sabato 19 dicembre 2020

PARMA - JUVENTUS


8 gennaio 1995 – Stadio Tardini di Parma
PARMA – JUVENTUS 1-3
PARMA: Bucci (Galli dal 31’); Di Chiara (Benarrivo dal 48’), Minotti, Apolloni e Couto; Sensini, D.Baggio e Crippa; Branca, Zola ed Asprilla. In panchina: Castellini, Caruso e Pin. Allenatore: Scala.
JUVENTUS: Peruzzi; Ferrara, Torricelli, Fusi, (Jarni dal 60’) e Carrera; Paulo Sousa (Marocchi dall’84’), Tacchinardi e Conte; Vialli, Del Piero e Ravanelli. In panchina: Rampulla, Orlando e Di Livio. Allenatore: Lippi.
Arbitro: Ceccarini di Livorno.
Marcatori: Baggio al 57', Paulo Sousa al 63', Ravanelli al 70' e al 74' su rigore.

Quindicesima giornata del girone di andata del campionato 1994-95. Il Parma di Nevio di Scala è in testa alla classifica; non è una sorpresa, perché è già da qualche stagione che il presidente Tanzi ha allestito una squadra in grado di competere con le grandi. La Juventus segue ad un punto. È la Juventus della triade Moggi, Giraudo e Bettega. Soprattutto, è la Juventus di Marcello Lippi, appena arrivato dal Napoli per cercare di rilanciare la squadra piemontese, a secco di vittorie da troppo tempo. Quella fra gialloblu e bianconeri sarà una lotta infinita e per gli avversari rimarranno solamente le briciole. La Juventus festeggerà lo scudetto e la Coppa Italia, vinta in finale contro il Parma. La squadra emiliana alzerà la Coppa Uefa, conquistata proprio a spese dei bianconeri. La partita del Tardini è di importanza fondamentale. Una vittoria della compagine di Scala, significherebbe mettere una pesante ipoteca sulla vittoria finale. Al contrario, se a spuntarla fosse il sodalizio bianconero, sarebbe la rampa di lancio per una stagione ricca di soddisfazioni.

“IL CORRIERE DELLA SERA”
Cercate Scala. È lui, e la cervellotica formazione allestita con le sue mani, la causa principale della sconfitta del Parma contro la Juve: il tecnico ha improvvisamente corrotto il gioco e frantumato senza motivo l’equilibrio complessivo eludendo, con il sacrificio di Pin, la funzione del centrale di centrocampo. Infine, ha chiesto ad Asprilla di non essere nemmeno l’ombra di sé. Il colombiano non ha tardato ad accontentarlo.
Ma la glorificazione della Juve non merita di essere intaccata: è completo ed esclusivo patrimonio di proprie virtù (quinto successo esterno). Siamo certamente al cospetto di una squadra che ha imparato a crescere senza Roberto Baggio, in ragione di una lievitante personalità collettiva e di conoscenze felicemente mediate tra il calcio tradizionale e quello moderno: fondo, velocità e preparazione atletica hanno stabilito le prioritarie distanze tra emiliani e torinesi, determinando un gruppo bianconero in grado oramai di sprigionare il pressing con costanza e di mantenere lo schieramento corto e stretto.
L’inizio dell’anno, dunque, fa coincidere la conferma di una tendenza già espressa con la fine del piccolo luogo dei buoni sentimenti parmensi, il ridimensionamento di molti protagonisti a dignitosi comprimari. Per lo scudetto, un’unica iscritta: la Juve di Marcello Lippi. Non è una formula, ma un’etichetta: vince con Roberto Baggio (goal al Milan), ma soprattutto senza di lui. Vince con Vialli (due reti alla Fiorentina), ma vince anche quando le resta solo Del Piero (doppietta alla Lazio).
