giovedì 31 dicembre 2020

Mattia DE SCIGLIO

 

Mattia De Sciglio approda in riva al Po nell’estate del 2017, per dodici milioni di euro, e ritrova in panchina Allegri, colui che l’aveva lanciato al Milan. Debutta con la casacca bianconera il 13 agosto, subentrando nel secondo tempo della partita di Supercoppa italiana persa 3-2 contro la Lazio. Purtroppo, proprio un suo svarione difensivo causa il gol vittoria dei laziali. Il 12 settembre esordisce in Coppa dei Campioni, nella prima partita della fase a gironi, persa 0-3 contro il Barcellona al Camp Nou; nel corso della gara rimedia una lesione all’articolazione tibio-peroneale che lo terrà fuori per due mesi. Il 26 novembre 2017 realizza il suo primo gol tra i professionisti, nella partita di campionato contro il Crotone vinta per 3-0 all’Allianz Stadium. A fine stagione, conquista il primo scudetto e la prima Coppa Italia con la maglia della Juventus.
Nella sua seconda annata con la Vecchia Signora, anche a causa dell’infortunio del titolare Cancelo, acquista maggiore spazio in squadra. Il 16 gennaio 2019, senza scendere in campo, vince la sua terza Supercoppa italiana grazie alla vittoria sul Milan. Il 20 aprile, dopo il 2-1 alla Fiorentina, vince il suo secondo scudetto di fila con i colori bianconeri.
Nella stagione 2019-20, il suo apporto è limitato, anche per causa di un lungo infortunio al bicipite femorale; tuttavia a fine stagione conquista il suo terzo scudetto consecutivo con i torinesi.

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De Sciglio è stato un giocatore molto promettente all’inizio, che poi ha normalizzato la sua parabola. Ha giocato 133 partite con il Milan, cinquantanove con la Juventus, trentanove in Nazionale. Il suo ruolo è uno di quelli più difficili da interpretare oggi, ma soprattutto uno di quelli in cui c’è il maggiore scarto qualitativo tra i migliori interpreti e la media. In Italia, ad esempio, quanti terzini sono nettamente più forti di De Sciglio? Così, a naso, non moltissimi.
I suoi limiti tecnici e atletici sono evidenti e a ventisette anni è improbabile che riuscirà a migliorare. Solo negli ultimi anni ha compiuto diversi errori che hanno portato a gol subiti (il tipo di errore peggiore). Ma non è questo il destino dei difensori? A pensarci bene, è pieno di terzini che sbagliano diagonali, si perdono l’uomo sul secondo palo, cadono a una finta di troppo. Questo perché già difendere è difficile, difendere partendo dall’esterno poi lo è ancora di più.
Certo, De Sciglio sembra già un terzino sorpassato dalla storia e le sue prestazioni forse hanno dimostrato che non può essere il titolare di una squadra che ha le ambizioni della Juventus. Neanche lo scopo di questo pezzo era riabilitarne la figura, ma al tempo stesso non posso fare a meno di chiedermi: siamo sicuri che la quantità di critiche, offese e improperi che riceve siano tutti motivati dalle sue prestazioni?
Non è possibile che queste siano dovute e accentuate dal suo essere Mattia De Sciglio? De Sciglio, mi sembra, è vittima della sua normalità.
Ai tempi «dell’agguato» dei tifosi del Milan, Monica Colombo sul Corriere della Sera ha scritto che «non ha mai avuto l’aria truce alla Bonucci». Quando gli hanno chiesto come si concentrava, lui ha risposto: «Non sono come gli altri che lo fanno ascoltando musica. Penso molto, inizio a pensare alla partita e alle varie situazioni di gioco». Alla prima convocazione in Nazionale si presentò a Coverciano a piedi, accompagnato dai genitori. A «Le Iene», per fargli uno scherzo, gli hanno fatto sparire il gatto. Per venti minuti lo vediamo struggersi, cercarlo tra le macchine parcheggiate, non dormire la notte.
Dopo aver segnato il suo primo gol ha detto che non sapeva neanche come esultare, in quell’occasione Buffon uscì dalla porta per andare da lui e dirgli: «Allora ci sei anche tu». E la colpa più evidente di De Sciglio è proprio questa, che sembra non esserci davvero. De Sciglio ha il potere poco conveniente di scomparire dietro il contesto, una caratteristica che solo gli allenatori finiscono per apprezzare in qualche modo (e infatti i suoi allenatori sono gli unici a parlarne bene).
Tra infortuni, personalità e caratteristiche tecniche, De Sciglio è invisibile quando gioca bene e visibilissimo quando fa qualcosa di negativo. Lui non sembra ancora averlo accettato con serenità, recentemente ha detto «Sono stato massacrato parecchio. È più facile accanirsi contro di me, ma non capisco il motivo».
Più che cercare un motivo, De Sciglio dovrebbe farsene una ragione: per alcuni giocatori esistono dei pregiudizi insormontabili che finiscono per influenzare i tifosi. Chi non dovrebbe farsi influenzare, per il suo bene, è invece De Sciglio. In fondo, il calcio non è tutto.

