domenica 20 ottobre 2024

Wojciech SZCZESNY

 

23 dicembre 2017, Allianz Stadium di Torino: si stanno giocando gli ultimi minuti di un palpitante Juve-Roma. La truppa di Allegri è in vantaggio grazie a una rete dell’ex Benatia. Ma proprio il difensore marocchino commette una leggerezza e spalanca davanti a Schick (mancato promesso sposo juventino) una prateria verso la porta bianconera. L’attaccante ceco e tifosi giallorossi pregustano il dolce sapore del pareggio ma un grandissimo intervento di Wojciech Szczesny (pure lui un ex) salva il risultato.
Questo ventisettenne portiere polacco dal nome impronunciabile sta sostituendo nel migliore dei modi l’infortunato Buffon. È approdato in riva al Po in estate, proveniente dalla città del Colosseo, dopo una non breve parentesi all’Arsenal. È il titolare della Nazionale polacca, con aspirazione di diventare un Interior designer. «Quando andai a vivere da solo, a Londra, ero molto giovane e non avevo i soldi per pagarmi un architetto, arredai casa da solo e mi entusiasmai. Ora compro almeno una casa all’anno, a Londra o a Varsavia, e ne studio ristrutturazione e arredamento. Ho un’applicazione sul Mac che lavora in 3D, in Polonia ho preso un architetto a collaborare con me. Penso sia il mio futuro».
Ha sposato la signora Marina: di origine ucraina ma cresciuta in Polonia, è una cantante di successo. E Wojciech, appassionato di pianoforte e chitarra, ha scritto le parole del singolo “I do” del suo ultimo album. «È una cosa venuta così. Mi mandò, come sempre fa, la musica che aveva scritto, ed io ci passai la notte sopra perché sentivo di avere delle parole da metterci. Volevo solo farle una sorpresa, secondo lei il testo era buono e lo ha tenuto. Io non volevo che venisse fuori il mio nome, lei ha detto: è tuo, è giusto così. E così nel disco c’è “I do”, di Szczesny-Luczenko. La canzone parla di un amore tossico: lui ama lei, ma lei no. Non è autobiografico, per fortuna. Un giorno vidi un suo video e riuscii solo a dire: uh. Era la ragazza più bella che avessi mai visto. Non me la sono più tolta dalla testa e sono andato a cercarla, riuscendo a conoscerla attraverso amici in comune. E l’ho conquistata. Questa cosa mi ha dato un’enorme fiducia in me stesso, mai e poi mai avrei immaginato di mettermi con una come lei. È come vedere un film con Angelina Jolie, innamorarsene e venire corrisposti: quante volte può succedere?».
Il primo commento sul suo approdo in bianconero: «Sono molto, molto contento di essere qui. Aspettavo questo giorno da due tre mesi e sono molto, molto felice di essere qui. Ho parlato con Buffon è un ragazzo molto simpatico, una leggenda di questo club e del calcio italiano, quindi sono contento di poter allenarmi con lui. Ha molta esperienza e per me questo è molto importante. Sono pronto ad adeguarmi in base alle esigenze della squadra. Capisco perfettamente l’importanza di Buffon nel calcio italiano ma anche all’interno di questo club e lo rispetto moltissimo per questo. Sono qui per poter imparare, crescere ed essere alla sua altezza. Allegri? Non ho ancora parlato con lui, l’ho incontrato questa mattina, ma ci siamo soltanto incrociati. Non ho più vent’anni e questo è un passo avanti nella mia carriera: voglio vincere. Qui c’è sicuramente una mentalità vincente, tutti i trofei che ho potuto vedere, che sono stati vinti, sono stati lo stimolo che mi hanno spinto a scegliere la Juve».
«Tek», come è battezzato dai tifosi, alla fine della stagione totalizzerà una ventina di presenze, conquistando da protagonista lo scudetto e la Coppa Italia. «Ho vissuto una stagione strana, non mi era mai capitato di partire sapendo di non essere titolare. Ho fatto una scelta per il futuro, e se prima mi sembrava giusta oggi ne sono convinto. Si trattava di accettare l’idea di una novità».
Ora sulla sua strada c’è un’eredità da raccogliere non indifferente, il posto del numero uno dei numeri uno.

