domenica 21 febbraio 2021

I FRATELLI BOGLIETTI

 

SALVATORE LO PRESTI, DAL SUO LIBRO “TANGO BIANCONERO”
La storia dei fratelli Ernesto e Romulo Boglietti ha più i connotati di un autentico romanzo d’avventure che non della fredda biografia di due giocatori di calcio. Una storia che nasce in Italia, dove Ernesto Boglietti senior, novarese, sposatosi con la torinese Maria Borghi partì, come migliaia di altri connazionali, per il Sud-America, più precisamente per l’Argentina, col cuore pieno di speranza in una vita migliore, quello che il nostro Paese, in quell’epoca, non era in grado di offrire. I coniugi Boglietti – come tutti gli altri compagni d’avventura – poterono approfittare della Legge delle Colonie emanata dal Governo Gravier, che concedeva un pezzo di terra e incoraggianti sgravi fiscali agli immigrati. La maggior parte degli italiani, quasi sempre di origine contadina, preferirono la campagna, che era il loro elemento naturale e nel quale pensavano di trovarsi più a loro agio.
L’intraprendenza di Ernesto Boglietti e l’origine cittadina della moglie Maria consigliarono però alla coppia di tentare coraggiosamente l’avventura in città, che a prima vista poteva sembrare una scommessa. Ebbero buon fiuto quando scelsero Cordoba, capoluogo della provincia omonima, situata al centro del Paese, ai piedi delle Sierras Chicas e sulle sponde del fiume Primero, a quasi 700 km. dalla capitale Buenos Aires. Fin dal loro arrivo i Boglietti si istallarono in una casa all’821 di Calle Lima, nel barrio Generale Paz. Dopo qualche lavoretto iniziale e dopo avere studiato attentamente l’ambiente, Ernesto Boglietti aprì un’agenzia di pompe funebri. L’idea si dimostrò vincente e le condizioni economiche della famiglia progredirono con rapidità, parallelamente con la crescita del nucleo familiare. Il 29 maggio di quello stesso 1894 venne alla luce il loro primogenito, chiamato Ernesto Inocencio e battezzato il 30 agosto presso la chiesa di Nuestra Senora del Pilar.
Lo seguirono a stretto giro di gravidanza, Romulo (24 settembre 1895), Octavio (25 luglio 1896) e nella scia, più distanziati, Clotilde Maria, Amalia Ernestina e infine Pedro, nel 1906. Papà Boglietti ebbe buon fiuto sul piano finanziario però, perché in una città abitata in gran parte dagli operai che lavoravano alla costruzione del Ferrocarril Central Cordoba, fu abilissimo nell’acquistare a bassissimo prezzo gli appartamenti delle famiglie degli operai che, concluso il periodo del proprio ingaggio, si trasferivano a cercar maggior fortuna in altre località o magari a intraprendere altre attività.
Ernesto jr., Romulo e Octavio vissero una infanzia serena in un barrio cosmopolita, ma nel quale gli italiani erano in maggioranza e presto si dedicarono al calcio, sport abbastanza diffuso nel paese, compresa Cordoba.
Nei primi anni del secolo gli appassionati di calcio si moltiplicavano soprattutto fra i ceti più popolari e improvvisavano terreni di gioco abbastanza rudimentali, in molti quartieri ma soprattutto nel barrio General Paz, che ospitava immigrati provenienti dall’Europa già abbastanza sensibili al fascino dalla palla rotonda. Fra i giovanissimi adepti del futebol non potevano mancare gli italiani. E i giovanissimi Ernesto e Romulo Boglietti, presto seguiti dal fratello minore Octavio, cominciarono a tirare i primi calci sui campetti del Gimnasiay Esgrima General Paz, per amore a prima vista o più semplicemente perché più vicini – solo quattro isolati – alla loro abitazione di Calle Lima.
Nel 1908 la svolta nella loro vita. Due anni dopo la nascita del sesto figlio Paulo e dopo che l’agenzia di pompe funebri che gestivano aveva consentito loro di mettere da parte consistenti risparmi – per nostalgia o per desiderio di riunirsi ai familiari lasciati in Italia, o più probabilmente, per assicurare studi regolari in Italia alla numerosa prole – decisero di cedere la loro lanciatissima attività e di rientrare nella terra d’origine. I Boglietti scelsero Torino, la città natale di Maria. Quando partirono Ernesto aveva già 14 anni, Romulo 13 e Octavio 12 e tutti e tre disputavano i tornei giovanili di Cordoba con la loro squadra. Rientrati in Italia e sbarcati a Torino, si cercarono subito una formazione adatta alla loro età.
