domenica 29 aprile 2012

NOVARA - JUVENTUS

16 novembre 1952 – Stadio Comunale di Novara
NOVARA–JUVENTUS 0–6
Novara: Russova; Mainardi e Pombia; Rosén, Baira e Feccia; Piccioni, Renica, Piola, Miglioli e Savioni. Allenatore: Varglien.
Juventus: Viola; Bertuccelli e Manente; Corradi, Parola e Piccinini; Muccinelli, Boniperti, Vivolo, Hansen e Præst. Allenatore: Sárosi.
Arbitro: Massai di Pisa.
Marcatori: Hansen al 13’ e al 78’, Vivolo al 27’ al 33’ e al 75’, Feccia autorete al 30’.
La Juventus dei nove scudetti è la grande favorita del campionato ma arriverà solamente un deludente secondo posto, dietro l’Inter guidata da Alfredo Foni, grandissimo ex terzino bianconero, che applica il “catenaccio”, tattica mai usata nel nostro campionato e che prenderà presto piede. La Juventus, guidata sempre dal magiaro Sárosi, è praticamente immutata, salvo l’arrivo del pirotecnico Carapellese. Per la compagine bianconera c’è la soddisfazione di avere il miglior attacco del campionato (settantatré reti contro le quarantasei dei neroazzurri) e di battere la Fiorentina per ben 8-0, un punteggio che entra a far parte dei numerosi record bianconeri. Infatti, mai la Juventus aveva saputo vincere con uno scarto così ampio.


