martedì 22 settembre 2020

Ugo CONTI


Un giorno Scopigno, quand’era allenatore del Cagliari – racconta Gino Bacci su “Hurrà Juventus” del gennaio 1973 – si espresse in termini poco urbani nei confronti di un segnalinee. Tre anni dopo Fabbri, sempre alla guida del Cagliari, protestò per un gol annullato a Riva e lo fece con un colorito dialetto romagnolo. Lo udì il guardalinee e le sue parole finirono sul referto arbitrale. Le squalifiche a lungometraggio di Scopigno e Fabbri hanno fatto di Ugo Conti il più «in prima» fra gli allenatori «in seconda».
Il giorno in cui il Cagliari venne a Torino a celebrare il rito di vittoria della Juventus, sulla panchina rossoblu sedeva l’uomo massiccio, dal volto di pugile, alle cui spalle c’è una lunga gloriosa e tormentata carriera di sportivo militante. Un volto che i tifosi bianconeri degli anni quaranta, ricordavano di aver già visto e applaudito. Perché Ugo Conti fu uno «dei loro» nel campionato di guerra 1945-46 concluso al terzo posto. Un`ala mancina aggressiva di quelle che invertono il tradizionale rapporto di forza bruta fra difensore e attaccante, un atleta che era sempre meglio non punzecchiare, rapido nel cercare la porta ma anche ad alzare i pugni. Negli anni di gioventù ebbe per questo motivo una lunga squalifica che sembrò pregiudicargli la carriera.
Ugo Conti arrivò alla Juventus dal Genoa di Neri, Bertoni, Trevisan e lspiro, ala dal fiuto del gol, più volte convocato per la Nazionale ma mai utilizzato, presente in classifica cannonieri al quarto posto con 15 reti, insieme a Gabetto e Reguzzoni, dietro a Boffi, Guarnieri e Puricelli.
Entrò a sostituire il «jolly» Magni e il piccolo Ventimiglia; fu a sua volta sostituito da Korostelev, arrivato in Italia insieme a Vycpálek. Gioco 15 partite, segnò tre gol, due dei quali al Livorno che doveva poi lanciarlo come allenatore. Esordi nell’ottobre 1945 contro il Modena in una Juventus che allora aveva Sentimenti IV in porta, Foni, Varglien e Rava terzini, una mediana formata da Depetrini, Parola e Locatelli e il quintetto d’attacco composto da Sentimenti III, Borel, Piola, Coscia e lui, Ugo Conti.
Nello spogliatoio della Juventus il trainer oggi cinquantasettenne ricorda la sua intensa – ancorché breve – parentesi bianconera. «Mi faceva seguire l’avvocato Agnelli ai tempi in cui a Genova facevo grappoli di gol. Mi pagò una grossa cifra, non ricordo quanto, ma una grossa cifra. Anch’io ebbi l’ingaggio molto alto».
Come ti sembrò allora la Juventus e come la ricordi? «Aveva una mentalità diversa, la società era più arcaica di quella di oggi. Mi trovai bene, nonostante la differenza di clima rispetto a Genova. Vivevo con mia moglie alla Taverna Dantesca, vicino alla stazione, dov’è ancora. Mangiavo da Biagini che era il ristorante dei giocatori della Juventus».
E la squadra come ti sembrò? «La Juventus ha sempre avuto una grande squadra, prima che arrivassi io, quando c’ero io, e anche quando me ne fui andato. Anche oggi ha una grande squadra. Il giocatore più grande era Parola, di statura mondiale, ma cosa dire di Piola e dei fratelli Sentimenti? E gli altri? Tutti grandissimi giocatori».
Trovasti difficoltà di ambientamento tecnico passando dal Genoa alla Juventus? «Mi aiutò parecchio Piola. Diceva che sapevo lanciarlo bene, nel modo giusto. Lui faceva i gol, ne segnò sedici, io lavoravo per lui».
Quale partita ritieni di aver giocato meglio nella Juventus? «Il derby che vincemmo contro il «grande Torino» con un gol di Piola su rigore. Loro erano i favoriti, ma noi andammo bene quel giorno e li dominammo. Mi marcava Ballarin che è stato la bestia nera della mia carriera anche ai tempi in cui giocava nella Triestina».