TUTTOSPORT.COM DEL 4 SETTEMBRE 2024
«Il mio corpo si sente ancora pronto per le sfide, il mio cuore non c’è più. Sento che è giunto il momento di dedicare tutta la mia attenzione alla mia famiglia». Una frase con cui Szczesny ha deciso di dire addio al calcio e di ritirarsi. Una vera e proprio scelta di vita quella che ha preso il portiere polacco qualche settimana fa. L’addio alla Juventus e i guanti appesi dopo l’Europeo giocato con la Polonia. Una scelta che l’estremo difensore ha maturato un anno fa e lo aveva comunicato anche alla società e al direttore Giuntoli. Una sorpresa per tutti i tifosi e non soltanto, per questo i bianconeri hanno deciso di dedicargli un momento speciale per prendersi il giusto affetto da parte dei sostenitori della Juve con un giro d’onore all’Allianz (ancora non è stata resa nota la partita). Intanto, Szczesny ha parlato della sua scelta al canale YouTube di Luca Toselli, creator di contenuti sulla Juve sui social.
Szczesny si è raccontato a cuore aperto dopo la scelta di lasciare il calcio. Proprio nell’anteprima pubblicata sui canali social proprio dallo youtuber ha raccontato un particolare aneddoto a riguardo: «Ero sorpreso, non me l’aspettavo ma l’ho vissuto con grande tranquillità. Se giochi sotto un certo livello ti aspetti di trovarti fuori progetto, ma questa cosa non l’ho mai immaginata. Ho parlato molto sinceramente con il direttore Giuntoli all’inizio della scorsa stagione. Ci siamo seduti in una stanza per tre minuti: lui mi ha detto “Tek voglio proporti il rinnovo” ed io gli ho risposto che al termine dell’annata (2025) mi sarei ritirato dal calcio perché non voglio più giocare».
Il racconto è poi continuato: «Dopo questo contratto volevo comunque ritirarmi quindi non aveva senso parlare di rinnovo. Potevo rinnovare e “rubare dei soldi”, ma sono stato onesto. Un paio di volte ha provato a chiedermi se fossi sicuro della scelta. Poi non ho sentito più niente, e leggo dai giornali che la Juventus ha preso Di Gregorio, un portiere che io stimo tantissimo, ma potevo immaginare uno scenario in cui Perin voleva andare via e lui era il secondo. Dopo la fine della stagione scorsa ero convinto di restare. Sentivo le notizie della trattativa con l’ex Monza, ma non mi aspettavo di restare fuori dal progetto. Quando l’affare si è chiuso allora abbiamo discusso della risoluzione: non è che qualcuno può spingere per farmi giocare l’ultimo anno della carriera al Monza, alla Fiorentina o al Napoli, con tutto il rispetto. C’erano delle possibilità prima della risoluzione, giusto che il direttore abbia provato a trovare una soluzione, ma io ero stato chiaro: quando avrei chiuso con la Juve, avrei chiuso col calcio. Se mi dici che la mia storia in bianconero è finita, finisco anche col calcio, non voglio lottare per la salvezza l’ultimo anno della mia carriera dopo gli anni che ho vissuto. Sentivo di poter dare ancora un anno alla Juve. È stata una scelta della società, non la condivido ma l’accetto. Non ho emozioni negative per il direttore o altri: provo rispetto per loro, han fatto la loro scelta e durante quel mese sono stati anche rispettosi nei miei confronti. Resto tifoso della Juve e basta».
L’estremo difensore, però, potrebbe tornare in campo per l’ultima volta con la Polonia: «Non mi piacciono gli addii. Stiamo parlando con la Nazionale della possibilità di giocare l’ultima partita. Spero anche di poter salutare la Juve e i tifosi allo stadio. Stiamo valutando quest’ipotesi».
Poi ha parlato di un aneddoto riguarda l’eliminazione in Europa League contro il Siviglia: «Lo ha detto Allegri, io non parlo bene l’italiano. Cosa devo dire? Se la gente non conosce Max... Lui per uscire dalla domanda dice una cazzata ed è fatta. Io non avevo criticato il mister dopo la gara, ma la squadra. Avevamo approcciato la partita in un modo pessimo ed era una semifinale di Europa League. Dovevamo avere il carattere di arrivare a una partita così importante con la gioia di giocartela senza difendere il risultato perché noi siamo la Juventus. Ero molto arrabbiato, io quella partita ho salvato il culo alla squadra: si è conclusa ai supplementari, ma poteva tranquillamente finire 5 o 6-1. Per quanto è bello fare belle parate, dopo la terza o la quarta ti arrabbi».
