Il più forte giocatore scarso di tutti i tempi. Potrebbe essere questo l’identikit di Filippo Inzaghi, detto Pippo. Scarso tecnicamente, goffo nei dribbling, costantemente a testa bassa, egoista come pochi. Eppure, riesce a sopperire alle mancanze grazie a un istinto e a un fiuto del gol da autentico killer. Nessuno come lui sa giocare sul filo del fuorigioco, nessun avversario può dormire sonni tranquilli, perché Pippo è letale come un cobra, basta un istante di distrazione e la palla è in rete. «Non è Inzaghi a essere innamorato del gol, è il gol a essere innamorato di Inzaghi», sentenzia Emiliano Mondonico.
Si potrebbe persino pensare che si tratti di un predestinato – scrive Stefano Salandin su “Hurrà Juventus” del giugno 1997 –: arriva da una terra che ha il cuore bianconero: l’Emilia; da una citta la cui squadra è gemellata con la Juve: Piacenza; da una stagione che lo ha consacrato re dei bomber con 24 gol, uno dei quali segnato anche a Peruzzi e proprio nella partita che ha dato lo scudetto numero 24 alla Signora. Insomma, a saperla leggere, c’era molto nella vicenda calcistica di Filippo “Pippo” Inzaghi che aveva il profumo di Juventus. Adesso quel vago sentore è diventato realtà bella e concreta, adesso che gli strateghi del mercato bianconero lo hanno strappato alla concorrenza internazionale (Atletico Madrid) e italiana (il Parma, ancora loro) spendendo 20 miliardi e facendogli firmare un contratto di 5 anni. E chissà che numero sceglierà Inzaghi per la sua nuova maglia bianconera? Chiederà ancora il 9, come quello che aveva quest’anno a Bergamo, nella sua stagione più bella, oppure punterà sul 24: i gol che ha segnato, lo scudetto della Signora, gli anni che compirà giusto il 9 di agosto: che sia il suo numero fortunato? Dettagli: non è il tipo, Inzaghi, che fa troppo affidamento sulla sorte: «Nessuno mi ha mai regalato nulla – spiega a chi gli chiede se non tema la concorrenza degli altri bianconeri – mi sono sempre guadagnato tutto sul campo, con il lavoro».
Una filosofia di vita semplice, efficace, sana, che ha respirato sin da bambino, da quando mamma Marina lo portava sul campetto dell’oratorio di San Niccolò, il piccolo centro alle porte di Piacenza dove è nato e dove ancora vive la sua famiglia. Volevano che facesse il portiere e lui ha ubbidito, per un po’, come educazione e buona creanza impongono, ma poi, diamine, all’istinto non si può fare violenza per sempre e lui ha cominciato a giocare in attacco e a segnare valanghe di gol. Qualche volta, nel San Niccolò, ha fatto coppia col fratello Simone, tre anni più giovane: si somigliano come due gocce d’acqua e si vogliono un bene dell’anima, altro che fratelli-coltelli. A Bergamo dividono anche la casa perché Simone, quest’anno, giocava nel Lumezzane dove ha vinto il campionato di Cl, un bis dopo quello dell’anno scorso con il Novara. Il fratellino Simone, papà Giancarlo e mamma Marina: ecco il vero segreto di Pippo Inzaghi, il mondo piccolo e semplice che gli dà rifugio nei momenti bui e che lo riporta alla realtà quotidiana in quelli felici, che potrebbero rischiare di diventare persino troppo esaltanti.
Perché può persino succedere di perderti se vinci due campionati d’Europa con l’Under 21, se il Parma ti fa esordire in serie A e in Coppa Coppe e poi tutto crolla per una botta al piede, se Maldini ti chiama in Nazionale e, mentre sei lì, a 24 anni, che aspetti di sfidare il Brasile, ti dicono che ti ha comprato la Juve per 20 miliardi. E invece tutto diventa più gestibile se qualcuno ha pensato a insegnarti il senso della misura e se è ancora lì a ricordartelo come quando ti ricordava che quel benedetto diploma da ragioniere bisognava proprio prenderlo e ad ascoltarti. Gli atteggiamenti di Inzaghi, del resto, sono un’efficace miscela di educata umiltà (nella stagione più bella per lui, ad esempio, non dimentica di esaltare Lentini: «Un fenomeno, avessi io la sua tecnica») e di consapevole sicurezza; «Lippi fa in turnover? Penso di presentarmi con buone credenziali».
