«Galderisi ebbe un momento di fortuna che oggi si potrebbe definire sfacciata – scrive la pungente penna di Caminiti – nell’esordio in Serie A dal 60’ in sostituzione di Marocchino, avvenuto a Perugia in un match senza gol, il 9 novembre 1980, le sue doti si erano potute appena intuire, doti di sveltezza innanzitutto. Poi il 14 febbraio 1982 giocò contro il Milan e segnò i tre gol della sua vita, e Boniperti, cioè il più silenzioso presidente dell’intera storia del pallone, gli dedicò una frase, anzi un pensiero, ricco di una grande virtù: la generosità. Boniperti disse testualmente: “Questo Galderisi fa gol come Zoff para”. Erano i giorni in cui Zoff lustrava la sua gloria sempiterna e parve una profezia per la carriera più luminosa. Così fu in effetti, anche se di gol nella Juventus, dopo quei tre, non ne avrebbe segnati molti: il marchio, direbbe Angelo Caroli, rimane».
Per acquistarlo, ragazzino, dal Raito squadra di Vietri sul Mare, la Juventus aveva battuto la concorrenza di Napoli, Inter, Varese e Atalanta. L’avevano visto già a Parma, dove la sua famiglia ha vissuto 11 anni: «Da pochi mesi eravamo tornati al Sud, quando la Juventus venne a prendermi. Il mio destino era al Nord, evidentemente».
Proprio in bianconero esordisce in Serie A, il 9 novembre 1980, che resterà l’unica presenza nella stagione. Galderisi è un uomo gol, ha tutte le caratteristiche da attaccante puro; sa sacrificarsi in ritorni utili alla squadra, ma il suo occhio svelto è sempre rivolto alla porta avversaria. «All’improvviso il mister mi fa dire di prepararmi dal massaggiatore De Maria. Corsetta, qualche esercizio, due o tre scatti, mentre la pioggia mi bagna i capelli. Trenta minuti tutti miei. Ma durati poco, troppo poco per uno come me che aspettava da sempre quel momento. Peccato non aver combinato molto in quella prima partita: un po’ come quando si scarta il cioccolatino nella speranza di leggere che hai vinto e invece trovi scritto “ritenta”».
Grosso, che lo ebbe a lungo con sé nella Primavera bianconera, dive di lui: «Pochi minorenni nel nostro calcio hanno fatto capire subito che sarebbero diventati giocatori di primo piano. Agile, potente, capace di calciare indifferentemente di destro o di sinistro. Il suo tiro dai 16 metri è forte e preciso e, malgrado la statura, emerge in elevazione grazie alla sua scelta di tempo. Il suo ruolo iniziale era quello di mezza punta, ma è diventato uomo da area».
«I primi tempi – racconta Nanu – sono stati molto duri. Sentivo terribilmente la nostalgia di casa e tante volte mi inventavo delle scuse per poter tornare in famiglia. Ma il solo fatto di potermi allenare con Bettega, Causio, Tardelli era come sognare a occhi aperti. Così come fantastica era la sensazione di tirare in porta a Zoff. Qualche volta l’ho fatto anche arrabbiare perché, magari, fintavo la botta e provavo a superarlo con un pallonetto. Ero giovane, carico e un po’ sfrontato. Sono stati anni meravigliosi ed io ho dato il massimo. Anche grazie a Beppe Furino con cui palleggiavo prima di iniziare ogni allenamento e al Trap che mi teneva ancora in campo quando gli altri avevano finito».
Un metro e 70, 69 chili il suo peso forma, Galderisi non è certo piccolo, anche se il nomignolo affettuoso di Nanu se lo porta appresso come un’etichetta. La sua forza sono lo scatto, la grinta, la voglia di combattere su ogni pallone: conquistarlo, difenderlo, calciarlo, possibilmente dove il portiere non può arrivarci.
