mercoledì 24 agosto 2016

Luigi SIMONI


Ciuffetto, corto, dall’aria un po’ sbarazzina – scrive Beppe Barletti, su “Hurrà Juventus” dell’agosto 1967 –. Viso asciutto, occhi scuri sempre limpidi e ridenti. Un bel viso simpatico da ragazzo per bene. Sobrio e quieto nel parlare. Appropriato il dire, con ogni parola al posto giusto. Senza enfasi ma nutrite, ricche, le sue frasi. Di uno che con la lingua italiana ci sa fare senza intoppi. Gigi Simoni, ventotto anni, cinque di Serie A, tre nel Torino. Tre figli, belli e vispi, una moglie che lo adora e lo capisce. Niente «pazzie» nel suo modo di agire. Qualche svago (legittimo) un po’ di buona lettura.
È passato dai granata ai bianconeri senza rumore, quasi in punta di piedi. In un modo che rispecchia esattamente la sua natura elegante e un po’ schiva. I tifosi non hanno fatto sommosse, per lui. Era l’altro «Gigi» quello che volevano rimanesse ancora al Torino. Del «discreto» Simoni, passato ai rivali, si dispiaceranno solo gli intenditori di palato fino, quelli che badano alla sostanza più che alla forma. Se «paron» Rocco fosse rimasto alla guida del Torino, forse Simoni non avrebbe avuto via libera. Mister Nereo, pur prediligendo gli uomini forzuti fin dal tempo del suo Padova d’assalto, ha sempre tenuto in considerazione somma le «grosse teste», i calciatori cioè che sanno anticipare con il ragionamento l’azione che segue.
Il mio «pezzo» comunque, non vuole gettare al vento nuvole polemiche. Meroni era uno degli obiettivi della Juventus. La squadra campione d’Italia avrebbe tratto dal vispo «inventore» di Como i presupposti per variare in Coppa dei Campioni i suoi temi di attacco. Ed era dato per scontato che a Heriberto Herrera sarebbe toccato del lavoro supplementare per comporre il dissidio inevitabile tra la disciplina ferrea, (in campo e fuori) che gli è cara, e l’abilità ispirata del «genietto» Meroni.
Con l’arrivo di Gigi Simoni, Heriberto si troverà invece in mano una pedina che gli potrà fare più gioco del previsto. Simoni è maturo come uomo e come atleta. La famiglia occupa nel suo mondo il primo posto. Subito dopo c’è la sua carriera professionale. E il passaggio alla Juve campione viene a incidere in notevole misura sul suo futuro.
Non ama parlare troppo, Gigi Simoni. Almeno non di calcio. Una sera, qualche mese fa, eravamo insieme a cena. Noi due soli, con poca gente in sala. Avevamo come programma una visita al Salone dell’Automobile. Gigi è un fine estimatore di macchine. Per tutta la durata del pranzo, e il campionato era ben vivo, non parlammo che di vetture. Da competizione e da turismo, italiane e straniere. Il suo discorso era garbato e competente. Di rado si concedeva la «sparata». Preferiva puntare sul sicuro, su quello che conosceva. Quando il discorso cadde sul «mostro» di Lamborghini, la fantastica «Miura», Gigi Simoni ebbe una frase davvero indovinata: «Un incanto, senza dubbio. Ma non posso parlarne. Non ho la competenza necessaria per discuterne il rendimento, né i soldi sufficienti per possederla».
Era saltata fuori un’altra volta quella sua indole straordinariamente pacata e precisa, con un filo di astuzia campagnola nei risvolti del pensiero.
Ecco, Luigi Simoni, è il classico tipo che fa simpatia. Ti accorgi che la sua compagnia, discreta e signorile, si porta sempre appresso una lieve vena di scanzonatura.
In squadra, quest’anno, i compagni si troveranno accanto, in allenamento, in «ritiro» o in partita, un ragazzo giovane di anni e ricco di esperienza. Un uomo responsabile e capace, un atleta serio e intelligente. Tre anni di maglia granata, di situazioni non sempre facili, lo hanno temprato a dovere. Il «provinciale» Simoni si è trasformato. Ha preso il tono giusto della città senza dimenticare quel preziosissimo bagaglio che gli viene dalla nascita.
Non creerà problemi nuovi per «don» Heriberto. Questo è certo. Del trainer juventino, lo scorso anno, Simoni parlava volentieri. Tutte le volte che il nostro discorso cadeva sui sistemi di preparazione del paraguayano, Simoni si mostrava interessato al massimo. Le sue domande non erano fatte solo per curiosità. C’era in lui un desiderio forse inconsapevole di capire quello che accadeva sotto la regia sferzante di HH2. E ogni volta il suo commento era identico: «Se qualcuno alla Juventus protesta per la durezza della disciplina di Heriberto, dovrebbe ricordarsi che grazie ai “giri di vite” del suo allenatore il proprio valore sul mercato sta aumentando».
Era il «solito» bernoccolo di Simoni che sbucava all’improvviso. Quello del parlare serio e ragionato. Un pregio che l’ex ala granata svilupperà a suo favore nel nuovo ambiente. In casa Juventus da tre anni si marcia con assoluta dirittura: di intenti, di realizzazioni, di programma. Lo scudetto da onorare e la Coppa dei Campioni sono impegni gravosissimi per chiunque, l’Inter insegna. Per l’emiliano Luigi Simoni è in arrivo una stagione calda, ricca di imprevisti. Ma non temiamo per lui. È in grado di cavarsela a meraviglia.
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Nato a Crevalcore, in provincia di Bologna, il 22 gennaio del ’39 si trova, suo malgrado, al centro di un intrigo di mercato. La Juventus vorrebbe Meroni, ma la forte protesta dei tifosi del Toro, spinge l’avvocato Agnelli a rinunciare al beat granata e a ripiegare su Simoni, altro granata e sempre Gigi di nome. Simoni è lineare e pulito, piacevole, ma di poca incisività.
Rimane alla Juventus solamente nella stagione 1967-68, collezionando 13 presenze (11 in campionato e 2 in Coppa Campioni). Nell’estate del 1968 viene ceduto al Brescia. Dopo aver giocato anche nel Genoa, intraprenderà la carriera di allenatore.

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