Non si hanno notizie precise su quale sia stata la società che li ha accolti, ma il fatto che nel 1912 Romulo, il secondo dei tre, giocasse con le riserve del Torino mentre Ernesto indossasse la maglia dell’Eporiedense, che partecipava al torneo di Terza Categoria e Ottavio, il più piccolo, sia stato allineato – seppure solo in qualche rara amichevole – fra le file dell’Ivrea, fa ragionevolmente supporre che tutti e tre abbiano iniziato nei ranghi del settore giovanile granata, quello che qualche decennio dopo sarebbe stato battezzato col celeberrimo appellativo di Balon Boys, scegliendo successivamente un club che consentisse loro la possibilità di giocare in qualche modo.
Speranza che certamente si concretizzò se, ai nastri del campionato 1913/14, quello della rinascita bianconera, li troviamo tutti e tre nei ranghi della Juventus, Ernesto e Romulo fin dall’inizio, Octavio nel finale di stagione quando colleziona un paio di apparizioni, forse giocando più stabilmente nella formazione riserve.
Ma chi erano, tecnicamente, questi Boglietti? Ernesto Inocencio era un attaccante molto veloce, dal fisico non poderoso, ma veloce, abilissimo nello sgusciare fra i difensori avversari, a quel tempo invero piuttosto statici. Oggi lo definiremmo un attaccante esterno, allora Vittorio Pozzo, che lo conosceva bene, lo considerava ala sinistra a tutti gli effetti. Ma a quei tempi non c’erano certe raffinatezze tattiche di oggi. Ernesto era in possesso di un tiro abbastanza potente e preciso. Alla fine del suo primo campionato aveva messo a segno 15 gol (10 nel girone di qualificazione, 5 nel girone finale) che diventarono 25 sommando i 10 firmati nel corso della sua seconda stagione in bianconero. Complessivamente 42 le gare disputate (28 nel campionato 1913/14, 14 nel torneo successivo).
La prima vittima di Ernesto Boglietti, alla quinta giornata di campionato, fu il portiere del Como, il marchigiano Leopoldo Dotti. Rotto il ghiaccio l’italo-argentino andò a segno per altre due giornate consecutive. Nel corso della stagione firmerà tre doppiette, la prima delle quali, ai danni di Mario De Simoni, storico portiere della Milanese che aveva al proprio attivo 7 presenze in Nazionale ed era stato il numero uno anche nella storica prima uscita della squadra azzurra nel 1910 contro la Francia. Le altre due al comasco Dotti e allo stesso De Simoni nella gara di ritorno.
Alla fine del campionato, con l’Italia appena entrata in guerra, a Ernesto e a Romulo Boglietti arrivò la cartolina per la chiamata alle armi. E loro, che dentro il cuore si sentivano italiani fino al midollo, aderirono con entusiasmo: Ernesto fu assegnato a un reparto di fanteria automobilistica di stanza in Macedonia, mentre Romulo finì in aviazione dove fu addestrato e presto divenne sergente pilota.
Alla fine della guerra, mentre la sorella Clotilde e i genitori tornarono in Argentina, Ernesto, Romulo e lo stesso Octavio, si dettero da fare per riprendere l’attività calcistica. E tutti e tre si ritrovarono in maglia granata. Bisogna sottolineare che in quei tempi non c’erano le astiose rivalità di oggi. Anche se militavano in formazioni diverse e avversarie i giocatori erano quasi sempre amici fra di loro. Quindi non c’era nessun problema a passare da una squadra all’altra anche nella stessa città. Gli eccessi di oggi, alimentati dalle menti bacate di alcune frange degli ultras, non se li sognavano nemmeno.
Pur non avendo trovato riscontro la voce secondo cui Ernesto e Romulo avrebbero partecipato alla trionfale tournée sudamericana – Brasile e Argentina – del Torino, ebbero una parte tutti e tre nel campionato che si concluse con il Torino qualificato per la fase finale e quarto, dietro Inter, Bologna e Novara nel gironcino a sei che assegnò il titolo ai nerazzurri milanesi. 
Vittorio Pozzo, tecnico di quel Torino, utilizzò Ernesto e Romulo 17 volte, mentre Octavio giocò solo 16 partite. Anche fra i bomber Ernesto Boglietti con 5 gol fu preceduto solo da Mosso I (6 centri). Octavio segnò 4 gol e Romulo uno solo (nel derby pareggiato con la Juventus). Ernesto Boglietti alla fine della stagione cambiò ancora casacca passando nelle file dell’U.S. Torinese (segnando un gol contro il Torino e uno contro la Juve) che nella classifica finale si piazzò alle spalle dei granata e davanti alla Juve. Emigrò ancora alla fine del campionato 1920/21 spostandosi in Liguria, a Savona, ritornando alla Torinese nella stagione successiva. L’ultima e la meno brillante della sua vicenda calcistica italiana.