Poi il gol contro l’Udinese: «Parto dalla panchina, ancora con il 16, ma Tardelli dopo mezzora si fa male. Tocca a me. Mi scaldo bene, fa freddo, la pista del Comunale è ricoperta di neve. Entro in campo, si cambia modulo, adesso si gioca con due punte: io e Virdis là davanti, mentre Bonini schierato con l’11 prende il posto di Tardelli». Nanu è in palla. Scatti, piroette, assist per i compagni: una meraviglia. Fino al fatidico minuto numero 52. «Cross in area, svetta Osti per l’occasione spostatosi in avanti. Borin, il portiere avversario riesce solo a respingere il pallone. Io sono lì, da solo, a due metri dalla porta. Basta un tocchetto. Gol, ho segnato. Dallo slancio finisco in porta anch’io, poi però, torno indietro e corro verso la curva a ringraziare i tifosi. Ricordo che mi venne incontro Cabrini e mi sollevò da terra. Con quel gol vincemmo la partita».
E ancora la tripletta contro il Milan: «Stavo andando a Viareggio con la Primavera, per disputare il torneo di carnevale. Arrivato in Toscana arrivò la telefonata di Trapattoni che mi diceva di prendere il primo treno e tornare a Torino, perché l’indomani avrei giocato titolare. Quei tre gol furono uno dei momenti più belli della mia vita. Ma quanti calci nel sedere dal Trap! Mi controllava in tutto, che cosa mangiavo, se fumavo o meno. Lo faceva per il mio bene e per me è stato uno dei punti di riferimento più importanti della mia carriera».
Ricorda ancora con amarezza quando Boniperti gli disse che in bianconero non c’era posto per lui: «Ci rimasi male, della Juventus mi resta comunque un bel ricordo, ma forse è stata la mia fortuna quella partenza. Ero chiuso da troppi campioni, avevo bisogno di libertà e soprattutto di giocare. Ma la Juventus è stato lo spaccato della mia vita. Quello stare insieme, quella disciplina, quella voglia di essere sempre i migliori, quella fame di voler sempre vincere. Solo chi è stato dentro può rendersi conto di cosa sia la Juventus, perché la Juventus non si può raccontare, la si deve vivere».
Poi il Verona e lo scudetto da provinciale, quindi il passaggio dal ruolo di promessa a quello più impegnativo, ma senza dubbio più piacevole, di campione consacrato e appetito, tanto da finire alla corte di Berlusconi. Dopo il Milan, inizia il suo girovagare, che lo porta alla Lazio, di nuovo al Verona, sempre con pochissimo costrutto, anche a causa di numerosi infortuni che ne limitano il rendimento. Trova pace e tranquillità a Padova, dove inanella diverse buone stagioni in serie B.
Nel 1986 Nanu è il centravanti titolare della Nazionale di Bearzot al Mondiale in Messico. Capitato in una dimensione troppo grande per lui, naufraga miseramente, non aiutato, certamente, da una squadra che è solo la brutta copia di quella trionfante al Bernabéu quattro anni prima.
Ma la tripletta al Milan, soprattutto il gol su rimpallo con Collovati, ha la grandiosità dei classici: come Harpo che fuma la corda, il pasto di Chaplin ne “La febbre dell’oro” e l’inseguimento di “Ombre rosse” e autorizza l’ingresso di Galderisi nella storia bianconera.
MASSIMO BURZIO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL SETTEMBRE 1988
Gli aficionados del Campo Combi lo sapevano. Quel ragazzino basso di statura, il fisico comunque ben costruito e due piedi magici, un giorno sarebbe arrivato in prima squadra. Era diventato il loro beniamino, lo chiamavano Nanu: una storpiatura in dialetto piemont-meridionale che voleva significare piccolo (e cioè nana) e giovane (e quindi gagnu) dal più stretto slang torinese. Era un soprannome che a seconda di come lo si intendesse poteva esser sia affettuoso, sia dispregiativo. Ebbene il ragazzino, il Nanu, diede ragione ai supporter più ottimisti e divenne Galderisi.