Szczesny, continuando a parlare dei suoi anni bianconeri, risponde al perché non abbia mai indossato la fascia di capitano: «Se so il motivo? No, non lo so. La mia sensazione è che può essere una masterclass di Allegri: lui sa che non gioco bene quando sono troppo carico. Quando faccio un discorso allo spogliatoio perché troppo motivato non gioco bene, lo sa lui e lo so io, ma non ci posso fare nulla: se voglio parlare, parlo. Ad esempio la bellissima partita in casa contro l’Atalanta dell’anno scorso, finita 3-3: qualche giorno prima ci avevano tolto i punti in classifica, e per tutta la settimana ero stato incazzatissimo. Perché una cosa è togliere i punti prima di partire, un’altra quando ti tolgono quelli che hai conquistato in campo: quelli sono sudati, come fai a togliermeli? Fammi partire già con la penalizzazione, che è un’altra cosa! Comunque tornando alla partita: ero arrabbiatissimo, faccio un discorso alla squadra prima della gara e dopo 5’ mi son buttato la palla dentro la porta. E secondo me, dopo quella volta lì, il mister ha capito che forse avevo bisogno di rilassarmi e di non avere responsabilità della squadra».
Se c’era chi come lui era taciturno, altri nello spogliatoio compensavano: «Io non parlavo molto. Ero molto amico con De Ligt, lui nella preparazione della partita era molto simile a me: ci facciamo i fatti nostri, non vogliamo sentire niente. C’era invece Bonucci che era l’opposto, ogni gara si caricava parlando con la squadra. Quando accadeva io e De Ligt ci guardavamo negli occhi come a dirci: “No, non ancora…” (ride, ndr). In campo parlavo per dare indicazioni ai difensori, non per caricare la gente: la motivazione o ce l’hai dentro o non te la può dare un’altra persona. Cosa ti posso dire io per farti dare di più?».
Szczesny, dopo aver accennato all’anno della penalizzazione, approfondisce il discorso. Il campionato 2022-23 fu a dir poco complicato per i bianconeri, con i punti di penalizzazione assegnati, poi revocati e infine dati in maniera definitiva. Un’annata difficilissima da gestire, come racconta Szczesny: «Due anni fa ero spesso arrabbiato per quello che stava succedendo: ogni tanto anche la gestione non ci faceva felici. E in quel momento mister Allegri è stato fondamentale: lui è bravo a gestire, e in quei frangenti hai bisogno di uno così, che sa scaricare le pressioni o farti arrabbiare nei momenti giusti, in questo è un maestro. Dall’esterno nessuno può capire la situazione, era una cosa assurda, e comunque abbiamo fatto bene in campo, raggiungendo il secondo o terzo posto: dipende se vogliamo contare quei due punti con la Salernitana… (riferimento al gol annullato a Milik nel recupero, con la gara poi finita 2-2, ndr)».
A proposito di quel famigerato match con la Salernitana: «Anche in quella situazione lì: una partita pareggiata così è incredibile. Io ho vinto in campo, poi vedi 2-2, ma avevamo vinto! Della posizione di Candreva che teneva in gioco Bonucci non me ne ero accorto: mi mandò il messaggio Milik appena tornato a casa. Io già ero arrabbiato per il gol che avevano annullato, perché per me Bonucci non disturbava il portiere: Sepe era fermo e Leo a un metro dalla porta, non la tocca neanche, come fai a dire che disturba? Quindi, dicevo, già ero arrabbiato, poi il messaggio di Milik con l’episodio di Candreva…».