Contro il Parma, in casa di un avversario che vi aveva sempre vinto, la Juve si è presentata in piena sottrazione di talento e forza: ancora assente Roberto Baggio, assente anche Kohler, stropicciato Fusi, malconcio Vialli. Stavolta ha vinto con Ravanelli e la decisiva prestazione di Torricelli, ecco il marchio di Lippi: annullato Asprilla, assicurata propulsione alla fascia.
La Juve ha subito un goal al 12’ della ripresa, nel secondo tiro in porta del Parma (diagonale destro di Dino Baggio, smarcato da un tocco di Asprilla). Reagire a questa palese ingiustizia del calcio non era facile. In cinque minuti la Juve l’ha riparata ed è stato l’unico momento della gara in cui la fortuna l’ha assistita. Non è di tutti i giorni trovare un goal del portoghese Sousa (il primo in Italia) grazie alla duplice collaborazione di Couto e, soprattutto, di Giovanni Galli. Il dodicesimo si trovava in campo dal 31’, cioè quando Bucci si era arreso ad una distorsione del ginocchio sinistro. L’infortunio era conseguenza di un’uscita immolatrice dello stesso Bucci su Torricelli.
La partita non è stata bella, ma ha avuto spruzzate fascinose proprio quando si determinava lo spazio per attaccare (Juve quasi sempre, Parma quasi mai) e la velocità iniettava la manovra, rendendola spigliata. Bello e coerente è stato il raddoppio di Ravanelli (solo otto minuti dopo il pareggio di Sousa), perché il gesto, già di per sé meritevole (tuffo di testa ad anticipare la scarpa di Sensini), è stato propiziato da un cross di Vialli, a sua volta capace di smarcarsi senza palla, seguendo l’invito di uno straripante Torricelli. E non dissimile è il movimento che caratterizzava la ricerca della profondità di Vialli, atterrato in area da Apolloni al 29’, stavolta su assist di Ravanelli.
La trasformazione premia la giornata di chi ha ormai riscattato una condizione di perenne mediocrità dovuta spesso (e lo diciamo con colpevole partecipazione) alla cecità della critica. Non solo Ravanelli, comunque. Come detto, anche tantissimo Torricelli, tanto Sousa, un buon Vialli, una difesa di certezze. Quel che si dice, una squadra. Penalizzati i singoli. Non è stata, come era lecito attendersi, la sfida Zola-Del Piero (superati nel male solo da Asprilla e, forse, da Couto), né poteva essere Bucci-Peruzzi, o Couto-Sousa. Il calcio è il tutto. L’individuo è una parte. Non può essere che così . Perciò, non poteva che essere Juve.

PARMA SQUADRA 4. Torna a giocare come ad inizio di stagione, quando vinceva senza essere nemmeno decente. Stavolta indecentemente si sgretola. Il ricorso storico conferma che la ripresa dopo la sosta fa male agli emiliani. Ma la sosta danneggia di più Scala che, trovato l’assetto con Pin nel ruolo di centrale fisso dopo il grave infortunio a Brolin, lo scompagina con un un’idea bislacca: il tridente d’attacco, che significa porre fuori dal contesto Asprilla, in pratica nell’inoffensivo ruolo di tornante di destra; espropriare Dino Baggio della propria libertà di incursione. In tutto questo, è proseguita l’ardita sperimentazione della retroguardia disposta in linea, spesso a quattro, per agevolare il fuorigioco. Gli uomini che la compongono di tutto avevano bisogno tranne che di un’ulteriore complicazione e proprio contro un avversario aggressivo.
DIFESA 4,5. L’uscita di Bucci condiziona pesantemente il reparto, già angosciato dalle condizioni precarie di Minotti e dalla posizione insignificante di Sensini. L’argentino finisce per fare il terzino destro, senza prolusione. Un’autentica evirazione del 3-5-2. Pessimo Couto soprattutto di piede. Di più: si fa espellere per eccessi. In effetti, spesso il Parma in difesa si schiera in linea. Di Chiara è una sorta di mediano che, fin quando c’è, si propone a sinistra. L’esordio di Benarrivo, al posto di Di Chiara strappato, illude. Su Giovanni Galli non si infierisce. Apolloni il più convincente.
