Di scuola atalantina, nasce a San Giovanni Bianco (in provincia di Bergamo), il 15 aprile 1977. Difensore centrale dal buon tempo andato, stiloso e bravo in acrobazia, possiede pulizia di gioco, ma ha il difetto di piacersi troppo. Capita così che, per troppa sicurezza, commetta degli errori grossolani. Arriva in bianconero nell’estate del 2000 e colleziona solamente sette presenze, delle quali due nelle coppe europee.
È stata una sorpresa, per tutti – scrive Giorgio Pagliano su “Hurrà Juventus” del luglio 2000 – ma mentre è oramai una consuetudine dei dirigenti bianconeri stupire i propri tifosi con acquisti inattesi, la novità è che neanche il diretto interessato sapeva che avrebbe vestito la maglia della Juventus. Marco Zanchi, difensore ventitreenne neo campione d’Europa con l’Under 21 di Marco Tardelli, lo racconta lasciando trapelare un po’ di emozione.
«Il mio procuratore si è incontrato con i dirigenti bianconeri in gran segreto, alla sera mi ha prospettato la nuova situazione e al mattino ho firmato il contratto». Luciano Moggi ha spiegato che si è svolto tutto a fari spenti perché la trattativa non era semplice, anche a causa delle concorrenti che si contendevano il gioiellino bergamasco.
Marco Zanchi è un ragazzo semplice, curato nel vestire, all’apparenza timido, molto determinato. Sa bene che alla Juve si trova a competere con i titolari della difesa meno battuta dello scorso campionato, ma non se ne preoccupa: «Arrivo in punta di piedi, con la gioia di poter indossare la maglia di una delle squadre più prestigiose del mondo. Sono soddisfatto che sia stato Carlo Ancelotti a scegliermi. Mi rimetterò alle sue decisioni».
Schietto e sincero, forse troppo modesto, non poteva credere che dopo una stagione buona ma non certo da protagonista nell’Udinese la Juve scegliesse di puntare proprio su di lui: «Forse è stato il buon Europeo a convincerli», ha detto con il sorriso sulle labbra. Non sarebbe bastato. Sicuramente i dirigenti della Juve avevano già messo da tempo gli occhi su di lui, come ha confermato Ancelotti: «Lo avevo notato nello spareggio Uefa della stagione 1998-99».
Forse lo conoscono un po’ meno i tifosi e allora Marco si presenta così: «Il mio modello è Paolo Montero, che ho conosciuto ai tempi dell’Atalanta. Sono un difensore forte negli spostamenti, perché posso sfruttare la mia velocità. Sono abbastanza bravo tecnicamente, un po’ meno di testa, causa la statura. Diciamo che cerco di fare le cose più semplici e sicure. Goal? Non ne ho mai realizzati».
I goal, appunto. Sono i momenti in cui si sfoga tutto quello che si ha dentro, gli attimi delle dediche appassionate, come quella oramai storica di Batistuta alla moglie Irina. Zanchi non ha mai segnato, non aveva ancora vinto nulla e allora ha scelto la finale dell’Europeo per fare la sua dedica più importante, non al nuovo amore, la Juventus, ma a qualcuno che nella sua vita conta ancora di più: «Dedico questa vittoria a mia moglie». Queste le sue prime parole davanti alle telecamere, parole dolci, che qualunque ragazza sognerebbe di sentir pronunciare dal proprio uomo. Giovanna ne ha sentite altre, ancora più belle, che stanno a testimoniare che Marco vuole iniziare la sua nuova vita torinese a fianco della persona che ama di più. Si sono sposati il 14 giugno, a Dalmine, il paese di Giovanna, a pochi chilometri da Bergamo, dopo cinque anni di fidanzamento. Poi via verso la luna di miele con tappe a New York, Miami e Bahamas. I freschi sposi dovranno cercar casa a Torino: «Non conosco molto questa città, non so se sceglieremo la collina o il centro. Sicuramente un posto comodo, dove non ci siano problemi di parcheggio». La scelta sembra quasi obbligata.
Della Juve Zanchi conosce la storia, il prestigio, le vittorie ed anche alcuni giocatori che presto saranno suoi compagni: «Oltre a Montero e Tacchinardi, che ho incontrato nell’Atalanta, c’è Bachini, mio compagno a Udine, e Zambrotta, con il quale ho giocato nell’Under 21».