Szczesny si sofferma sulle difficoltà del ruolo di portiere, facendo anche un esempio pratico: «È sofferenza a livello mentale: fisicamente fai qualche allenamento sofferente nel pre campionato, nella stagione è più lavoro tecnico. Invece in partita è tosto restare concentrato per tutti e novanta minuti, anche perché capita che spesso sei lì a non far nulla ma devi essere pronto a livello mentale. Ho guardato uno/due anni fa un’intervista dell’ex portiere dell’Arsenal, Ramsdale, dove diceva che lui non riusciva a farlo: poteva riuscirci per venti minuti, ma poi sentiva l’esigenza di uscire… Lì capii che era in difficoltà: ero convinto fosse un grande portiere, ma se non impari quella cosa lì che ti cambia il mondo… E infatti, un mese dopo, ha perso il posto in squadra e ora gioca al Southampton. Per me lui è un grande portiere, anche per struttura fisica, ma evidentemente non ha quella concentrazione per giocare in una squadra top. Quindi è una sofferenza, deve giocare tante partite e gestire i momenti della gara».
Poi il discorso si posta alle parate più belle, a partire da quella nella Juve: «Sicuramente quella dell’anno scorso su Nico Gonzalez, quando tira a giro. Ne feci una bella su Muriel su punizione, ma quella su Nico è la più difficile, la più bella. Muriel tira da punizione, e lì so che se supera la barriera devo fare un passetto, spingere e sperare: è semplice a livello di letture. Quella su Nico Gonzalez invece… Lì mi sono abbassato molto per quel tiro, conoscendo il ragazzo. Poi però la palla viene deviata da Danilo, e io la paro dietro di me: dare forza a qualsiasi deviazione con la mano dietro è quasi impossibile. A me poi piace la parata, come in quel caso, in cui tocchi la palla che poi va sulla traversa ed esce fuori: lì ti fa capire quanto sei stato al limite tra prendere gol e fare un miracolo. Poi su Nico l’ho fatta che stavamo vincendo per 1-0, quindi anche il momento della partita era molto importante. Inoltre era Juve-Fiorentina: una partita molto sentita… dai tifosi della Fiorentina (ride, ndr). Deciderla così è stato bello».
Ma qual è la parata più bella in assoluto? «Quella sul rigore al Mondiale contro l’Arabia, prima che giocassimo contro l’Argentina. Ho deviato male la palla sul rigore, ma poi l’intervento successivo… Non mi capita tanto, ma lì per lì ho pensato di aver fatto la palla più bella del mondo».
Si passa a parlare di idoli, e tra questi c’è ovviamente Gianluigi Buffon, con cui ha condiviso lo spogliatoio alla Juventus: «Gigi è molto diverso da me, vive della passione del calcio, è molto caldo mentre io sono molto freddo come calciatore, cerco di non avere emozioni. Siamo diversi, ma guardandolo è un’esperienza della vita. Quando ero ragazzino, avevo sedici anni e stavo per andare alle giovanili dell’Arsenal, vidi Gigi vincere il Mondiale del 2006: non ci speravo neanche di arrivare a un livello alto come quello della Juve o a un livello professionale in generale, ma condividere lo spogliatoio con lui è un sogno che mi è capitato».
E ancora: «Per me lui è stato il più forte della storia, ma nel 2006 era sicuramente il più forte del mondo. Esperienza meravigliosa, e non mi aspettavo di incontrare una persona così brava: è un uomo incredibile. Se pensavo di diventare l’erede di Buffon alla Juve? Macché! Nel 2010, nella mia prima stagione da titolare all’Arsenal, ho giocato contro Van Der Sar che era nello United, e già lì non capivo costa stesse succedendo. Poi, a proposito di idoli, ho giocato con Henry: tolti i portieri come Buffon e Schmeichel, è lui il mio idolo, per me è Dio come giocatore. Tornò in prestito ai Gunners dalla MLS, e pensai che stavo giocando con Dio».
Da Buffon a Perin e Pinsoglio. Parole al miele da parte di Szczesny: «Sono stati importanti per me per creare un ambiente che mi ha fatto giocar bene. Perin è un grandissimo portiere e per me molto sottovalutato, e non l’ho mai sentito lamentarsi per giocare, o dire cose tipo “Szczesny ha fatto una brutta partita a Sassuolo e devo giocare io”. Sempre il primo ad aiutarmi, lo senti quando uno lo fa perché è costretto o perché ti vuole bene: è sempre stato di grande supporto. Se io volevo riposare, lui giocava a livelli molto alti: nonostante sia arrivato un ottimo portiere Mattia sarà importante per la squadra, sia in campo che nello spogliatoio. Ci sono dei portieri che sono più predisposti a fare il secondo, io non l’avrei potuto fare. Se guardi alla mia storia alla Juve e in generale, sono stato il portiere più scarso del mondo nelle prime cinque giornate di campionato, perché non avevo il ritmo. L’amichevole non ti fa entrare nel mood partita. Fisicamente stavo bene, ma la palla andava molto più veloce per me: la mia coordinazione occhio-palla non andava ancora a quella velocità. Ma non potevo saltare le prime partite, perché se non avessi giocato quelle, le successive sarebbero state comunque le prime per me. Il secondo l’ho fatto un solo anno della mia vita, con Gigi, ma giocai comunque una ventina di partite».
