In Brasile c’è un proverbio – scrive Stefano Chioffi sul “Guerin Sportivo” dell’agosto 2024 – i pensieri positivi devono volare in libertà come le farfalle. Ottimismo e speranza: è il consiglio che Douglas Luiz, «o pescador dos sonhos», il pescatore di sogni, continua a dare ai ragazzi di Nova Holanda, dove tanti tetti delle case sono di lamiera e immaginarsi un futuro diverso sembra solo una bugia. Suo padre Edmilson Soares gli ha insegnato che la volontà, può avere l’energia del vento e spianare le dune. Ha un soprannome curioso: «o bigode», il baffo. Di notte aiutava il panettiere in un forno di Rio de Janeiro e la mattina faceva le consegne in bicicletta. Ogni tanto per arrotondare scaricava da un furgone la carne nei supermercati e collaborava con una ditta di taxi, portando i clienti a bordo di un pulmino, un vecchio Volkswagen Kombi di seconda mano. Così ha mantenuto la famiglia e quattro figli. Douglas Luiz ha due modelli: il suo papà, nato nello stato di Paraiba, a Sape, una zona famosa per le piantagioni di ananas, e sua mamma Maria Leda, che da ragazza aveva seguito un corso da parrucchiera.
Fiducia e dedizione sono le parole che racchiudono la storia di questo centrocampista, cresciuto in una favela chiamata Nova Holanda, nel «Complexo da Mare», 130.000 abitanti, nono quartiere più popoloso di Rio, dove ha imparato che nella vita bisogna sopportare a volte tanta pioggia per imparare a capire la bellezza di un arcobaleno. Si prepara a lasciare l’Aston Villa e il tecnico Unai Emery per abbracciare la Juve di Thiago Motta. Regista o mezzala: nove gol e cinque assist in Premier. Il club di Birmingham non frequentava il circolo della Champions da quarantuno anni. Mancava dal 1983, dai tempi del presidente Doug Ellis e dell’allenatore Tony Barton, l’erede di Ron Saunders. Era la mitica squadra di Gary Shaw, Peter Withe, Tony Morley, Des Bremner, Dennis Mortimer e Gordon Cowans. Nel 1981 aveva vinto la First Division e nel 1982 la Coppa dei Campion contro il Bayern di Kalle Rummenigge e Paul Breitner.
Raizes in portoghese significa radici. Un concetto che ricorre spesso nei ragionamenti di Douglas Luiz. Non ha dimenticato il punto di partenza, Nova Holanda, periferia nord di Rio de Janeiro. Emarginazione e povertà. In Inghilterra ha rilasciato un’intervista molto bella a «The Guardian». Ha toccato il tema delle discriminazioni sociali: «Se due persone cercano lo stesso lavoro e vantano lo stesso curriculum, ma una abita in una favela e l’altra vive in un barrio ricco della citta, per esempio, a ottenere l’impiego sarà quasi sempre la seconda. Senza un motivo».
Ogni mese da Birmingham spediva scorte alimentari e medicinali in un centro di raccolta a Nova Holanda. Adora la semplicità: la pesca, le partite a bowling, i videogame. Con i primi soldi guadagnati nel calcio ha comprato una casa ai suoi genitori a Pilares, di fronte al Norte Shopping di Rio. E poi un attico a Recreio, nella zona ovest. A Birmingham aveva preso in affitto un appartamento in un grattacielo di venticinque piani. Vetrate, divani alla moda, un tavolo da biliardo nel cuore del salone, davanti a una libreria. È fidanzato con Alisha Lehmann, svizzera, venticinque anni, calciatrice, influencer e modella, sedici milioni e mezzo di followers su Instagram, più di Roger Federer. Giocava nell’Aston Villa Women, ora ha scelto di seguirlo alla Juve.
Douglas Luiz ha lasciato tanti amici a Nova Holanda, respira ancora quell’aria. Torino è lontana 9.000 chilometri da Rio. «Quando tomo il mio compito è quello di dare speranza a tutti i ragazzi che sognano di essere un giocatore, un medico, un avvocato». I suoi tatuaggi somigliano a una mappa: sono la traccia del suo viaggio. Dietro l’orecchio sinistro c’è una frase in stampatello: «Favela Venceu», la favela ha vinto. E sull’indice della mano sinistra si è fatto disegnare un baffo, in onore di suo padre. Da bambino giocava nel ruolo di ala destra in una piccola accademia, «Escola Romarinho», a Marè, e nell’Olaria, insieme con il suo amico Italo. Poi aveva cominciato a farsi conoscere in un campo di allenamento che si trovava sulla Rua Jose Carlos, all’angolo con il Bar do Mustode. Il nome del club? Fla/Uevom: un progetto nato a «Vila Olimpica», in collaborazione con il Flamengo. Maglia rosso e nera. Il tecnico era Antonio Bezerra, un ex portiere di futsal. Suo papa Edmilson lo accompagnava con il Volkswagen Kombi. «Non arrenderti, passerà», gli aveva detto dopo l’esito negativo di un provino. Affetto e saggezza. A volte ci addormentiamo da poveri e ci svegliamo da ricchi.
