sabato 26 dicembre 2020

Vittorio CHIUSANO

 


La sfida che la Juventus lancia contro il tempo è inesorabile – scrive Angelo Caroli su “Hurrà Juventus” dell'aprile 1990 – proprio come il nemico che ha di fronte. Inesorabile ed efficiente. Non c’è mai traccia di negligenza nella gestione e nella formulazione di essa, la programmazione conduce puntuale all’obiettivo. Personalmente, l’ho spesso giudicata un’opera di cesello, un lavoro mai lasciato nelle mani di un artigiano sprovveduto. Giampiero Boniperti dice addio chiudendo un’era che passerà alla storia e subito è pronta la soluzione che chiama in causa Vittorio Chiusano. La continuità, innanzitutto. Questione di programma e di stile.
L’avvocato Vittorio Chiusano è entrato per la prima nel consiglio del club bianconero nella stagione 1960-61. Presidente, all’epoca, era il dottor Umberto Agnelli, e al giovane Vittorio fu subito una pratica fastidiosa. Era il 1961, si giocava Juventus-Inter al Comunale, un fiume di gente si era assiepato attorno al muro di cinta del Comunale e rischiava di tracimare da un momento all’altro. Tutti volevano assistere a uno spettacolo dal quale sarebbe potuto nascere lo scudetto. Nonostante un temporale, la folla dilagò dentro lo stadio, dopo aver divelto quattro porte carraie. Ci fu un’invasione pacifica del campo. L’arbitro Gambarotta sospese il match. Gli organi disciplinari decisero di assegnare a tavolino la vittoria all’Inter. L’impeccabile e circostanziata documentazione per la linea difensiva era stata preparata dall’avvocato Chiusano, il quale ottenne giustizia dopo aver dimostrato che non esistevano gli estremi per la responsabilità oggettiva. La CAF riconobbe che «il fatto è da ritenersi estraneo alla volontà della Juventus e quindi la relativa responsabilità non è quella oggettiva bensì quella ordinaria».
L’avvocato Chiusano commentò così l’epilogo della vertenza; «Si tratta di una sentenza importantissima: essa infatti stabilisce un precedente di profondo significato, quello cioè che l’invasione pacifica del campo non può dar luogo a impedimento di gara. E tale principio è consono allo spirito sportivo che deve essere tenuto presente nell’interpretazione delle norme giuridisprudenziali». Fu il primo di una lunga serie di successi legali.
Incontriamo il nuovo presidente della Juventus nello studio di Via Bligny 5, il quartier generale di un uomo di diritto che deve frantumare il proprio tempo in mille direzioni. Vittorio Chiusano, fra l’altro, è presidente della Camera Penale del Piemonte e della Valle d’Aosta, del Centro Cardiopatici piemontese e vicepresidente dell’Editrice La Stampa. E capogruppo comunale della città di Torino nelle file del Partito Liberale, è consigliere di amministrazione della Banca Nazionale del Lavoro Holding in Milano e consigliere di amministrazione della Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro. Un oceano di attività. Ed ecco nascere la definizione curiosa di «presidente a interim della Juventus», un’etichetta alla quale l’interessato replica precisando che «nonostante abbia fatto presente alla proprietà di non poter assumere impegni a tempo indeterminato, farò del mio meglio e il possibile per assolvere ai miei compiti. E comunque non sarò un presidente dimezzato, per cui prometto formalmente ai tifosi che lavorerò molto insieme con gli uomini di un’equipe che gode della mia fiducia totale, in modo da rendere la Juventus più competitiva. Ciò non vuol dire che i risultati fin qui ottenuti non siano soddisfacenti. Tutt’altro. La verità è che non sempre si può stare al vertice. La nostra platea è popolata di persone abituate molto bene e che, pertanto, hanno il palato particolarmente esigente».
Il pomeriggio è assolato, un vento caldo e fortissimo mette in fuga le nuvole che si rifugiano dietro le montagne. Attraverso le finestre, fiotti violenti di luce inondano lo studio. Ricordiamo al neo presidente bianconero una sua frase («Oggi la Juventus non è soltanto il giocattolo della famiglia Agnelli, l’Avvocato si diverte con la Juve, ma la Fiat, inserendola nel complesso delle proprie sinergie, le chiede un congruo ritorno d’immagine») e gli preghiamo di completare il concetto. «La Fiat non è un istituto benefico», spiega Chiusano con toni amabili e con esempi chiarissimi, «vuole avere un volto vincente. E se ha deciso di intervenire nella struttura è perché ritiene che, attraverso il calcio, sia possibile il raggiungimento di finalità aziendali, di promozione. Il calcio richiama infatti enormi attenzioni industriali. Tutto ciò mi sembra una garanzia per i nostri tifosi, che sono in attesa di successi. In questa chiave, la società si organizzerà. Nelle sue strutture dispone già di uomini di grossissime capacità come Pietro Giuliano, Nello Governato, Piero Bianco e Francesco Morini, uomini in cui ripongo assoluta fiducia come in tutta l’equipe».