CENTROCAMPO 5. Dino Baggio (sufficienza solo per il goal) nel ruolo di centrale, cioè l’errore corretto da qualche domenica, sembra una provocazione al buonsenso. Tanto più che Dino riesce ad essere convincente nell’unica occasione in cui si stacca prepotentemente, inserendosi dalle seconde linee. A destra, non lo aiuta Sensini, troppo impegnato a difendere, a sinistra Crippa si sdoppia, ma si dimezza. Gli avversari hanno sempre un uomo in più .
ATTACCO 5. Dissolto Asprilla in un’opera di contenimento comunque deficitaria, Zola non trova spazio, né compagni con cui dialogare. Branca porta palla, la squadra è sempre troppo lunga. Quanto a schemi, zero assoluto: né incroci, né tagli. Una domanda ai sostenitori della libertà e fantasia del singolo: quando tutto ciò finisce, chi soccorre la squadra?

JUVE SQUADRA 7. La modernità di Lippi è di avere eretto un complesso dotato di molteplici vasi comunicanti e di una forte coerenza interiore. Tre punte sempre, al 1’ come al 90’, qualità prima di tutto, attenzione ai test sulla forma. C’è l’impianto e ci sono schemi. Per esempio, in attacco si vede quasi un dispositivo a tempo che funziona in base ad interscambi continui, in partenza ed in corsa, tra Vialli, Ravanelli e Del Piero. Uno a turno, quando non addirittura due su tre, tornano ed accorciano la squadra.
DIFESA 6,5. È un reparto impostato secondo tradizione. Fusi libero, Ferrara e Carrera in marcatura. I tre, in certe situazioni sono sufficienti, in altre hanno bisogno di supporti. Ieri, per esempio, grazie ad una condizione fiammante, Torricelli è stato decisivo. Prima, a sinistra, ha bloccato Asprilla. Poi, con l’ingresso di Jarni e lo spostamento di Carrera a libero, ha azzerato quel che rimaneva di Branca. Lippi ha avuto l’occhio di capire che Torricelli offriva superiori garanzie rispetto ad Orlando. Anche a questo serve un tecnico. Nota a margine: quasi inoperoso Peruzzi. Il voto lo guadagna per prontezza di riflessi su Branca.
CENTROCAMPO 7. Dipende in gran parte da Sousa, che ormai non è più solo un oppositore, ma un facilitatore di gioco, tessitore di trame varie, apparentemente elementari, in realtà costanti. Se la palla sta tra i suoi piedi gira sempre e sempre di prima. È piaciuto anche Tacchinardi. Su livelli accettabili, ma non sta ancora bene, Conte. All’efficenza del reparto contribuisce Torricelli, l’uomo in più .
ATTACCO 7. Spendiamo volentieri, affinché acceda ai massimi siti, ovvero la nazionale di Arrigo Sacchi, una segnalazione per Ravanelli. È un’opinione confortata dalle cifre, che è vero, che non spiegano tutto, però indicano una certa continuità di realizzazione. Ravanelli tra campionato e coppe ha così diviso i suoi goal: cinque in questo torneo, otto in Coppa Uefa, quattro in Coppa Italia. Con tutto il rispetto per la ritrovata vena di Vialli, Ravanelli merita una priorità. Ieri Vialli ha avuto il merito di un cross e di un rigore procurato, oltre che di una prova di presenza e consistenza. Visto che era dolorante, una prova da rimarcare. Di Del Piero solo un accenno di impegno. L’unico a non confermarsi su livelli conosciuti.

