Nasce a Rimini, il 14 febbraio 1981, secondo di quattro fratelli, tutti calciatori. Come tanti calciatori in erba, muove i primi passi in oratorio: «Mega ammucchiate sul pallone – ricorda – chi lo prendeva, provava a tirare dritto fino in porta. Però, così, si impara tanto!». E, infatti, Matteo, a quattordici anni, approda al Rimini, in Serie C2. Nessuna presenza nella prima stagione, la 1997-98, ma le soddisfazioni cominciano ad arrivare l’anno dopo, nel quale Matteo colleziona dieci presenze e due reti in campionato.
Nell’estate del 1999, è acquistato dalla Juventus, che crede tantissimo in lui; l’idea della società bianconera è quella di farlo giocare con la squadra Primavera, prima di farlo approdare alla prima squadra. Inaspettatamente, Matteo rifiuta il trasferimento. La terza stagione a Rimini è quella della definitiva consacrazione. Matteo scende in campo per trentaquattro gare e totalizza sei reti; un bottino non indifferente, considerato il suo ruolo da centrocampista.
Terminata la stagione, Matteo non ha più dubbi, e prepara la valigia per Torino.
LUIGI GUELPA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 26 LUGLIO-1 AGOSTO 2000
«Quello che ho potuto notare nei primi giorni di ritiro è che la Juventus ha una grande fame di vittorie. Buona parte di questi campioni è reduce da una stagione entusiasmante che si è conclusa con la beffa di Perugia. Alcuni di loro hanno anche perso il titolo europeo con la Francia. Poi ci siamo io e Max Vieri, che con il Rimini e il Brescello non siamo riusciti a ottenere la promozione in C1 nella finale dei play off. Per diventare campioni d’Italia a volte non bastano le grandi firme, gli ingaggi a colpi di miliardi. Servono anche gli stimoli e la Juventus di stimoli ne ha e ne dà parecchi».
Ha appena diciannove anni, Matteo Brighi, ma parla già con la maturità e la sicurezza di un veterano. Gli sono bastati pochi giorni di ritiro tra i monti della Valle d’Aosta, per capire quanto grande sia il desiderio di riscatto della Juve. Un desiderio di scucire dalle maglie della Lazio quello scudetto sognato, corteggiato, accarezzato fino all’ultimo, ma che, proprio all’ultimo momento, ha preferito godersi il sole all’Olimpico piuttosto che il cielo plumbeo e la pioggia battente che flagellavano il Renato Curi.
Brighi viene considerato, non a torto, uno dei giovani più interessanti del panorama calcistico nazionale. A chi gli sussurra della sentenza Bosman, che ha creato un’autentica rivoluzione nel mondo del pallone, relegando in un angolo (e nelle serie inferiori) i talenti nostrani, risponde con un sorriso. «L’invasione di stranieri nel campionato? Non è affatto una disgrazia per il calcio italiano, né tanto meno per i giovani. Forse la selezione diventerà sempre più dura, ma alla fine i più bravi emergeranno ugualmente. Guardate il milanista Gattuso, ha dovuto emigrare giovanissimo in Scozia per mettersi in mostra. Ora è al Milan, ha vinto un titolo europeo under 21 e viene indicato tra i papabili azzurri della Nazionale di Trapattoni».
Insomma, per i più bravi c’è sempre spazio, anche se Matteo ha rischiato lo scorso anno di perdere il treno che porta al successo. Luciano Moggi lo vide all’opera nel Rimini, appuntando il suo nome sul taccuino, ma Brighi decise di rimanere ancora un anno in Romagna. «In tutta onestà non mi sentivo pronto per il grande salto di categoria. Non avevo ancora compiuto diciotto anni e nel Rimini avevo giocato appena lo straccio di sedici partite e neanche tutte da titolare. Poi c’era anche il discorso della scuola, volevo prima prendere il diploma, far felice la mia famiglia. Quest’anno sono riuscito a concludere gli studi, ho giocato trentotto partite realizzando otto reti. In quel momento ho capito che era giusto provare l’avventura nella Juventus».
Dai terreni della C2 allo Stadio delle Alpi, a qualcuno potrebbero saltare i nervi, ma Brighi sembra sereno, pronto a cimentarsi sul più grande palcoscenico al mondo. «A Rimini si respira ancora l’aria sana di provincia, in Serie A la situazione è diametralmente opposta. In questi primi giorni in maglia bianconera ho potuto notare l’estrema professionalità e la programmazione. Quando torneremo a Torino la pressione aumenterà ulteriormente. Devo però riuscire a vivere questa esperienza con grande serenità, cercando di imparare rapidamente da questi grandi campioni. Farò quanto è nelle mie possibilità per ritagliarmi lo spazio che merito».
Non è un proclama di guerra, ma poco ci manca. Matteo Brighi, la fulgida stellina del Rimini targato Marco Alessandrini, è intenzionato a sgomitare pur di farsi largo. Lui, centrocampista centrale con il vizio del gol, dovrà battersi con i vari Tacchinardi, Davids e Conte, oltre a O’Neill, per conquistare una maglia da titolare. Mostri sacri che nella passata stagione hanno relegato in panchina il tanto decantato Sunday Oliseh. Il nigeriano che sembrava dovesse spaccare il mondo e che invece è stato impiegato con il contagocce prima di emigrare a Dortmund.
Sul piatto d’argento il giovane e ambizioso riminese può mettere le esperienze maturate con le nazionali giovanili.
Matteo scende in campo solamente dodici volte: è difficile trovare spazio in mezzo a tanti campioni. E il suo futuro non può essere la panchina, i dirigenti bianconeri lo sanno bene: per crescere bisogna giocare. Per questo, nell’estate 2001, va in prestito al Bologna, dove conquista subito una maglia da titolare, pienamente meritata. Nella squadra di Guidolin, il giovinotto romagnolo disputando una stagione eccellente, dimostrando grinta e personalità, oltre a doti tecniche da campione: con trentadue presenze, risulta uno dei migliori giovani centrocampisti del panorama italiano.
Nel 2002-03 ritorna alla Juventus: «Il fatto che Luciano Moggi mi abbia personalmente detto che, per garantirmi la maglia della Juventus, la società ha deciso di rinunciare a importanti operazioni di mercato, mi ha inorgoglito molto e mi ha dato la misura di cosa dovrò fare nel prossimo campionato: dovrò cioè produrre fatti e meritare tanta stima, rispondendo in concreto alle speranze che i miei dirigenti e il tecnico hanno posto sulla mia persona. Mi rendo perfettamente conto che questa sarà una stagione particolarmente importante. Un vero e proprio anno della verità. Il mio impegno profondo sarà quello di non tradire le attese. Parto con un compito da scrivere bene, ma quando ci sono le motivazioni, è bello, no? Un anno di Bologna ha mi ha permesso di conoscere maggiormente la Serie A. Penso di aver imparato a stare meglio in campo e credo pure di aver assimilato quel concetto della responsabilità che alla Juve sarà più impegnato che mai: perché questa è proprio un’altra storia».
Ma dopo aver conquistato la Supercoppa Italiana contro il Parma, è ceduto in prestito proprio alla squadra ducale, per non far più ritorno in riva al Po se non da avversario: «Della Juventus mi porto dietro la franchezza di Lippi e il gruppo, guidato da grandi personalità come Ferrara e Del Piero. Quando guardi Del Piero in allenamento ti rendi conto cos’è un fenomeno. Anche nel comportamento».
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