VITTORIO POZZO, “STAMPA SERA”
Novara, lunedì mattina. Abbiamo detto tante volte male del giuoco d’attacco a cui si assiste sui campi italiani da tempo a questa parte, che desideriamo ci si permetta di dire bene una volta tanto. Ne vale la pena. La partita in genere, ma il primo tempo in modo particolare, a cui ci ha fatto assistere la Juventus, va ascritta senz’atro fra le cose più belle che abbia prodotto il calcio nostro in questo dopoguerra. Uno spettacolo grande. Per una buona mezz’ora, la Juventus parve come scatenata e trasfigurata. L’intera squadra era protesa in avanti, lanciata all’attacco, e faceva della palla quello che voleva, e non dava requie un istante all’avversario, e travolgeva tutto innanzi a sé. Le azioni che conducevano i bianconeri erano una più bella dell’altra, e si snodavano, l’una dopo l’altra, con una continuità di ritmo e una varietà di toni, da lasciare di stucco gli stessi avversari. I quali cercarono dapprima di reagire a tanta superiorità e a tale elevatezza di stile, con entrate dure anzichenò e con qualche piccola cattiveria, anche. Fu l’arbitro a dire di no a questo minacciato andazzo delle cose, l’arbitro che, punendo e redarguendo, volle che l’incontro si svolgesse non sul binario della durezza, ma su quello della tecnica. E allora parlò la tecnica, in tono altisonante e ad opera di uno solo dei contendenti. Quattro reti segnò la Juventus che potevano essere sei. Præst era comparso in luce per il primo, con alcune delle sue puntate caratteristiche che avevano gettato l’allarme nell’estrema difesa novarese. Ma il punteggio doveva aprirsi senza il concorso suo. Era Vivolo, che, a seguito di un’azione in profondità, giungeva fino alla linea di fondo, girava seccamente su se stesso c passava, lungo all’indietro con un forte traversone a mezza altezza: John Hansen, che si era spostato sulla destra, riprendeva di testa e spediva in rete, mentre il portiere ancora non s’era ripreso dall’uscita che aveva tentato. Si era allora al 13° minuto. Primogenito in numerosa famiglia, questo punto. Nello spazio di venti minuti, ne dovevano seguire altri tre. Al 26° minuto, Boniperti e Vivolo sfondavano sulla sinistra e giungevano a diretto contatto col portiere avversario, proprio all’altezza del montante. Una finta, una schermaglia, e Vivolo, con una puntatina, faceva sgusciare la palla in rete, sotto il petto di Russova. Tre minuti più tardi si svolgeva, colla partecipazione di quasi tutti gli attaccanti, un’azione delle più armoniose: dalla destra la palla si spostava verso il centro, alla ricerca di un uomo che potesse sferrare il tiro. Toccava a Boniperti, di sparare. La palla, nella sua traiettoria, sfiorava la schiena del novarese Feccia, e veniva deviata in rete nettamente fuori della portata del braccio destro del portiere. Altri quattro minuti, e Vivolo, lanciato intelligentemente in profondità, tornava a presentarsi tutto solo davanti a Russova, e con gran calma e precisione lo mandava a raccogliere il suo quarto pallone in rete.
Quattro successi, frutto di una ventina di azioni una più bella dell’altra, con palloni che sibilavano in vicinanza dei pali o che all’ultimo istante rimbalzavano da ostacoli imprevisti. Nelle file del Novara, nel frattempo, una quantità di uomini che si dava un gran da fare, senza concludere nulla. La prima linea, ridotta a quattro elementi, e spesso anche solo a tre, giungeva con qualche frequenza fino all’area di rigore dei bianconeri, ma Piola non la spuntava sul suo vecchio amico Parola in piena forma, e gli altri presi da timor reverenziale, urtavano ingenuamente in un muro difensivo che non mostrava screpolature. Un primo tempo che lasciava dietro di sé come una scia luminosa di tecnica e di efficienza: una scia bianconera. L’intervallo era, come al solito, molto più lungo del dovuto e faceva un freddo pungente.
La ripresa aveva appena avuto inizio, che un episodio interessante si verificava. Dopo qualche schermaglia verso la metà del campo, Vivolo riusciva a sfondare, filava via da solo ed entrava in area di rigore in piena corsa. Qui giunto, veniva falciato e finiva a terra con un gran volo. Un caso di rigore così chiaro, così palese, da destare non discussioni, ma un sorriso. L’arbitro ci pensava su un istante, e poi faceva segno di continuare. Era come se dicesse ad alta voce che non gli reggeva il cuore di infliggere un rigore a chi già stava perdendo in modo così disastroso. Data la situazione, nessuno ne faceva una tragedia, naturalmente: una risata generale invece. Per una mezz’oretta il ritmo del giuoco juventino rallentò alquanto, dopo questo incidente. Era come se i giuocatori, paghi oramai del risultato, non volessero più correre grandi rischi, e si limitassero a fare lavoro di contorno. E in questo periodo, la difesa torinese si prese in realtà delle... licenze, che avrebbero potuto avere per essa conseguenze alquanto dolorose. Si presentavano infatti al Novara tre o quattro occasioni di rara facilità (una quasi sul limitare della porta, con null’altro da fare che da sospingere la palla in rete) e tutte venivano mancate, anche per la onnipresenza e la chiaroveggenza di Corradi nei momenti culminanti del pericolo. Passava la sfuriata novarese, e la Juventus, come punta sul vivo, tornava a impadronirsi del suo tono del primo tempo. E, col risveglio, giungevano le reti o le quasi reti. Muccinelli colpiva la sbarra trasversale con un forte tiro, e alla mezz’ora risaltava fuori Vivolo con una delle sue serpentine. A tu per tu coll’estremo difensore azzurro, il juventino si vedeva respingere un primo tiro, tornava a impadronirsi delta palla e allora la spediva in rete facendola passare fra le gambe divaricate di Miglioli che era accorso sulla linea della porta. Due minuti dopo, un’azione di ottima fattura fra Boniperti e Muccinelli, metteva in possesso John Hansen, e il danese faceva partire una legnata tale, che la palla penetrava in rete, piegando all’indietro le mani protese del portiere. Poi il montante rimandava cortesemente nelle braccia di Russova, uscito di porta, un altro pallone che già pareva finito in rete. Poi Præst segnava negli ultimi minuti, ma l’arbitro, a cui evidentemente le esagerazioni non piacciono, annullava. È la partita passava all’archivio col risultato di sei a zero.
E resta nella memoria, come una prova, a tratti, smagliante della Juventus: con un Vivolo in ottima giornata, con un Parola redivivo, con un Corradi che comandava lui, coll’intera squadra che facendo correre la palla a più non posso, ha filato col vento in poppa. E con un Novara privo dell’intera sua difesa normale, con un Piola troppo solo per poter fare cose utili, e col complesso in condizioni tali di forma, da convincere che la giornata non possa essere assunta a indice della sua attuale efficienza.


