martedì 20 settembre 2016

Nicolas ANELKA


Arriva a Torino il 30 gennaio 2013 a parametro zero, lasciando parecchi dubbi e mille perplessità tra i tifosi che sognavano un vero top player. Il suo ingaggio non convince nemmeno gli addetti ai lavori, che lo considerano un giocatore troppo discontinuo e sul viale del tramonto. Sceglie la maglia numero diciotto ed è inserito nella lista per la fase finale di Champions League. Il 12 febbraio 2013 fa il suo esordio con la maglia bianconera nella gara di andata degli ottavi di finale di Champions League giocata a Glasgow contro il Celtic, subentrando all’86° minuto a Mirko Vučinić e diventando il calciatore ad aver giocato con più maglie diverse nella massima competizione europea (sei squadre diverse) insieme a Zlatan Ibrahimović.
Il 16 febbraio successivo, nella partita persa 1-0 all’Olimpico contro la Roma, debutta nel campionato italiano, subentrando ad Arturo Vidal al 71’. Dopo un presunto litigio con il mister Conte per averlo escluso nel match di Champions League contro il Bayern, Anelka non rivede più la via del campo fino all’8 maggio, nella vittoriosa trasferta di Bergamo, contro l’Atalanta. Pochi minuti in una partita di nessun valore, essendo già in cassaforte lo scudetto bianconero. Tre presenze e nessuna rete per il francese, che è lasciato libero al termine della stagione.