Da Perin si passa a Pinsoglio: «Di lui non c’è neanche bisogno di parlare: Carlo è la definizione dell’uomo spogliatoio. Vuole tutti bene nella squadra: tutti hanno amicizie, ci sono gruppi, è normale che in venticinque persone ci sono quelli che ti senti più vicino. Carlo no, ha venticinque amici: e non è falso, è tutto vero, incredibile. Poi lui è un buon portiere: secondo me potrebbe tranquillamente giocare nella parte medio-bassa della Serie A. Carlo a Verona farebbe bene: magari non è un portiere da titolare al Milan o alla Juve, ma in altre squadre sì».
L’ex portiere bianconero spiega per lui cosa ha rappresentato la società: «La prima parola che mi viene in mente è famiglia. Vero che è un business, che si gioca per vincere, ma è una famiglia. La prima volta a Villar Perosa, dove parlai molto con Andrea Agnelli – che per me è stato un riferimento molto importante e lo è ancora, lo sento tanto tutt’ora – è stata assurda. Arrivi alla Juve, una delle migliori squadre del mondo, e dopo una-due settimane vai in quel piccolo campo a Villar Perosa con le leggende bianconere, e pensi che Zidane e Platini hanno giocato in quel campetto lì. E a fianco avevo Higuain, Dybala, Buffon… Ti fa capire che non è solo un business. Alla Juve contano le vittorie, sono importantissime, ma il senso di responsabilità che ha creato la famiglia Agnelli è bellissimo: senti pressione, ma anche tutto il loro supporto. Dovrei ringraziare tutti loro e l’ho fatto anche con Andrea quando ho smesso di giocare a calcio, è stato uno dei primi che ho chiamato: gli stimoli che mi dava lui sono stati importanti, fare sette anni ad alto livello alla Juve non è semplice».
Ma Szczesny ha qualche rimpianto in carriera? «No, o forse uno solo. Ma non è un rimpianto, è una cosa che mi piacerebbe fare in un’altra vita: fare tutta la carriera all’Arsenal. Da piccolo tifavo per loro, dover andare via da lì è stato il momento più duro della carriera. Andai via da tifoso, buttato fuori: sapevo di essere ancora in grado di giocare lì. Ma poi, per il resto, non ne ho. Sono venuto in Italia, ho giocato due anni alla Roma e sette alla Juve. E soprattutto quello vissuti a Torino sono stati una sfida personale, non semplice, ma che ho fatto meglio di quanto mi aspettassi. Quando ti capita la sfida della vita e la affronti meglio di quel che pensavi sei soddisfatto. Ecco, forse un rimpianto è quello di non poter aiutare la squadra quest’anno. Ma questo non è dipeso da me. Rammarico per il mancato giro di campo? Non potevo farlo, essendo convinto che avrei fatto parte della Juve anche l’anno dopo... Non so se l’avrei voluto, anche perché non mi piacciono gli addii. Giocare l’ultima partita in bianconero, consapevole che fosse l’ultima, non sarei capace. Magari è giusto sia finita così. Ci potrebbe essere l’ultima con la Nazionale, stiamo parlando, e già ho paura per quella... Se saluterò la Juve in qualche modo? Spero di sì. Stiamo parlando con la società di una data per il saluto allo stadio, quando mi diranno di andare andrò. Questa del saluto è stata un’idea della società, io sto aspettando: se mi dicono di presentarmi domani a Torino, vado».