Potresti tracciare una classifica dei primi tre terzini d’ala, in base alla tua personale esperienza? «Il più forte era Ballarin del Torino, poi Fiorini del Bologna e Allemandi dell’Inter».
 E sempre in base alle tue esperienze di cannoniere, potresti tracciare una classifica per i portieri? «Il migliore in senso assoluto era Sentimenti IV della Juventus. Dietro a lui ci metterei Moro, Olivieri, Ceresoli e Perucchetti».
Qual è stato il più alto premio partita? «Quello del derby vinto per uno a zero, ma non ricordo la cifra».
Chi di voi prendeva gli ingaggi più alti? «Varglien II, Rava e anche Piola».
Come si chiuse la tua parentesi juventina? «Con un colloquio fra l’avvocato Agnelli e il presidente della Lucchese, Fontana, a Forte dei Marmi. Fui dato in prestito gratuito alla Lucchese insieme a Viola e Magni. Era una squadra forte, quella rossonera, con Bertuccelli che poi passò alla Juve, con Cuscela, Michelini. Segnai ventinove gol».
E ti prendesti subito le tue personali rivincite. «Senza rancore però, perché alla Juventus mi legava anche allora un buon ricordo. Quando giocammo qui a Torino pareggiammo per uno a uno. Segnò prima Sentimenti III ed io replicai. A Lucca feci anche di più: la Juventus segnò due reti nel primo tempo con Boniperti ed io le due del pareggio. In due partite feci contro i bianconeri lo stesso numero di gol che per loro avevo fatto in un intero campionato».
C’è un parallelo da fare fra la Juventus degli anni quaranta e quella attuale? «Credo che fosse più forte quella dei miei tempi, o forse è soltanto la nostalgia che mi fa dare un giudizio così perentorio. Però credo che un difensore come Carletto Parola oggi non lo abbia più nessuna squadra italiana. E così un centravanti come Piola. Noi avevamo una mediana che ora non vedo a nessuno: Depetrini, Parola e Locatelli. Prova a pensare che somma di valori tecnici e agonistici ne veniva fuori».
E della Juventus di oggi, che cosa senti di poter dire? «Che merita lo scudetto conquistato l’anno scorso e può levarsi tante soddisfazioni anche in Coppa dei Campioni. Il più dotato di tecnica pura è Haller, ma io stravedo per Bettega che mi appare come un giocatore stupendo. Ammiro anche Anastasi, ma in certe partite gli rimprovero troppa attività per raggiungere modesti risultati. Dovrebbe segnare almeno il doppio dei gol che abitualmente realizza. Però marcare un centravanti come Anastasi è difficile, spesso impossibile».
A novembre prima di affrontare la Juventus con il Cagliari, quali raccomandazioni hai fatto ai giocatori, al momento di andare in campo? «Le ultime parole, le ultime raccomandazioni sono state queste: e ricordatevi che non possiamo avere possibilità di successo se non annulliamo Capello, Haller e Furino. I ragazzi stavano uscendo nel corridoio ed io dissi un’ultima cosa: e su Bettega, la testa di Niccolai. Non è bastata la testa di Niccolai».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono onorato di essere lontano suo parente...nipote del figlio di Ugo; ricordo un viaggio in macchina con lui per andare a Castelnuovo Garfagnana, sentirlo parlare di calcio mi affascinava, anche se col suo sguardo ti metteva timore! Grande Ugo, peccato te ne sei andato presto.......

Stefano ha detto...

Grazie della tua testimonianza. Se hai qualche aneddoto particolare su Ugo, scrivimi in privato in modo che posso completare la mia scheda.
Grazie e buona giornata.