L’avventura del giocatorino in bianconero durò, ad alto livello, soltanto un triennio: poco o forse tantissimo per uno che a tutto sembrava votato, ma certamente non al calcio. Almeno a quello di alto livello. E invece Beppe Galderisi rimarrà nella storia juventina come uno degli artefici di due vittorie in campionato e di un trionfo in Coppa Italia.
C’è da dire, dunque, che per il Nanu la sorte ha voluto qualcosa in più di quello che normalmente è dato avere a molte giovani promesse e cioè veri e propri sfracelli nelle giovanili e poca fortuna nel calcio che conta. E poco importa se ora Galderisi non è più quello di un tempo, quasi che il risveglio dal sogno lo abbia reso più fragile e certamente meno bravo.
Quand’anche la carriera del Nanu si chiudesse domani, gli resterebbe comunque la gioia di aver saputo vincere là dove voleva e cioè nella Juventus. Avere, insomma, conquistato i massimi traguardi proprio nella squadra che da ragazzino lo aveva fatto sognare e gioire.
In un calcio sempre più dominato dal business questo non è poco: forse potrebbe essere tutto quello che un professionista vero potrebbe chiedere alla sua carriera. Perché è importante l’ingaggio, il premio partita, ma lo è forse di più quell’intima soddisfazione che chiunque di chi non prova (e che Galderisi ha provato) quando riesce a fare le cose bene e nell’ambiente che più aggrada.
Nato a Salerno il 22 marzo del 1963 e presto trasferitosi con la famiglia al Nord, Giuseppe Galderisi dopo l’intera trafila nelle squadre giovanili bianconere raggiunge la prima squadra nel campionato 1980-81. Al fisico brevilineo unisce un buon impianto muscolare e una rapidità che lo fanno apprezzare sia sulla fascia sia al centro dell’attacco. Quello che la natura non gli ha dato in centimetri, Galderisi lo ottiene in coraggio, grinta e inventiva.
In più la simpatia, innata, immediatamente percepibile che si unisce a una pulizia di animo raramente riscontrabile in altri personaggi del pianeta calcio. Bravo nel dribbling e nel palleggio con un tiro secco e bruciante, Nanu contribuisce nei suoi tre anni juventini alla conquista di due scudetti: 1981 e 1982 oltre alla Coppa Italia del 1983. In totale le presenze sono 32 e le reti 7.
Nell’estate del 1983 lascia la Juventus nell’ambito della trattativa che porterà in bianconero Penzo e Vignola e si accasa al Verona. Qui troverà in Osvaldo Bagnoli il tecnico più adatto alle sue caratteristiche così da raggiungere nuovamente e inaspettatamente il traguardo dello scudetto. Se le qualità sono molte, infatti, a Galderisi fa difetto ogni tanto il carattere: l’allenatore papà ma anche padre padrone Bagnoli riesce a far emergere il Nanu anche oltre ai limiti raggiunti nella Juve, quando con un Trapattoni super professionista le esitazioni e le malinconie personali avevano poco spazio sacrificate com’erano dalle necessità di un collettivo che doveva vincere a tutti i costi.
Dopo il Verona, il Milan e infine la Lazio dove Galderisi non ha certamente raccolto quanto poteva e doveva ottenere. In mezzo a questo peregrinare anche il Mondiale messicano del 1986 con un totale di 2 presenze azzurre, che vanno sommate alla maglia dell’Under 23 e alle 11 partite e dai gol della Giovanile.
A ben guardare e meditare le cifre della carriera di Galderisi quasi si rischia di non poter dare un giudizio completo sul giocatore: 3 scudetti non sono pochi, ma il resto? Il resto forse è un sogno: quello del ragazzino del Combi che un giorno volò in alto e ora continua, un po’ più in basso, a cercare di liberarsi dal peso di ricordi che per un giovane di soli 25 anni sono certamente troppo pesanti.
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