Nel messaggio di addio Szczesny ha scritto «la testa era pronta, il cuore no». L’ex portiere spiega: «Parlando di cuore, parlavo di una nuova sfida. Pensare di spostare la mia famiglia di nuovo… Non ne valeva la pena. Spostare tutti, col figlio che deve andare a scuola e con una piccola di due mesi. Non ce la facevo. Ho anche aspettato due settimane per capire se potesse arrivare un’offerta eccitante, che mi desse lo stimolo necessario a cambiare idea. Ho parlato anche con squadre importantissime in Europa: se rifiuto quelle squadre lì, vuol dire che… Quali squadre? Non ha senso dirle, ci sono alcune che poi non hanno trovato altri portieri e non vorrei mettere in difficoltà i colleghi che stanno giocando in quei club ora. Tante di queste società mi han chiesto di fare il secondo, ma vale lo stesso discorso fatto prima: non ho mai fatto il portiere di riserva, perché farlo ora? Per guadagnare uno-due milioni di più? Ne ho già, ho una bella casa. Quindi a un certo punto, dopo aver rifiutato squadre importantissime ho capito che non c’ero più».
Uno degli aspetti chiave per l’ex portiere bianconero è lo spogliatoio: «Quante cose escono fuori? La maggior parte sono falsità. Pare sappiate più voi di noi a volte... Sono pochissime le cose che escono fuori dallo spogliatoio, e ti dico meno male! Quando capita vuol dire che qualcuno parla. Fortunatamente non ho mai saputo da chi...».
Tek ha lasciato i bianconeri, ma continua a seguirli da casa: «Io non guardavo tanto calcio: capitava in ritiro con la squadra che vedevamo la Serie A o la Champions, ma stare a casa a guardare la partita non è da me. Ora però sono a casa col piccolo che vuole vedere le partite, e quindi quando gioca la Juventus le vedo. Nelle ultime tre settimane ho guardato tre partite: Juve-Como, Verona-Juve e Juve-Roma, e quest’ultima neanche tutta perché non è stata bellissima. Ovvio che seguo la Juve, così come seguo l’Arsenal: quelle due società han fatto parte della mia storia calcistica e come uomo. Deve passare ancora tanto tempo per seguire queste due squadre. Ero preoccupato all’inizio perché la rosa mi sembrava davvero molto molto corta a un certo punto, ma la vedo bene. Hanno fatto un grandissimo lavoro: non mi aspettavo un mercato così buono. Mi aspettavo Koopmeiners, la Juve ne parlava da sei mesi, ma poi i vari Nico Gonzalez – che per me è un grandissimo calciatore e farà molto molto bene – Douglas Luiz che è uscito dal nulla. Ci sono dei rinforzi importanti. Sono un po’ sorpreso sulle uscite: uno come Chiesa non me lo aspettavo via. Posso capire vista la situazione contrattuale, ma non me l’aspettavo».
Dal mercato al gioco e alla situazione fascia da capitano: «Mi piace come gioca la Juve: nell’ultima no, ma nelle prime due partite tanta tanta roba. Gatti capitano? Non me l’aspettavo (ride, ndr). Non lo so… Sta anche crescendo, sta facendo bene, quindi magari questa cosa l’aiuta. Ma dire che oggi Fede è un capitano della squadra no: ci sono tanti altri come importanza a livello dello spogliatoio. Lui come uomo e giocatore bravissimo, ma ci vuole anche esperienza nei momenti difficili. Ora è tutto bello perché stanno vincendo le partite e sono in testa al campionato, ma poi quando capisci l’importanza di un uomo come Danilo… Avere in campo la fascia di capitano è una cosa, essere capitano un’altra. Mi sorprende che Danilo non stia giocando, ma resta un capitano, e anche se dovesse giocar meno resta un uomo incredibile: sarà importantissimo per la squadra. Poi Savona sta facendo benissimo, magari Danilo è un po’ in ritardo di condizione, ma comunque non ho dubbi che sarà importantissimo».