Quelle dei gol, ma non solo: a Piacenza lo chiamavano “Peter Pan” per quella sua aria da eterno bambino che fa impazzire le ragazzine (non è fidanzato e riceve decine di lettere al giorno dalle ammiratrici); a Bergamo è diventato SuperPippo, qualcuno dice che ricorda Paolo Rossi, Cesare Maldini è convinto che sia il giocatore più promettente del calcio italiano. Insomma, sulla scommessa della Juve sono in molti pronti a puntare. Il primo, però, è proprio Inzaghi, che vorrebbe imitare la carriera di un altro bomber che, come lui, e partito da Leffe ed è passato da Piacenza: Beppe Signori: «Diventare la bandiera di una squadra – confessa Pippo – sapere che i ragazzini si identificano in te: sì, questo mi piacerebbe proprio».
Cinque anni di contratto sono un tempo sufficiente per riuscirci, per diventare uno degli idoli di questa Juventus decisa a restare in cima al calcio mondiale e che, per farlo, ha puntato sui “ragazzi italiani”. Si ambienterà presto, a Torino, Pippo Inzaghi: a due ore di autostrada dalla sua Piacenza e dai tiramisù della mamma, dalle colline verdi e ancora selvagge della Valtrebbia dove lui va a pescare, dal mare della Costa Azzurra dove ha comprato casa per ricaricare le pile al sole tiepido dell’inverno. Quando ha detto alla mamma che l’aveva comprato la Juve, lei ha tirato fuori dal cassetto una vecchia foto in cui lui, bambino che tifava Inter, stava tutto impettito in un completo della Juve (difficile, a Piacenza, che i bambini non ce l’abbiano). Quasi un sogno, ma adesso Peter Pan è diventato grande ed è volato in cima al mondo, alla Juve: ora sì che sogno e realtà sono la stessa cosa.
La Juventus di Lippi decide di privarsi di un giovane molto promettente e atleticamente esplosivo come Christian Vieri per puntare su Superpippo. La decisione è presa unicamente per motivi di bilancio. Luciano Moggi spiega che la Juventus cede Vieri all’Atletico Madrid, «perché la società spagnola si è presentata nella sede di Piazza Crimea con una valigia piena di quattrini e che, nello stesso tempo, ingaggiamo il capocannoniere del campionato italiano, approfittando del fatto che l’Atalanta si accontentata di una valigia più piccola».
La sua prima stagione in bianconero inizia tra lo scetticismo generale: si dice che lui e Del Piero formino una coppia di attacco troppo leggera. «La Juve è una macchina perfetta – dichiara – lo sapevo, altrimenti non l’avrei scelta. Se ho cominciato segnando, proprio come avevo smesso, il merito è soprattutto dei compagni. Nella Juve l’individualismo non esiste. Per questo non penso al titolo di capocannoniere, né al numero dei gol che potrò realizzare. Io e Del Piero non andiamo d’accordo? Siamo sereni, non c’è il minimo problema, è solo una questione di forma. Penso che la nostra scommessa sarà vincente: un attacco veloce, tecnico, agile. Non conta come si segna, ma quanto. Qui pare che nessuno abbia mai vinto nulla. È incredibile come i vecchi riescano a contagiare i nuovi. Tra tutti i rischi possibili, l’appagamento non lo vedo».
I due rispondono con i fatti: Inzaghi segna 18 gol in campionato e 6 in Champions League, Del Piero fa ancora meglio di lui, con 32 realizzazioni. La Juventus vince la Supercoppa italiana (3-0 al Vicenza, con una sua doppietta alla prima gara ufficiale in bianconero) e lo scudetto (grazie a una sua tripletta nella decisiva partita contro il Bologna), al termine di un appassionante duello con l’Inter. In Coppa dei Campioni, invece, dopo un cammino entusiasmante, la Juventus perde la finale ad Amsterdam contro il Real Madrid (0-1, rete decisiva di Mijatović, in netto fuorigioco). Superpippo segna a raffica: contro il Feyenoord, il Manchester United, in casa contro la Dinamo Kiev e una tripletta in Ucraina, sempre contro la compagine di Andrij Sevchenko. Adalberto Bortolotti, sulle pagine del “Guerin Sportivo”, annuncia che questo Inzaghi appartiene al filone dei Paolo Rossi, magari con maggior potenza di tiro.
Il 1998-99 è piuttosto negativo: Del Piero si fa male a Udine e perde tutta la stagione. Lippi si dimette a febbraio e lo sostituisce Ancelotti. Inzaghi non fa, comunque, mancare il suo apporto di gol, ma i risultati sono deludenti. In Coppa Campioni, la Juventus è eliminata in semifinale dal Manchester United, nonostante la doppietta di Pippo nei minuti iniziali della partita. Nella massima competizione europea, Inzaghi realizza 6 gol, di cui uno meraviglioso, con una spettacolare rovesciata, contro i turchi del Galatasaray. In campionato, le cose vanno ancora peggio. La squadra bianconera finisce fuori dalla zona Champions League e perde la possibilità di accedere alla Coppa Uefa, perdendo lo spareggio con l’Udinese. Comunque sia, le realizzazioni del cecchino bianconero sono 19 in 42 partite.
La stagione 1999-2000 si apre con la vittoria della Coppa Intertoto, anche grazie ai numerosi gol di Inzaghi (7 in 4 partite). La Juventus disputa un ottimo campionato, rimanendo in testa per quasi tutto il torneo, poi perso nella “piscina” di Perugia. Inzaghi segna 15 gol fino a marzo, poi si blocca dopo una doppietta al suo Piacenza. Il suo innato ed eccessivo egoismo comincia a creare qualche problema, soprattutto con Del Piero. Pinturicchio è ritornato dopo il grave infortunio e stenta a trovare la via della rete su azione, mentre è infallibile dagli undici metri. A Venezia la situazione precipita: la squadra bianconera è in vantaggio per 3-0, grazie al rigore di Ale e alla doppietta di Superpippo. Manca una manciata di secondi alla fine: Inzaghi è lanciato solo davanti al portiere. Alza la testa e vede Del Piero; sarebbe facile appoggiare al compagno e permettergli di segnare la prima rete su azione della stagione. Invece, Pippo salta il portiere e mette la palla in rete. Negli spogliatoi succede di tutto. Ale è furioso con il bomber piacentino, si racconta che i due vengano alle mani. Ci vorrà tutta la capacità dei dirigenti bianconeri (Moggi in primis) per ristabilire la calma. Dirà Pippo qualche mese dopo: «Di questa storia dei litigi non voglio parlare mai più». Risponde Ale: «Chi ci conosce, sa qual è la verità».
Qualcosa si è rotto. La società juventina acquista David Trézéguet, giovane bomber francese, e Inzaghi comincia a capire che il suo tempo a Torino sta per finire. La Juventus comincia la stagione malissimo. Eliminata al primo turno di Coppa dei Campioni (anche grazie alle espulsioni di Davids e Zidane e alle “papere” di Van der Sar), nonostante le 5 realizzazioni di Superpippo (di cui 3 ad Amburgo). La Juve esce anche dalla Coppa Italia, per mano del Brescia di Darione Hübner. In campionato, la squadra bianconera segue a distanza la Roma, non riuscendo quasi mai ad avvicinarla. Pippo segna 11 gol, ma fallisce un rigore contro il Lecce, spegnendo quasi definitivamente le speranze di aggancio della compagine giallorossa. Dopo il pareggio per 2-2 contro la stessa Roma, Inzaghi vede il campo sempre più raramente. La società ha deciso di puntare su Trézéguet e Pippo deve accontentarsi di guardare le partite dalla panchina. Il suo bottino finale è di 16 reti in 34 partite.
Durante l’estate del 2001 l’alleanza politico-economica-calcistica fra Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi porta Inzaghi al Milan, in cambio del via libera per Thuram. Il vecchio Diavolo che, per rifondare la squadra si è affidato al profeta Terim, punta decisamente sul ritorno al gol dell’ex bianconero. A fornirgli le munizioni ci penserà il portoghese Rui Costa. Quando ritrova Ancelotti, rinasce il vecchio feeling e saranno scudetti e Coppe Campioni.
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