GIUSEPPE BARLETTI, “HURRÀ JUVENTUS” APRILE 1967
Si chiama Pasquale Vivolo. Per gli amici Bibi. Giocò nella Cremonese poi arrivò alla Juve. Nell’epoca aurea dei danesi e del “sovrano” Boniperti. Vivolo oggi trascorre i suoi giorni a Cremona. È stato, senza tema di smentita, uno dei calciatori italiani più limpidi e puri sotto il profilo tecnico. Oggi con un attaccante come lui la Juventus sarebbe davanti all’Inter di almeno due punti. Vinceva le gare da solo pur giocando costantemente a sostegno di un’azione corale e collettiva. Davanti alla rete si trasformava, diventava una specie di mostro cui tutto era permesso.
Nel campionato 1952–53 (la Juventus lo concluse al secondo posto, staccata di due punti dall’Inter, segnando settantatré goal contro quarantasei dei neroazzurri) in una serie di quattro gare quasi consecutive, Vivolo segnò otto goal. Tre a Novara (e di questa gara vi parleremo tra breve), tre contro la Sampdoria, uno a Ferrara e uno contro la Fiorentina. Nel ricordo frizzante di Vivolo giocatore del suo zigzagare quasi svagato ma invece strettamente freddo e razionale nel vivo delle difese avversarie, dei suoi goal incredibilmente belli e fantastici, rievochiamo per voi la partita che la Juventus vinse per 6–0 sul campo del Novara il 16 novembre del 1952. La Juventus giocò uno delle più grandi partite del suo repertorio, riducendo pian piano l’urlo “nemico” della folla novarese e trasformandolo man mano in un lungo, interminabile sussurrio stupefatto.
I bianconeri iniziarono la grande orchestra. La loro spinta poderosa si fece strada nel grintoso muro difensivo novarese che tentò ogni specie di rudezza e di contrasto. Invano. Il rullo compressore bianconero spazzò dalla sua strada qualsiasi ostacolo dando nel contempo una dimostrazione lampante di come si giocava il “vero” football moderno. Non servirono ai novaresi entrate violente, falli astuti o cattivi, azioni spavaldamente intimidatorie. La Juventus in gran pompa ignorò (sovrana) ogni ripicca. Punta alla meta più logica, il goal in tutto il suo splendore.
Venne la prima rete al 13’, dopo che l’arbitro Massei ebbe messo il morso agli scalpitanti (è la parola) difensori del Novara, riportandoli a un più corretto modo di comportarsi. Il punto d’avvio nella scala delle marcature prese le mosse da un’azione di Vivolo. Il cremonese giunse a slalom fin sulla linea di onda, si girò fulmineo, seccamente su se stesso e fece partire (destinazione Hansen) un centro teso, una idea fiammeggiante trasformata in passaggio da goal. Il lungo danese spostato a destra guizzò sui muscoli lunghi, inarcò le reni, proiettò la sua testa incontro al pallone spedendolo in rete. Sette altri minuti di gran baldoria bianconera e nuovo goal. Boniperti e Vivolo scesero di conserva sul fianco sinistro della difesa novarese mettendola a ferro e fuoco. Giunsero a tre passi dalla porta sempre padroni della sfera. Boni lasciò la palla a Vivolo che fintato un avversario, fece giochi di fioretto con un secondo difensore e infilò in rete con una puntatina tanto beffarda che strisciò sotto il corpo del portiere Russova prima di chiudere la sua corsa in fondo al sacco.
Due minuti più tardi, terzo goal. Stavolta fu Vivolo a restituire al Boni la cortesia dopo che la palla aveva toccato un po’ tutti gli uomini dell’attacco juventino. E il biondo atleta di Barengo azzittì la folla con una folgore di mezzo volo. Il primo tempo si chiuse con il quarto punto. Lo segnò Vivolo al 33’. Scattò vispo su invito di Giampiero, percorse trenta metri palla al piede, danzò solista imprendibile tra le maglie della retroguardia azzurra e incantò Russova con un tiro tanto preciso da sembrare impossibile.
Quando Massei fischiò la fine del tempo un lungo mormorio di delusione serpeggiò sulle gradinate. Tanto avvincente era Io spettacolo che la Vecchia Signora andava sciorinando che parve una specie di tradimento il troncare quella esibizione.
La ripresa iniziò con un’opera di bene. La compì l’arbitro (ai danni della Juve) chiudendo i miei due occhi su una paurosa falciata compiuta da Feccia sul Vivolo che, manco a dirlo, stava veleggiando soletto verso Russova. Per una mezzora il gioco, poi, andò in vacanza. Quasi sdegnata per l’affronto patito la Juventus manovrò in sordina. Eccelse in quel periodo la classe vivissima di Corradi che nel ruolo di laterale mi fa ricordare ora che anni addietro uomini nati come difensori puri avevano tutte le doti per giostrare a centro campo e in manovre d’appoggio giusto come comandano oggi gli Herrera.
Ci fu una traversa piena di peperino Muccinelli e al 31’ Vivolo rimise in marcia il tabellino dei marcatori. Passeggiò a serpentina in lungo e in largo nell’area novarese, tirò a rete e Russova gli respinse come poté il pallone. Vivolo lo riagguantò, sempre morbidamente sciolto in ogni guizzo, e lo piazzò nuovamente in goal facendolo passare tra le gambe dell’accorrente Miglioli. Il sesto goal venne un minuto dopo. E fu di fattura esattamente opposta. Hansen, padrone della sfera un cinque metri fuori area, fece un passo solo e legnò sacrosantamente dritto, con incredibile potenza. Russova arrivò sulla sfera, le mani giunte, ma il tiro gliele rovesciò di schianto.

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