In due stagioni Szczesny era convinto di vincere la Champions: «L’anno dell’eliminazione col Real Madrid al Bernabeu e quello in cui ci eliminò l’Ajax. Quella stagione arrivò Cristiano, c’era grande entusiasmo dopo la gara con l’Atletico Madrid. Poi mi guardavo attorno e non vedevo una squadra più forte della Juve. La sfortuna è che ci capitò l’Ajax, quella gara di ritorno fu un incubo. Loro sono, tra virgolette, una squadra piccola in Champions. Non ci fecero toccare la palla... Ero incredulo: era arrivato Cristiano al massimo della forma, la squadra era fortissima, mi domandavo perché anche in quella partita ero io l’uomo più importante visto che avevo fatto due-tre parate bellissime. De Ligt segnò per l’Ajax il 2-1, e dopo quel gol non abbiamo fatto un’azione da calcio: ci hanno distrutti. Ci sono tanti motivi, anche qualche assenza come quella di Chiellini. Però con la squadra scesa in campo ero convinto di passare il turno e vincere la Champions: l’Ajax, passato con noi, affrontò il Tottenham. E gli Spurs in finale trovarono il Liverpool, in quella penso sia la finale più brutta nella storia della Champions League. Peccato... Avevamo Cancelo, Douglas Costa, Dybala, Ronaldo, Mandzukic: tutti i più forti d’Europa, su tutti CR7 che in quella competizione conta abbastanza. Quell’eliminazione l’ho sofferta perché ero convinto di vincere: tra l’altro era il mio primo anno da titolare alla Juve, e feci bene in Europa. È andata così».
Proseguendo a ritroso il racconto dell’eliminazione al Bernabeu contro il Real Madrid. A un passo dai supplementari, rigore per i blancos, Buffon espulso per proteste e Szczesny che entra all’ultimo nel tentativo (poi vano) di parare il tiro dal dischetto di Cristiano: «Io ero seduto in panchina, c’erano due file. Io ero nella seconda, con le gambe rilassate per novanta minuti: il portiere non pensa mai di poter entrare: fai il secondo, dici che sei pronto, ma non ti prepari per giocare la partita. Quando ho visto Gigi espulso son passati due secondi per capire la situazione, poi ho pensato “Ah, entro io allora?! Ma come entro io al 93° per parare il rigore a Ronaldo per passare il turno, ma stiamo scherzando?”. Mi son riscaldato per un minuto. Con Claudio Filippi facevamo una preparazione ai rigori molto importante. Ci sono state delle partite dove eravamo convinti di sapere dove un rigorista avrebbe calciato. Lì al Bernabeu mi sono alzato, ho guardato Claudio e gli ho detto: “Apre il tiro, vero?”, e mi ha risposto di sì. Non c’era tensione, ero convinto di poter parare. Al 93°, sotto per 0-3, sai che Ronaldo calcerà il rigore nel modo in cui si sente più sicuro. Penso di entrare ed essere l’eroe della serata... E invece, anche se il lato era giusto, l’ha messa sotto il sette. Avrei potuto mettere me, Buffon, Perin e Pinsoglio tutti e quattro insieme in porta e comunque entra. Lì capisci l’importanza del giocare, il carattere di metterla lì con così tanta pressione: non è roba da uomini ma da robot, e lui è un robot. Bravo lui».

Il saluto del sito ufficiale juventino: «Era il luglio del 2017 quando Tek, così abbiamo tutti imparato a chiamarlo, faceva la sua prima conoscenza con l’ambiente juventino, dopo la parentesi di due stagioni in prestito alla Roma, con la quale si è affacciato per la prima volta al calcio italiano, approdando a Torino da Londra, sponda Arsenal. Da quel giorno il feeling fra Tek e il mondo bianconero è scoccato all’istante: sorrisi, passione reciproca ma soprattutto, passando al rettangolo verde, una vera e propria certezza tra i pali. 252 presenze in gare ufficiali con la maglia (ventitré per una stagione, poi numero uno) della Juventus, 200 delle quali in Serie A: quest’ultimo traguardo gli ha permesso di diventare il settimo calciatore straniero a raggiungere quota 200 apparizioni (dalla stagione 1994/95) con i nostri colori. 100 clean sheets (103 se si contano anche le gare in cui non è rimasto in campo integralmente), nove rigori parati fra Serie A (otto su trentuno fronteggiati) e Champions League e una percentuale di parate del 73% che lo piazza al primo posto in Serie A dal suo arrivo a Torino in questa speciale classifica. E poi i trofei, otto in totale in questi suoi sette anni di militanza in bianconero: tre campionati italiani, tre coppe Italia e due supercoppe italiane. In un attimo Tek ha conquistato gli juventini del mondo e siamo certi che tutti noi porteremo sempre nel cuore l’uomo e il professionista che ha indossato con orgoglio e impegno la nostra maglia. Grazie di tutto Tek e in bocca al lupo per il futuro!».

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