Bocciato dal Flamengo e promosso dal Vasco da Gama, nel centro sportivo di Itaguaì. Un’intuizione di Pedrinho, ex terzino del Palmeiras, del Catania e della Seleçao. Il dirigente era Mauro Galvao. Dalla cartolina del Maracana allo stadio Sao Januario, dove ha trovato un ambiente speciale. Ha salutato Nova Holanda, si è trasferito nel college della società bianconera, al confine tra i quartieri di Bonsucesso e Ilha do Governador. A lanciarlo e stato Jorginho: era il 27 agosto del 2016, serie B, 1-1 in casa del Tupi, al campo Municipal Radialista Mario Helenio. Quattro giorni più tardi ha segnato il primo gol contro il Vila Nova. Ha lavorato poi con Milton Mendes e Cristovao Borges. Mentre a livello giovanile lo hanno seguito anche Felipe, Oliveira, Marcus Alexandre, Cassio e Rodinei. Nel Vasco era sbocciata l’idea di festeggiare i gol mimando i movimenti di un pescatore. Si è rivelato un grande affare per la gente di Sao Januario. Non è costato un centesimo e nel 2017 è stato ceduto al Manchester City per tredici milioni di sterline, dopo ventinove partite, tre gol e la promozione in A, nel Brasileirao. A portarlo all’Etihad Stadium erano stati Pep Guardiola e Philipe Boaz, dirigente del club inglese. Visite mediche e la cessione in prestito al Girona, controllato sempre da Abu Dhabi United Group. In Spagna si è fermato due anni: trentotto gare nella Liga e otto in Coppa del Re. Due allenatori: Eusebio e Pablo Machin.
Destro naturale, un metro e settantasette, ventisei anni, pressing, visione di gioco, tiro da fuori area, quindici convocazioni nella Seleçao: a farlo debuttare era stato Tite, ora è uno dei centrocampisti del CT Dorival Junior, che lo ha chiamato per la Coppa America negli States. Fisico e caratteristiche che ricordano un po’ Barella, come raccontano i cronisti di Birmingham. Nell’Aston Villa, che lo ha acquistato nell’estate del 2019 per 16,8 milioni, era lo specialista dei calci di punizione e dei rigori. Ritmo, eleganza, tackle, ventidue gol e ventiquattro assist in 204 partite. Emery è stato decisivo per la sua evoluzione tattica. Un percorso cominciato con Dean Smith e proseguito con Aaron Danks e Steven Gerrard, in attesa di incrociare il tecnico di Hondarribia, piccolo comune dei Paesi Baschi. Il suo idolo era Fernandinho, ex leader del Manchester City: ora ha trentanove anni e sta chiudendo la carriera nell’Athletico Paranaense. E cresciuto studiando anche Casemiro. Alla Juve e costato trenta milioni più i cartellini di Barrenechea e Iling Junior. Ha fatto parte della nazionale Under-23 di Rogerio Micale. Nel 2021 ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo. Era il Brasile guidato da Andre Jardine. Cinque presenze, quattro dall’inizio. Titolare nella finale contro la Spagna, battuta 2-1 nei tempi supplementari. Nel 4-4-2 giocava accanto a Bruno Guimaraes. Il capitano era Dani Alves. Antony si muoveva sulla fascia destra. Il centravanti era Richarlison.
DANIELE GALOSSO, DA TUTTOSPORT.COM DEL 30 APRILE 2025
L’albero che nasce storto non raddrizzerà mai il suo tronco. Douglas Luiz affonda le proprie radici in una favela di Rio De Janeiro, d’accordo, ma è un proverbio spagnolo a giungere in soccorso per tratteggiare l’affresco della sua esperienza alla Juventus. Una storia nata male. E una storia che ben difficilmente sarà in grado di offrire un lieto fine. L’ultima istantanea del tortuoso cammino in bianconero del centrocampista è cronaca di ieri, quando è affiorata e ben presto divenuta virale la sua piccata risposta social a un tifoso. «Ma sei venuto a Torino per giocare o per mettere i post su Instagram?», la provocazione che ha innescato una dura replica da parte dell’ex Aston Villa. Una replica di pancia sì, ma solo fino a un certo punto, alla luce della lunga e dettagliata risposta. Che, riguardo temi particolarmente dibattuti intorno alla sua figura, apre a più d’una “zona grigia”, tra detto e non detto.