Il 5 ottobre 2020 viene ceduto in prestito all’Olympique Lione. Debutta con i francesi il 18 ottobre successivo, subentrando a gara in corso nella vittoria in trasferta per 3-2 contro lo Strasburgo. A Lione ritrova una buona continuità di rendimento, totalizzando trentatré presenze stagionali. «Una scelta che rifarei mille volte perché è stata una vera esperienza di vita, sono stato benissimo. Ho imparato a giocare in un calcio più rapido, dove anche le piccole squadre si giocano le proprie chance, senza limitarsi a difendere. Sono tornato a divertirmi giocando e oggi ho più fiducia nei miei mezzi. Da noi siamo sommersi ogni giorno dalla pressione dei media e dei tifosi. In Francia, una volta finita la partita, anche se è arrivata una sconfitta, si pensa a quella dopo senza esasperazione. Il calcio è vissuto più serenamente. All’estero i giovani sono pronti prima di noi a giocare partite importanti. L’ho visto in Francia: lì i ragazzini sono coraggiosi, non hanno paura di provare un uno contro uno perché gli errori sono concessi. Un giovane italiano è idolatrato al primo match giocato bene e massacrato al primo errore. E poi, anziché riprendersi, si perde. So che tanti giovani hanno timore di lasciare l’Italia, ma è un peccato: sono esperienze che arricchiscono tantissimo».
Nell’estate del 2021 ritorna in pianta stabile alla Juventus, dove ritrova per la terza volta in carriera Allegri, anche lui «cavallo di ritorno» in bianconero. Non trova molto spazio, anche a causa di un ennesimo infortunio, ma ha comunque modo di mettersi in evidenza con assist decisivi nel big match interno contro la Roma e in Coppa dei Campioni, sul terreno dello Zenit San Pietroburgo. Il 9 gennaio 2022 trova la sua seconda rete in carriera, quella del definitivo 3-4 che vale il successo esterno nella rocambolesca vittoria contro la Roma.