Nel frattempo concludeva gli studi di Architettura e tornava in Argentina, ma anziché esercitare la professione preferiva aprire un elegante negozio di scarpe nella centrale Calle Santa Rosa e, successivamente, comprando anche una estancia per l’allevamento delle vacche.
‘‘Non lavorarono mai Ernesto e i suoi fratelli – raccontò il suo grande amico Juan Filloy – ma vissero di rendita con gli affitti dei numerosi appartamenti aveva lasciato loro il padre. Giocavano ai cavalli e frequentavano i cabaret e le case del tango, il ballo che ormai dilagava in tatto il paese”.
Ernesto Boglietti morì prima dei suoi fratelli, verso la fine degli anni cinquanta.
Romulo, meglio noto come Boglietti II, era invece un centrocampista dal fisico poderoso, in possesso di una grande autonomia grazie a due polmoni inesauribili, correva per novanta minuti coprendo il campo in lungo e in largo. Possedeva anche una buona tecnica e una non trascurabile visione di gioco che gli consentiva di organizzare la manovra con lucidità. Al punto da indurre Vittorio Pozzo – all’epoca direttore tecnico del Torino e Commissario Unico della Nazionale Italiana – a definirlo in maniera estremamente lusinghiera: “Centromediano nato, centromediano metodista ovviamente, cervello pensante della squadra. Tutto questo con un fisico slanciato, snello e veloce”.
Anche Romulo Boglietti, regista sagace ma anche mobilissimo, non disdegnava la ricerca del gol: ne segnò tre nella sua prima stagione juventina, due nella stessa partita, quella che la Juventus vinse per 8-2 sul campo del Novara, e uno al Genoa 7 nell’ultima giornata del girone finale. Entrambe in trasferta. Una traccia nella storia bianconera dunque la lasciarono i Boglietti. Anche se il connubio, sia per Ernesto che per Romulo, non superò il biennio. Pur essendo partito per la guerra (da sergente aviatore) ne ebbe di tempo libero Romulo Boglietti perché fra il 1915 e il 1917 ebbe occasione di disputare una dozzina di partite in un paio di tornei – la Coppa Federale e la Coppa Liguria – con la maglia del Genoa.
Nel 1918, a conflitto concluso, passò all’Inter con cui disputò due dei numerosi tornei che venivano organizzati per supplire alla mancanza di un campionato regolare: la Coppa Mauro e la Coppa Biffi. Complessivamente tre o quattro partite. Nel 1919 tornò in granata insieme col fratello Ernesto e lo seguì nel suo stesso itinerario: Torino-U.S. Torinese-Savona-U.S. Torinese. Con un bilancio lusinghiero: circa 40 partite e tre gol.
Dei tre fratelli Romulo, cioè Boglietti II, era forse quello che aveva le migliori qualità. Infatti nel 1917, poco prima che finisse la guerra, forse in una pausa del suo servizio militare, indossò anche la maglia azzurra della Nazionale. Una Nazionale sperimentale, con alcuni giovani inseriti in un’ossatura di giocatori più esperti, che affrontò a Milano il Belgio perdendo 3-4. Non essendo gara ufficiale fu diretta da un arbitro italiano, Giovanni Mauro e si disputò il 3 giugno all’Arena di Milano.
Dopodiché anche lui riprese la via dell’Argentina ma anziché a Cordoba si sistemò a Mendoza. Gli stili di vita dei fratelli non si discostavano molto, grazie agli ingenti beni lasciati loro dal padre. Romulo morì a Mendoza il 9 novembre 1955.
Octavio Boglietti III, il più giovane dei tre, fu quello che fece una carriera meno brillante. Dopo una stagione senza alcuna visibilità nella Juventus – probabilmente fu utilizzato solo nella formazione B – passò anche lui al Torino nel periodo bellico, ma giocò solo alcuni tornei (Coppa Federale, Coppa Pie-monte, Coppa Brezzi) prima di disputare una stagione in prima squadra, quella del 1919/20 in cui si mise in luce grazie ai 6 gol segnati in 16 partite. Octavio fece parte in due occasioni della Rappresentativa Piemontese che nel periodo bellico giocò nel maggio del 1916 contro il Torino e che, dopo il suo passaggio alla U.S. Torinese, affrontò nel maggio 1921 una selezione laziale. Dopo tre buone stagioni nella Torinese tornò a Cordoba e giocò nel General Paz Junior. Diventò poi dirigente e sostenne concretamente la società, vendendo persino un appartamento per acquistare dei giocatori che rinforzassero la rosa. Morì a Cordoba il 15 maggio 1948.
Nota curiosa: tutti i Boglietti maschi (i tre fratelli calciatori e il più piccolo della famiglia, Pedro, scialacquatore impenitente e morto in povertà), sono rimasti celibi. Solo una delle femmine si sposò ed ebbe tre figli.

Nessun commento: