La stagione 2004/05 è caratterizzata dal lungo duello fra Juventus e Milan che si risolverà, a favore dei bianconeri, solamente nelle battute finali. La squadra rossonera è fresca Campione d’Italia (primo ed unico scudetto di Ancelotti) e combatte su due fronti, riuscendo a raggiungere anche la finale di Champions League, persa beffardamente, ai rigori, contro il Liverpool. La Juventus, che non ha rinnovato il contratto a Marcello Lippi, affida la panchina a Fabio Capello, acquistandone immediatamente la sua mentalità vincente. È una Juventus quasi mai spettacolare, ma molto solida (grazie anche agli innesti di Emerson, Cannavaro ed Ibrahimović) e cinica. Si stacca presto l’Inter di Mancini, che accumula troppi pareggi per rimanere in scia delle due contendenti che, al contrario, accumulano punti su punti.
Il 30 gennaio 2005 il vantaggio dei bianconeri è di otto punti, ma il Milan non demorde ed il 19 febbraio aggancia la rivale in testa alla classifica. Si arriva così allo scontro diretto con le due squadre a pari punti: si gioca l’8 di maggio a San Siro e la Juventus, con un goal di David Trézéguet su spettacolare assist di Del Piero in rovesciata, sbanca lo stadio milanese e mette le mani sullo scudetto.
La domenica successiva la squadra di Capello batte il Parma al Delle Alpi, mentre quella di Carletto Ancelotti non va oltre il pareggio a Lecce. I punti di vantaggio salgono a cinque; mancano solamente due partite alla fine del campionato e, per i bianconeri, è praticamente fatta.
Il 20 maggio 2005, il Milan scende in campo contro il Palermo; si gioca di venerdì, per permettere alla squadra rossonera di preparare al meglio la finale di Champions League contro il Liverpool. Il match è molto spettacolare e si conclude in parità: 3-3. Questo risultato permette alla Juventus di laurearsi Campione d’Italia per la ventottesima volta, senza nemmeno scendere in campo.
Il 22 maggio 2005, la Juventus scende a Livorno per disputare un match che serve solamente come passerella per i neo Campioni d’Italia. Lo stadio Armando Picchi è gremito in ogni ordine di posto, come capita spesso quando arriva la compagine bianconera. L’arbitro è Messina di Bergamo e queste sono le formazioni:
LIVORNO: Mareggini; Pfertzel, Vargas e Galante; Melara, Grauso, Passoni, Vigiani (dal 46’ Ruotolo) e Giallombardo; C.Lucarelli ( dall’84’ Paulinho) e Protti (dal 61’ Danilevicius).
Allenatore: Donadoni
JUVENTUS: Buffon (dal 46’ Chimenti); Pessotto, Thuram, Cannavaro e Zambrotta; Kapo, Emerson (dall’84’ Blasi) Appiah e Nedved; Trézéguet ed Ibrahimović (dal 46' Zalayeta).
Allenatore: Capello.
“LA GAZZETTA DELLO SPORT”:
Da partita scudetto a partita della festa. Per la Juventus neo Campione d’Italia dalle 22:15 di venerdì sera, per Igor Protti, essendo questa l’ultima partita della sua carriera. E finisce nel migliore dei modi (un po’ di gloria anche per i più umili), perché alla bellissima rete di Nedved del primo tempo, seguono quella di Protti e Cristiano Lucarelli, infine quella di Trézéguet che fissa il risultato sul 2-2; risultato prevedibile in un giorno per tutti indimenticabile.
Un po’ ingrigita da un silenzio stampa discutibile, la Juventus si presenta in campo per la rifinitura con una t-shirt rosa celebrativa, ma senza la sua bandiera: al posto di Alessandro Del Piero gioca David Trézéguet. Roberto Donadoni propone il suo solido 3-5-2 con alcune variazioni sul tema: Melara al posto di Alessandro Lucarelli, Pfertzel e Vigiani a centrocampo. I presupposti per produrre una sfida vera ci sono tutti, ma con l’aria che tira, ben presto il clima si addolcisce. Si vive di lampi, tra torelli, possesso palla, improvvise proiezioni. La differenza? L’impostazione perfetta in campo della Juve che in realtà gioca a rombo, mentre il Livorno fa quel che può. L’altra differenza? Lo splendido goal di Pavel Nedved: bolide preciso e tagliente poco dentro l’area; direttamente nell’angolo alla sinistra di Mareggini.
Il blando ritmo disegna perfettamente il tono della partita, anche se i toscani per ben due volte falliscono il pareggio. Entrambe le volte con Igor Protti: la prima volta si fa ribattere da un’entrata millimetrica di Cannavaro, poi solo davanti a Buffon scheggia la traversa. Ripresa con tre cambi: nella Juve Chimenti per Buffon e Zalayeta che rileva Ibrahimović. Nel Livorno Donadoni toglie Vigiani ed innesta Ruotolo. Partenza al fulmicotone: Ruotolo sfiora il goal, Protti invece lo realizza. Un colpo di testa perfetto nell’angolo, con un Cannavaro statico. Che bello, Protti che lascia il calcio alla sua maniera. Poi la rete di Cristiano Lucarelli che così allunga nella bomber classifica. Ed ancora Protti che lascia il posto a Danilevicius. Standing ovation, brividi: è il suo addio al calcio. Quindi il 2-2 di David Trézéguet: nell’angolino. Che dire ancora? Che, tutto, sommato, oltre alla Juve anche il Livorno vince il suo scudetto. Una stagione così non l’avrebbe mai immaginata nessuno.
“REPUBBLICA”:
Livorno-Juventus è una partita dal copione già scritto: festa per tutti. E si conclude con un 2-2 che diverte, anche se i ritmi sono piuttosto blandi, e soddisfa spettatori e squadre. Il senso del match è appunto nella festa. Quella della Juventus per lo scudetto numero 28 e quella del Livorno per la salvezza conquistata in anticipo sulla fine del campionato e per Igor Protti, all’ultima apparizione davanti ai propri tifosi dato che domenica, a Messina, lascerà il calcio giocato.
Da subito tutto il Livorno cerca di fornire al capitano palle da spedire in goal. Ma la mira del “Capo degli ultras” fa difetto. Accade già all’8’, con Cannavaro che riesce a ribattergli la conclusione al volo. Da parte sua, la Juve fa molto possesso palla. Ed efficacia chirurgica, come al 10’, quando Kapo serve a Nedved la palla dell’ 1-0: controllo e diagonale vincente.
Il Livorno non ci sta a perdere. Ed anima la partita. Lo fa proprio con la voglia di far segnare Protti che prima sfiora l’incrocio dei pali (19’), poi davanti a Buffon perde l’attimo e si fa ribattere il tiro ancora da Cannavaro (34’) ed infine colpisce la traversa (40’), sempre solo a tu per tu con il portiere bianconero.
Passoni, Lucarelli, Grauso, fanno di tutto per mandarlo in rete, ma Igor fallisce. Però è solo il rodaggio. Tutto è scritto perché lui segni ed il copione si realizza al 2’ della ripresa: cross di Giallombardo, dormita della retroguardia bianconera, Cannavaro lascia saltare Protti che di testa indirizza la palla all’ angolo basso alla sinistra di Chimenti che aveva preso il posto di Buffon.
Potrebbe bastare: 1-1 e festa per tutti senza farsi male. Ma lo spirito guerriero e garibaldino del Livorno prende il sopravvento su una Juve appagata. È l’11° quando su un cross di Giallombardo, Cristiano Lucarelli trova la spaccata vincente per superare ancora Chimenti.
Appagati sì, umiliati no. Ed allora, dopo la festa e la standing ovation per la sostituzione di Protti al 15’, la Juve torna ad essere la Juve: si riversa nella metà campo amaranto ed al 21’ Trézéguet trova la rasoiata vincente dal limite. È 2-2.
Giusto così e tutti contenti, perché tutti possono far festa: la Juve che esce imbattuta nel giorno della festa scudetto, il Livorno che fa la sua figura davanti ai Campioni d’Italia e consacra la sua salvezza, Protti che saluta con un goal, Lucarelli che mette in bacheca un altro goal per la classifica dei cannonieri. Il copione è rispettato. Finisce con i bianconeri che festeggiano sotto la curva e gli amaranto, guidati dal presidente Spinelli, che fanno il giro di campo. Applausi per tutti.