Un finale da giallo annacquato, di quelli che non servono a far passare il tempo neppure sul treno dei pendolari. Una confessione piena, direbbero i Carabinieri. Nessuna incertezza, nessun colpo di scena. Nevio Scala è il colpevole modello. Dice tutto, ancor più di quanto pretenderebbe la pubblica accusa. Parma Juventus è un sacco di cenere rovesciato sulla propria responsabilità: «Penso di aver sbagliato tutto, a partire dalla formazione iniziale fino al non essere intervenuto dalla panchina per correggere la situazione in campo. Ho peccato di presunzione, sono il responsabile numero uno della sconfitta contro la Juve».
Il passo successivo è il harakiri, ma l’allenatore del Parma si ferma davanti alla spada. Nessun suicidio in diretta. Eppure Scala è, al tavolo delle interviste, quello che il Parma non è stato in campo neppure per un minuto: inarrestabile. Ripassa, veloce, il film di una gara che si è decisa ancor prima dell’inizio. È il riassunto di una sconfitta tattica netta, proprio nello scontro diretto che doveva chiarire l’autorevolezza delle ambizioni scudetto: mentre il Parma rinunciava al suo cervello a centrocampo, Pin, la Juventus lo raddoppiava affiancando Tacchinardi a Paulo Sousa. Con due aggravanti. Pin era in panchina anche nell’ultima sconfitta del Parma, a Bilbao in Coppa Uefa. L’esclusione del centrocampista è spiegabile in un solo modo: non fa polemica quando deve restare fuori, al contrario di altri compagni. Scala non può confermare apertamente, ma nelle sue parole c’è l’ammissione: «Non è la sconfitta a darmi fastidio, ma il modo in cui è venuta. Nel primo tempo ho visto solo falli ed errori, nel secondo abbiamo trovato il vantaggio e lì dovevo intervenire, togliendo una punta per inserire un centrocampista. Non l’ho fatto, ho sbagliato. Ma fin dalle prime battute non era il solito Parma: troppo nervosismo, troppi lanci lunghi. Troppa presunzione».
L’impressione è che i prossimi giorni saranno pieni di chiarimenti, anche definitivi. Su Asprilla: «Vale la pena di analizzare tutto quello che è successo in questa settimana. Non siamo mai superficiali, non lo saremo neanche adesso».
Sul tridente: «Ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo».
Su Dino Baggio, inadatto al ruolo di centrale di centrocampo come ampiamente dimostrato ad inizio stagione: «Non abbiamo mai trovato le geometrie».
Su Giovanni Galli: «Il pareggio, venuto in quel modo, ci ha tagliato le gambe».
Giorni che potrebbero portare, però, anche un faccia a faccia tra proprietà ed allenatore. L’abbronzatura del patron Calisto Tanzi, tornato proprio ieri dalle Maldive, non bastava a nascondere la sua delusione: «Speriamo che il campionato non sia già finito: ci sono ancora 19 partite da giocare. È stata una gara brutta, non l’hanno giocata bene né il Parma né la Juventus. Errori di Scala? Non entro nel merito». E l’impressione che questa sconfitta abbia lasciato un segno duraturo è sempre più forte.
«Scrivetelo pure e sotto ci metto la firma: a me nessuno mi ha regalato niente, ringrazio il Signore, ma qui ci sono arrivato solo col sudore». Non è un epitaffio, è un viatico, una specie di grimaldello dei sogni di un ragazzo che a diciotto anni chiamavano nonno, per via di quei capelli bianchi così precoci.
Fabrizio il precario convive con lo stupore popolare, a conferma che, con i suoi goal, deve sempre dimostrare qualcosa: è per questo che a Padova si arrabbiò con Marcello Lippi. Ravanelli non capiva perché lui, che aveva fatto cinquina in una sera di Coppa, dovesse tornare a posare i glutei in panchina di giorno. Si è costruito il destino segnando a tutte le latitudini, vicino a casa, a Perugia, un po’ meno ad Avellino, in Irpinia, dove spesso nevica, a Reggio Emilia, tra nebbie e speranze; ma non l’ha mai abbandonato quel senso di precarietà, come se gli avessero stipulato un contratto a termine da dover rinnovare di volta in volta.