Il giorno del suo passaggio alla Juventus le prime parole sono state queste: «L’idea di giocare a fianco di campioni che fino a qualche tempo fa vedevo solo sulle figurine mi sembra un sogno». Una schiettezza che gli è valsa sorrisi di simpatia. Il suo atteggiamento, moderato, modesto ma deciso, ne fa un perfetto juventino, perché più di una volta i dirigenti hanno affermato di scegliere i giocatori non solo in base alle qualità tecniche, ma anche a quelle umane.
La stessa schiettezza quando si affronta l’argomento Del Piero: «In quei giorni terribili ci siamo parlati subito, gli ho detto che non c’entravo nulla e che volevo solo rivederlo in campo più forte di prima». E già, perché fu proprio Marco Zanchi l’incolpevole ostacolo che si trovò davanti Ale nell’azione che gli provocò il grave infortunio sul campo di Udine quel famoso e oramai lontano 8 novembre 1998. Dopo telefonate e messaggi ora saranno compagni e di sicuro il numero dieci bianconero sarà uno dei primi a dargli il benvenuto.
Attenzione campioni di Playstation, è arrivato un agguerrito concorrente! «Mi piace molto giocarci, anche perché in ritiro o si gioca o si legge e quest’ultimo non è uno dei miei passatempi preferiti», racconta Zanchi, che annovera tra le sue passioni il football americano e ammette di seguire con interesse moltissimi sport.
Nato un anno e un giorno prima di Tudor, con il quale condividerà la responsabilità di farsi trovare pronto all’occorrenza, il neo bianconero ha mosso i primi passi nel mondo del pallone con un allenatore d’eccezione: «Mio padre, che ai tempi seguiva i pulcini della Zognese. È stato lui a crescermi come difensore, mi ha allenato molto bene anche perché ha un passato da attaccante nella Rappresentativa della Valle Brembana». Dopo aver cresciuto il campioncino di famiglia, il signor Zanchi ha smesso di allenare e ora è un tifoso del figlio che racconta: «Non è spassionato, direi piuttosto critico, le osservazioni non mancano mai, ma sono giuste e le accetto volentieri. Quando sono partito per l’Europeo con l’Under 21 mi ha consigliato solo di giocare come sono capace e alla fine mi ha fatto i complimenti».
Poi è arrivata la Juve e l’incoraggiamento del suo commissario tecnico Marco Tardelli, che lo ha soprannominato Lupo (lo chiama così anche in allenamento) e gli ha detto: «Devi essere orgoglioso di indossare quella maglia». Lui sa bene cosa significa.
Marco Zanchi è un ragazzo semplice, curato nel vestire, all’apparenza timido, molto determinato. Sa bene che alla Juve si trova a competere con i titolari della difesa meno battuta dello scorso campionato, ma non se ne preoccupa: «Arrivo in punta di piedi, con la gioia di poter indossare la maglia di una delle squadre più prestigiose del mondo. Sono soddisfatto che sia stato Carlo Ancelotti a scegliermi. Mi rimetterò alle sue decisioni».
Schietto e sincero, forse troppo modesto, non poteva credere che dopo una stagione buona ma non certo da protagonista nell’Udinese la Juve scegliesse di puntare proprio su di lui: «Forse è stato il buon Europeo a convincerli», ha detto con il sorriso sulle labbra. Non sarebbe bastato. Sicuramente i dirigenti della Juve avevano già messo da tempo gli occhi su di lui, come ha confermato Ancelotti: «Lo avevo notato nello spareggio Uefa della stagione 1998-99».
Forse lo conoscono un po’ meno i tifosi e allora Marco si presenta così: «Il mio modello è Paolo Montero, che ho conosciuto ai tempi dell’Atalanta. Sono un difensore forte negli spostamenti, perché posso sfruttare la mia velocità. Sono abbastanza bravo tecnicamente, un po’ meno di testa, causa la statura. Diciamo che cerco di fare le cose più semplici e sicure. Goal? Non ne ho mai realizzati».
I goal, appunto. Sono i momenti in cui si sfoga tutto quello che si ha dentro, gli attimi delle dediche appassionate, come quella oramai storica di Batistuta alla moglie Irina. Zanchi non ha mai segnato, non aveva ancora vinto nulla e allora ha scelto la finale dell’Europeo per fare la sua dedica più importante, non al nuovo amore, la Juventus, ma a qualcuno che nella sua vita conta ancora di più: «Dedico questa vittoria a mia moglie». Queste le sue prime parole davanti alle telecamere, parole dolci, che qualunque ragazza sognerebbe di sentir pronunciare dal proprio uomo. Giovanna ne ha sentite altre, ancora più belle, che stanno a testimoniare che Marco vuole iniziare la sua nuova vita torinese a fianco della persona che ama di più. Si sono sposati il 14 giugno, a Dalmine, il paese di Giovanna, a pochi chilometri da Bergamo, dopo cinque anni di fidanzamento. Poi via verso la luna di miele con tappe a New York, Miami e Bahamas. I freschi sposi dovranno cercar casa a Torino: «Non conosco molto questa città, non so se sceglieremo la collina o il centro. Sicuramente un posto comodo, dove non ci siano problemi di parcheggio». La scelta sembra quasi obbligata.
Della Juve Zanchi conosce la storia, il prestigio, le vittorie ed anche alcuni giocatori che presto saranno suoi compagni: «Oltre a Montero e Tacchinardi, che ho incontrato nell’Atalanta, c’è Bachini, mio compagno a Udine, e Zambrotta, con il quale ho giocato nell’Under 21».
Il giorno del suo passaggio alla Juventus le prime parole sono state queste: «L’idea di giocare a fianco di campioni che fino a qualche tempo fa vedevo solo sulle figurine mi sembra un sogno». Una schiettezza che gli è valsa sorrisi di simpatia. Il suo atteggiamento, moderato, modesto ma deciso, ne fa un perfetto juventino, perché più di una volta i dirigenti hanno affermato di scegliere i giocatori non solo in base alle qualità tecniche, ma anche a quelle umane.
La stessa schiettezza quando si affronta l’argomento Del Piero: «In quei giorni terribili ci siamo parlati subito, gli ho detto che non c’entravo nulla e che volevo solo rivederlo in campo più forte di prima». E già, perché fu proprio Marco Zanchi l’incolpevole ostacolo che si trovò davanti Ale nell’azione che gli provocò il grave infortunio sul campo di Udine quel famoso e oramai lontano 8 novembre 1998. Dopo telefonate e messaggi ora saranno compagni e di sicuro il numero dieci bianconero sarà uno dei primi a dargli il benvenuto.
Attenzione campioni di Playstation, è arrivato un agguerrito concorrente! «Mi piace molto giocarci, anche perché in ritiro o si gioca o si legge e quest’ultimo non è uno dei miei passatempi preferiti», racconta Zanchi, che annovera tra le sue passioni il football americano e ammette di seguire con interesse moltissimi sport.
Nato un anno e un giorno prima di Tudor, con il quale condividerà la responsabilità di farsi trovare pronto all’occorrenza, il neo bianconero ha mosso i primi passi nel mondo del pallone con un allenatore d’eccezione: «Mio padre, che ai tempi seguiva i pulcini della Zognese. È stato lui a crescermi come difensore, mi ha allenato molto bene anche perché ha un passato da attaccante nella Rappresentativa della Valle Brembana». Dopo aver cresciuto il campioncino di famiglia, il signor Zanchi ha smesso di allenare e ora è un tifoso del figlio che racconta: «Non è spassionato, direi piuttosto critico, le osservazioni non mancano mai, ma sono giuste e le accetto volentieri. Quando sono partito per l’Europeo con l’Under 21 mi ha consigliato solo di giocare come sono capace e alla fine mi ha fatto i complimenti».
Poi è arrivata la Juve e l’incoraggiamento del suo commissario tecnico Marco Tardelli, che lo ha soprannominato Lupo (lo chiama così anche in allenamento) e gli ha detto: «Devi essere orgoglioso di indossare quella maglia». Lui sa bene cosa significa.
2 commenti:
ciao!
sono nuova di blogspot, e non mi ero mai inoltrata in blog di calcio, ma ora che ho iniziato sono capitata qui, e devo dire che è veramente ricco e interessante, specie per una juventina come me :) quindi ti faccio tutti i miei complimenti!
io ho appena creato il mio, se ti va passa pure :)
Grande Marco
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