PAOLO ROSSI, “HURRA JUVENTUS” MARZO 2013
Quando si va all’estero per ragioni professionali è bene predisporre un buon curriculum. In fondo, è la condizione di partenza, il presupposto grazie al quale mettere un po’ di cose in valigia e lanciarsi in una nuova avventura. Il cosiddetto bagaglio d’esperienza può avere, però, pesi diversi: essere ingombrante se non hai capacità di guardare avanti o (peggio) se coltivi pregiudizi sulla destinazione; oppure, assumere una forma di assoluta leggerezza, che ti spinge alla curiosità verso la nuova meta. Il caso di Nicolas Anelka rientra perfettamente nella seconda categoria. Nel corso del nostro incontro ha minimizzato il suo passato, sul quale pure ci sarebbe da vivere di rendita per la qualità e l’importanza dei club nei quali ha giocato; piuttosto, a muovere i suoi pensieri c’è un termine (“viaggiatore”) che abbraccia insieme la sua carriera multiforme e anche il suo modo di stare in campo:
«Credo che agli allenatori piacciano di me due caratteristiche: non sto fermo ad aspettare il pallone, torno indietro a cercarmelo per costruire la manovra. E voglio vincere, non mi risparmio per arrivare all’obiettivo».
Il calcio è una passione di famiglia. Si vedono i fratelli più grandi correre dietro a un pallone ed è immediato il feeling con quella bellissima sfera che fa sognare. A ogni latitudine, in qualunque luogo, per l’appunto, magari con le cuffiette in testa per accompagnarsi al ritmo dell’hip-hop nei tanti chilometri fatti. Paris Saint-Germain, Arsenal, Real Madrid, di nuovo Paris Saint-Germain. E ancora: Liverpool, Manchester City, Fenerbahçe, Bolton, Chelsea, Shanghai Shenhua, Juventus. Un giro del mondo in dieci squadre, si potrebbe intitolare così un suo libro di memorie. Francia, Inghilterra, Spagna, Turchia, Cina e Italia, dove sarebbe potuto arrivare molto tempo prima, nell’estate del 1999 (lo stimava Ancelotti, mister juventino dell’epoca e lui, oggi, sorride ammettendo che l’idea lo stuzzicava, era molto più che un’ipotesi).
I trofei vinti sono tanti, con le ciliegine di un Europeo con la Francia nel 2000 (noi italiani lo ricordiamo bene, sconfitti al Golden Goal da un certo David Trézéguet) e di una Champions League con il Real Madrid. Eppure, Nicolas non vi trova una gara più speciale delle altre, un fiore all’occhiello da esibire.
Quel che più gli interessa è appunto cosa gli ha dato (nel calcio e oltre il calcio) tutto questo continuo spostare l’orizzonte: «Tutte le squadre nelle quali ho giocato le ho volute. Mi è servito moltissimo avere tante esperienze, anche così diverse. Mi ha permesso di vedere il mondo, di capire e conoscere culture e mentalità nuove. Prendi l’ultima esperienza in Cina: sono stato benissimo. Non credo che il futuro del calcio sia lì, sono ancora convinto che l’Europa abbia una forza superiore. Però posso dire che sono stati mesi intensi e un pezzo di cuore l’ho lasciato anche lì, a migliaia di chilometri di distanza. Cambiare paese è anche un modo per mettersi in gioco. E poi scopri posti incredibili, Shanghai è una città meravigliosa. E per quel che ho potuto vedere, anche Torino è incantevole, si vive bene».
L’esperienza, di solito, rende saggi, il tempo regala nuove consapevolezze. Probabilmente, c’è anche la curiosità verso il nuovo ambiente a occupare il suo presente. Lo si capisce quando parla di Paul Pogba, l’altro connazionale del gruppo. Più che un fratello maggiore, Nicolas sembra il primo tifoso del ragazzo che sta stupendo tutti: «Paul è davvero molto forte. Non giochi nella Juventus, in una squadra così vincente, se non hai qualità enormi. E poi segna sempre. Presto sarà uno degli elementi sui quali la Nazionale francese potrà puntare. Quella dei grandi, non più la sola Under 21».
La Juve lo ha colpito, si vede. A partire da Conte, per il quale non spende paragoni con nessun altro tecnico avuto in passato: «Il mister è unico, ha una sua personalità precisa. Con lui si lavora molto, gli allenamenti sono intensi, sia tecnicamente che tatticamente».
Quanto ai compagni, qualcuno lo aveva affrontato da avversario in Champions League: Vučinić, quando il montenegrino giocava nella Roma; Buffon, Chiellini, Marchisio e Giovinco ai tempi di Juventus-Chelsea, il nostro ultimo sogno con qualche ragione d’essere nella grande Europa, quando furono proprio i “Blues” a interromperlo (1-0 a Londra, 2-2 a Torino). Nicolas fu uno dei protagonisti più brillanti, abile nell’allargare il gioco e nell’offrire servizi e sponde a Didier Drogba. Del resto, il suo credo (la sua filosofia di gioco) è uno slogan perfetto: «Preferisco un assist difficile a un goal facile».
Un concetto che non può che trovare d’accordo il nostro allenatore, che insiste sempre sull’idea di mettere il proprio talento al servizio della squadra.
È inevitabile guardare al domani che ci aspetta, visto che lui proprio in Champions ha esordito con la Juventus, nello 0-3 del Celtic Park: «Se mi si chiede un pronostico secco non ho dubbi: possiamo vincere la Coppa. Siamo tra i favoriti, insieme al Bayern, al Real Madrid e al Milan, perché se batti il Barcellona significa che hai tutti i mezzi per andare fino in fondo. Però so anche che la competizione è estremamente difficile, sbagli una partita e vieni eliminato anche se fino a quel punto sei stato impeccabile».
In Europa la Juve c’è già per quanto riguarda lo stadio. La certificazione di qualità di Nicolas non era così scontata, in fondo ha calcato i campi di tutto il mondo. Eppure, l’impianto torinese lo ha stupito: «È davvero molto bello. Non ha nulla da invidiare ai campi inglesi, con quell’atmosfera di partecipazione del pubblico e di vicinanza. Non solo: mi ha stupito l’architettura dello stadio. È davvero piacevole, regala un senso di accoglienza».
Alla Juventus Anelka è arrivato con l’idea di dare una mano per i grandi obiettivi che la stagione propone. In lui convivono due desideri: uno individuale e uno di squadra. Ci tiene a sottolineare che è il secondo quello più importante: «Mi piacerebbe terminare la carriera a Torino. Significherebbe che ho fatto bene anche in questa esperienza. Ma quel che davvero vorrei è che si centrasse l’accoppiata campionato-Coppa. Perché le feste più belle sono quelle che coinvolgono tutti, gli obiettivi personali sono poca cosa rispetto a imprese di questo genere».
Hanno anche questa qualità speciale, i viaggiatori: sanno esprimere i sogni di tanti senza giri di parole.

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