Personaggio troppo presto per quei suoi capelli bianchi, fuori dal giro giusto dei procuratori, dei direttori sportivi in consorzio, alla Juve ci arrivò dopo le resistenze della Reggiana, per vincere le quali, racconta la leggenda, si sarebbe mosso anche Walter Veltroni, tifoso bianconero doc, come Marx comanda, e legato da questioni di partito all’allora presidente granata. Vero o falso, Fabrizio si accasò in bianconero all’inizio della stagione 1992/93. Eppure quasi fino a questa partita, malgrado le nove reti nel campionato scorso, aveva molte zavorre da mollare. Nella stagione 1994/95 si è conquistato un replay 17 volte: 8 in Coppa Uefa, il suo feudo, 5 nella caccia allo scudetto, 4 in Coppa Italia. Presente sempre, con quella sua faccia proletaria, con quel suo accento da centro Italia culla del lavoro duro e dei buoni sentimenti, che qui Ravanelli evoca raccontando della vigilia di Natale con Andrea Fortunato, della telefonata di Roberto Baggio un attimo prima che si andasse in campo, ma soprattutto con la dedica ad un suo piccolo conterraneo anche lui in lotta con la leucemia. «Quando sono stato in clinica a trovare Andrea ho incontrato un ragazzino, Fabio; è di Tuoro, vicino a Perugia. Mi ha chiesto di regalargli un goal: ecco, il primo dei due è per lui».
Un tuffo presidenziale, alla Roberto Bettega, a cui, per ora, lo accomunano quella testa bianca ed il gusto per il successo: «Ho sbagliato il terzo goal nel primo tempo, per un po’ di fretta, però mi sono rifatto ampiamente con una rete bella, ma soprattutto importante, alla Bettega, dite voi ed io ringrazio. Questa è una squadra di grande carattere, con Baggio saremo anche più forti, Roberto e Luca Vialli sono i nostri trascinatori, noi li seguiamo. Qui abbiamo avuto sempre vita difficile, ma ora abbiamo vinto dimostrando di poter puntare allo scudetto».
È scaduto forse qui, a Parma, il tempo del precariato, la sua essenzialità ha travolto le barriere del dubbio, ma a lui poco importa, c’è un altro tempo, ben più importante che è finito in questa domenica, è quello di sua moglie Lara: la settimana che comincia porterà il piccolo Luca, per lui, che crede, il vero dono di Dio. E la prima delle speranze che ha strappato alla sua timidezza, la seconda riguarda la professione: «Devo dire che sono soddisfatto di quello che sto facendo, ringraziando il Signore. Mio figlio è la cosa più importante della mia vita ma, visto che Sacchi segue tutti, mi piacerebbe trovare uno spazio in Nazionale».
Perché no? Fabrizio è un ragazzo che fa gruppo, dopo Padova ha giurato che non si arrabbierà più, che non mancherà di rispetto, dice: «Sono un giocatore della rosa».
La banalità è un ottimo deterrente contro le tentazioni del paradiso terrestre faticosamente raggiunto da cui, la scrittura insegna, si fa presto a precipitare. Sacchi vedrà, considererà , magari concederà un giro di giostra anche a Fabrizio, che avrebbe girato all’infinito sotto lo spicchio di curva in cui erano compressi gli entusiasmi dei tifosi bianconeri, che forse aspettavano una partita come questa, una vittoria in trasferta come questa, da più di otto anni.
Ha dei profeti inaspettati questa Juve. La sua rivoluzione parte, come sostiene Lippi, dall’intercambiabilità delle primedonne, così Vialli ha fatto il rifinitore e Ravanelli ha avuto la sua prima pagina. Però Fabrizio il precario, che forse verrà assunto, se l’è dovuta stampare col piombo, pezzo dopo pezzo. Ed i capelli bianchi gli sono venuti per questo.

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