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Il Milan, la Juventus, il rapporto con Max Allegri, la depressione: Mattia De Sciglio si racconta a 360 gradi e a cuore aperto ai microfoni di «Cronache di spogliatoio». Il legame e le dinamiche personali col tecnico livornese rappresentano il centro del discorso. E il terzino bianconero ci tiene a dire le cose come stanno: «Prima di parlarvi di Allegri, voglio chiarire che non sono il suo figlioccio. Il nostro è uno dei rapporti allenatore-giocatore più importanti degli ultimi anni, ma lui non mi ha mai favorito».
De Sciglio non ha alcun dubbio: con Allegri è nato un legame speciale. «Pretende tanto da me, e sono uno di quello che massacra di più. A lui piace dare nomignoli a tutti i calciatori, e quando vuole colpirmi nell’orgoglio mi chiama “Mangia e dormi”. Perché dice che sostanzialmente io mi alleno, mangio e dormo. E basta».
Il pragmatismo di Allegri «viene visto come un difetto – sottolinea il calciatore – in tanti si mettono negli occhi il bel calcio, guardano Guardiola e puntano il dito. Ma mica tutti sono come Guardiola. Pep è unico nelle sue idee e nel modo di mettere in campo la squadra, di inventare ruoli. La gente si è messa in testa che tutte le grandi squadre devono giocare bene, ma questa è una contraddizione. In Italia si tende a guardare il risultato, poi però si parla del bel gioco. E molto spesso le due cose non vanno di pari passo».
Da Torino a Milano, da un allenatore a un altro. De Sciglio parla della parte del suo passato in rossonero: «Il Milan era il mio carica-batterie, eravamo sempre connessi e stavo al cento per cento in ogni momento. C’era Boa, c’era Ibra, e soprattutto c’era il mister».
Ma poi è arrivata la rottura con l’allora allenatore Vincenzo Montella, a partire da un momento preciso e indelebile nella memoria del terzino. «Alzo la testa e vedo che sulla lavagnetta luminosa c’è il numero due, il mio. Non ho molto tempo per realizzare, perché 70.000 persone iniziano a fischiare. Sono stato dato in pasto ai leoni, quella è stata l’inizio della fine. I fischi sono talmente forti che non riesco a pensare. Mi sedo in panchina e vengo sopraffatto da vampate di calore, di rabbia. Ribollo. Ero stato gettato nel vortice, messo nel mezzo e dato in pasto ai tifosi per lavarsene le mani. Ero incazzato».
L’esperienza si rivela terribile sotto tutti i punti di vista. «Raggiungo i miei genitori nel garage dello stadio, dove mi stanno aspettando per tornare a casa. Salgo in macchina e imbocchiamo il tunnel di uscita. C’è un po’ di coda, mio padre frena e si mette in fila. Un tifoso, con in mano una birra e chissà quante altre bevute prima, si avvicina e grida: “C’è De Sciglio”. Inizia a insultarmi, poi arrivano altre persone che urlano: “Vattene alla Juventus”. Mio padre scende dalla macchina e prova a calmarli, ma loro iniziano a spintonare».
De Sciglio sceglie di agire e sfiora la rissa con alcuni supporter rossoneri. «A quel punto non ci ho visto più. Buio, tutto nero. Sono sceso e ho fatto l’errore di reagire. Non sono riuscito a tenermi dentro tutte le emozioni che vivevo. Ho sbagliato, ma avevo visto i miei genitori tirati in mezzo a questa storia. Una storia terribile».
Quella parentesi è stata per De Sciglio una delle peggiori, caratterizzata anche da tanti problemi fisici. Ma, soprattutto, dal pericolo vivissimo di finire in depressione. «Non ho avuto problemi gravi, tutti stop di qualche settimana: tornavo, e dopo due partite mi fermavo nuovamente. Sono iniziate le critiche della stampa e dei tifosi. Mi hanno ferito, facevano male. Si era creata un’immagine distorta, e anche quando facevo delle partite positive, saltava fuori un pretesto per attaccarmi. Mi sono chiuso in casa. Mi sentivo in difetto anche nell’andare a cena con la mia fidanzata a metà settimana, oppure portare fuori mia madre».
Una sensazione orribile: «Mi mancava la felicità. Ho sfiorato la depressione, uno stato in cui nessuno si accorge di entrare. Ho imparato a lavorare con la testa attraverso un lungo percorso che mi ha permesso di capire chi sono veramente, e che se sono arrivato a certi livelli è perché me lo merito».

Nel maggio del 2023 viene sottoposto a un intervento chirurgico di ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro dopo essersi infortunato durante una partita di campionato. Torna in campo il 30 marzo dell’anno successivo giocando solo il primo nella gara persa con la Lazio per 1-0. Questa rimane la sua unica presenza in stagione, al termine della quale finisce ai margini della rosa dopo l’addio di Allegri e l’arrivo di Thiago Motta il quale decide di non convocarlo per il ritiro estivo. E, quindi, l’approdo all’Empoli dopo aver totalizzato 117 partite e due gol in bianconero.

Il suo saluto: «Dopo tanti anni è difficile lasciare un posto che era diventato casa. Le emozioni sono tante, ho conosciuto persone incredibili che lavorano ogni giorno dentro alla Continassa, ho avuto la fortuna di vivere lo spogliatoio con compagni che per me sono diventati una seconda famiglia, ci sono state gioie grandissime per i trofei vinti, ma anche momenti difficili, e ci tengo a dire che ho sempre dato tutto me stesso per questa maglia, non posso che essere orgoglioso. Tutto questo mi ha fatto crescere come uomo e come calciatore. Grazie a tutti quelli che mi hanno sempre supportato, per me è stato molto importante. La Juventus e questa città rimarranno sempre nel cuore mio e della mia famiglia perché sono diventate casa nostra».

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