“CORRIERE DELLA SERA”:
Nel posto meno adatto, dove abitualmente i cori della sinistra più arrabbiata si alternano agli slogan calcistici, insomma, nella bolgia dantesca dello stadio di Livorno, ieri c’è stato il miracolo: la Juve, campione per la ventottesima volta, ha ritrovato la parola, sia pure ammassando giocatori, inservienti, guardaspalle, dirigenti, curiosi, poliziotti, ragazzotte pancia al vento, Protti col suo goal d’addio, cavi, telecamere, bagagli ed infine giornalisti armati di taccuino in 5 o 6 metri quadri al massimo attorno al pullman juventino. Una sofferenza in più, perché le vittorie sofferte sono le più belle.
«Sono molto contento per quel che siamo riusciti a fare in quasi tutta la stagione, perché è stato un campionato difficilissimo», diceva infatti Fabio Capello, che da dirigente del Milan s’era messo a fare il tecnico, riuscendo a vincere sette volte in quattro città (Milano, Madrid, Roma e Torino). E chiedeva di potersi togliere la giacca, visto che veniva dalla bolgia, dov’era andato a far festa sotto la curva dei suoi tifosi in trasferta, con i suoi campioni seminudi e quelli che non avevano giocato in maglia rosa col 28 sulla schiena, a ricordo dei colori delle origini e di quest’ultimo successo della “Vecchia Signora”.
Che lui, Capello, ultimo tecnico vincente, dedicava «al dottor Umberto Agnelli, che ci ha lasciati quasi un anno fa, ed alla sua famiglia che tanto ha dato alla Juve. Siamo andati due volte in fuga e due volte siamo stati raggiunti, ma abbiamo mostrato carattere e grande determinazione anche nei momenti di crisi. Per questo ritengo doveroso un unico applauso per i miei collaboratori, i giocatori, la società che è stata sempre disponibile. Conta l’allenatore? Questo devono dirlo altri. Io posso garantire che ho fatto il mio lavoro con dedizione ed attenzione ed i giocatori mi hanno seguito sempre con convinzione».
Anche Del Piero? Nel giorno della festa era in panchina: «Certo, anche Del Piero, che si è comportato bene sempre, con grande rispetto ed educazione, come tutti, come ho fatto io con tutti i giocatori. Importante è saper gestire il gruppo, mandando segnali precisi a tutti. Del Piero giocherà più fresco domenica a Torino».
Mentre lui assicurava che nessuno degli uomini di primo piano sarebbe stato ceduto, compreso Trézéguet, giù nella seconda bolgia, accanto al pullman, l’educato Del Piero dichiarava di essere, come da copione, «strafelice per la vittoria venuta dopo un campionato intricato, estenuante, nove mesi di lotta ed un finale ingarbugliato».
Ed aggiungeva, a titolo personale: «Molto difficile per me in particolare, anche se alla fine ho ripreso ad essere decisivo e dunque ho avuto una doppia soddisfazione».
Lì accanto Emerson elogiava Capello: «Complimenti a lui per come è riuscito a creare un gruppo. Al suo primo anno di Juve ha vinto lo scudetto, fra un anno ci aspettiamo la Champions».
Ed allora Del Piero spiegava: «L’allenatore è responsabile, certo, delle vittorie e delle sconfitte, ma il segno distintivo di questa Juve per me è la compattezza. E grande merito va a quei giocatori, me compreso, che si sono trovati a giocare in situazioni di particolare difficoltà, come Ferrara, Montero, Appiah, Tacchinardi, e si sono dimostrati grandi uomini».
E gli altri? Trézéguet accennava alla sua annata altalenante: «Contava esserci nella partita più importante, a Milano: io c’ero ed ho segnato».
Ferrara, un altro che festeggerà a Torino, ricordava di aver vinto otto scudetti, ma diceva di essersi emozionato ugualmente.
«Io era una vita che giravo l’Italia», raccontava felice Cannavaro, «e finalmente ne ho vinto uno, di scudetto. Lo dedico alla mia famiglia, che da tempo aspettava una gioia così».
Nessun commento:
Posta un commento