagarli con le soddisfazioni che meritano».
Per loro, certo. Pure per i tifosi. Ma soprattutto anche per se stesso: «Il mio grande desiderio è quello di chiudere la carriera qui alla Juve e festeggiare tanti trionfi: magari da accarezzare quando avrò i capelli bianchi».
È lo spirito che piace tanto a Boniperti e non per niente Galia è da cinque stagioni a Torino, proprio per questo non è mai stato ceduto.
Il tempo per trasformare il suo sogno in realtà non gli manca. E conoscendo il suo carattere siamo sicuri che alla fine vincerà lui, così come ha fatto altre volte. La lotta, quella dura, non lo spaventa, nonostante il suo fisico asciutto e longilineo non sia quello di un corazziere: intanto non è più un «tappabuchi» (e forse non lo è mai stato...). Se Sacchi ha ancora bisogno di un giocatore con gli attributi giusti, sa dove trovarlo. Alla Juve, naturalmente. Da cinque anni lui è qui e, salutandoci, lo sottolinea ancora una volta. Basta con le parole: Galia non è tipo che ama parlare, preferisce i fatti ed è arrivato il momento di ruggire. L’attacco al Milan è cominciato.

I numeri di Roberto: 217 presenze e 11 reti, 1 Coppa Italia e 2 Coppa Uefa. E, non ultimo, il rispetto e l’apprezzamento dei tifosi bianconeri.

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