Quali temi? La sua condizione fisica, per esempio. «Voglio che mi rispondiate: perché un acquisto come il mio non ha giocato due partite consecutive con questa maglia? – la sua domanda retorica – potete dire tutto quello che volete: “Oh, Douglas non è in forma”. Ma ho fatto tutto il pre-campionato e ho giocato ogni partita. E avevo appena avuto una delle migliori stagioni della mia carriera, in cui sono stato uno dei migliori centrocampisti della Premier League».
Frecciate che hanno quale evidente destinatario Thiago Motta, al timone della squadra in estate e nei primi mesi di un’avventura mai sbocciata per Douglas Luiz. Anche a causa dei ripetuti acciacchi, in realtà. Eccola, allora, la seconda tematica delicata. «Gli infortuni mi hanno ostacolato, è vero. Ma per quanto tempo sono rimasto in panchina anche quando ero in salute? Molto. E poi tutti questi infortuni non erano normali: non sono mai stato un giocatore che si infortuna, ma ci sono tante cose che potrebbero aver causato questa situazione e di ciò preferirei non parlare». A proposito di “zone grigie”, per l’appunto.
L’esternazione di Douglas Luiz, un vero e proprio sfogo ai tempi dei social, difetta semmai di risposte chiare e lipide, ma non lesina accuse e attacchi. Al punto da rischiare di diventare un punto di non ritorno all’interno di una vicenda che, in ogni caso, pareva già da mesi aver imboccato la strada dell’addio con reciproca soddisfazione in estate. Certo, a patto di trovare un club stimolante per il giocatore e disposto a mettere sul tavolo un’adeguata offerta per il club. Il Nottingham Forest, in piena lotta per un posto nella prossima Champions, potrebbe soddisfare entrambe le condizioni: è l’unica società ad aver già mosso passi concreti per anticipare la concorrenza, attraverso il direttore sportivo Edu Gaspar che è uno dei più grandi estimatori del centrocampista verdeoro, anche se ogni discorso di mercato è ancora prematuro.
L’evidenza, in ogni caso, racconta di un potenziale affare estivo che in vero affare non si è mai tramutato: l’operazione conclusa da Giuntoli, che aveva sfruttato le stringenti necessità dell’Aston Villa in termini di fair play finanziario per portare a Torino uno dei migliori centrocampisti della passata Premier, non ha pagato i dividendi attesi. Tra infermeria, panchine e una mancata continuità in campo (appena 799’ disputati in stagione) che ha finito per tarpare le ali al brasiliano anche quando chiamato in causa. L’ultima tappa del burrascoso cammino, in attesa di titoli di coda che paiono ormai scontata, è piovuta con l’ennesimo sfogo in stagione di un giocatore bianconero, dopo le parole di Danilo non appena firmata la rescissione a gennaio, dopo le uscite sui social dei vari Perin e Conceição. Se in quei frangenti si era trattato di velate insinuazioni, ascrivibili al campo delle interpretazioni, in questo le parole sono invece nette e pesanti. Al punto che la società nelle prossime ore non potrà non valutare eventuali sanzioni per il centrocampista brasiliano.
DAL “CORRIERE DELLA SERA” DEL 21 AGOSTO 2025
Si sblocca il mercato della Juve. C’è l’accordo con il Nottingham Forest per la cessione di Douglas Luiz: prestito oneroso con obbligo di riscatto per 30 milioni più bonus. Il brasiliano, atteso in Inghilterra nelle prossime ore per le visite mediche, firmerà un contratto di cinque anni, fino al 2030, a 5 milioni a stagione. Si chiude quindi la breve e deludente storia di Douglas in bianconero: arrivato la scorsa estate con grandi aspettative, Luiz è stato il secondo colpo più costoso del mercato (50 milioni pagati al club di Birmingham) ma si è rivelato un flop. Il bilancio racconta di 27 presenze per complessivi 877 minuti in campo, zero gol segnati, zero assist e due rigori causati (contro Lipsia e Cagliari) e una lunga serie di problemi fisici e incomprensioni. Fino allo strappo definitivo di fine luglio, quando il brasiliano non si è presentato al raduno di inizio stagione.

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