Un’equipe che si avvale, fra gli altri, di Alberto Refrigeri, per tanti anni direttore di Hurrà Juventus e oggi collaboratore molto prezioso. Come è nato l’amore tra lei e la Juventus? «È un amore difficile da mettere a fuoco. Non esiste un attimo in cui è sbocciato. Nasce comunque nella mia infanzia, quando mi sono avvicinato a lei ai tempi del quinquennio e quando mio padre mi portava a vedere gli allenamenti dei bianconeri campioni d’Italia. Avevo cinque o sei anni».
– Un ricordo bello e un’immagine triste della sua esistenza di dirigente della Juve? «Il primo è legato alla conquista della Coppa Intercontinentale a Tokyo, la seconda si riferisce alla tragedia dell’Heysel, quando il sangue di molte vittime ha sporcato quella che doveva essere una pagina festosa di agonismo e di correttezza sportiva».
– L’avvocato Giovanni Agnelli e lei. Quale tipo di rapporto si è instaurato in tanti anni di collaborazione costante? «Innanzitutto di correttezza reciproca e, credo, di simpatia e di stima. Professionalmente, sono stato e sono incaricato di occuparmi di questioni di carattere giuridico che interessano il Gruppo. Giovanni Agnelli è indubbiamente un uomo di grande charme, con il quale si può amabilmente parlare di tutto, calcio compreso, di cui è particolarmente appassionato».
– Boniperti e lei. È possibile rivedere, alla moviola, qualche fotogramma insieme con il suo predecessore? «Giampiero ed io siamo della stessa classe, 1928, ci scherziamo sopra molto spesso. Lo ricordo benissimo come giocatore, innanzitutto. Sono entrato per la prima volta in Consiglio quando lui riconsegnava le scarpe al custode e chiudeva una carriera eccezionale. Quell’anno dovetti dipanare una questione giuridica riguardante la famosa edizione di Juventus-Inter finita con la sentenza della CAF in nostro favore. Poi ho seguito Boniperti quando è diventato consigliere. Nel 1968-69 avevo rassegnato le dimissioni, Vittore Catella era presidente. Rientrai quando Giampiero, neo eletto, mi telefonò e mi disse: Stammi vicino, faremo tanta strada insieme. Accettai. In campo giuridico gli sono sempre stato al fianco, in quanto alle cose tecniche non mi sono mai permesso di interferire. I giorni più emozionanti e sofferti li abbiamo affrontati quando la Juventus e lui vennero ingiustamente deferiti e, poi, giustamente assolti, in occasione del famoso processo sul calcio-scommesse».
– Quali giocatori ricorda in modo particolare per averne apprezzato le doti tecniche e umane? «Dovrei enunciare un elenco lunghissimo. Boniperti a parte, che della Juventus è sempre stato un emblema, cito Praest, Charles, Zoff, Scirea, Furino, Sivori, Bettega, Causio e Cabrini».
– Lei ha gusti tecnici che l’avvicinano alla spettacolarità di cui è capace soltanto il calcio brasiliano. Però, come manager, sa che il torneo italiano richiede altre peculiarità? «Ed è per questa ragione che ritengo giusto spostare l’attenzione sul calcio tedesco, in cui milita gente forte, capace, resistente e anche tecnica, una garanzia di altissima e costante professionalità».
– Proponendo la sua bellissima frase «imparare dagli altri non significa esserne succubi», si deve aggiungere che la Juventus ha sempre insegnato agli altri? «Nessuno può eleggersi a maestro, ognuno ha da imparare e da insegnare. Ho capito con il tempo che una persona responsabile sa di non sapere. Del resto, mi limito a rivedere una frase di Socrate. Tutto è infatti perfettibile e poi non ci sottraiamo alla norma. Però attenzione, la Juventus continua a essere un esempio di stile e, in questo, fa scuola. Scuola di correttezza, alla quale tutti s’ispirano. E questa è una grossa realtà di cui va tenuto conto. È il nostro successo perpetuo, che prescinde da quello tecnico, non sempre raggiungibile, poiché i Bettega e i Furino non nascono ogni anno».
Ecco, in sintesi ed enunciato con l’impareggiabile dialettica di uno dei più grandi penalisti d’Italia, quello stile cui la Juventus non rinuncerà mai.

ENRICA TARCHI, “HURRÀ JUVENTUS” DEL SETTEMBRE 2003
A noi piace ricordarlo così. Allo stadio, a fianco di Roberto Bettega, Antonio Giraudo e Luciano Moggi, a sostenere la sua Juve. In sala stampa e nei salotti del calcio parlato, a commentare, lodare, attaccare e difendere. In tribunale, a proteggerne i diritti. Sono tanti i ricordi che legano l’avvocato Vittorio Chiusano alla Juventus. Proviamo a pensare all’ultimo periodo, i dieci anni in cui ha affiancato l’attuale dirigenza. Era bello vederlo sempre presente a ogni impegno della squadra, che raggiungeva anche in trasferta accompagnato dal suo fidato autista Renzo o, quando le distanze non lo consentivano, con un aereo privato. Non voleva mancare, nonostante la sua attività di avvocato fosse frenetica e gli lasciasse davvero poco spazio per il resto. Una passione che, solo per citare un episodio passato alla storia, l’aveva portato nel 1996 a raggiungere Tokyo (dove la sua Juventus era impegnata nella finale di Coppa Intercontinentale) poco prima del fischio d’inizio e ripartire per l’Italia subito dopo la festa per il meritato trionfo regalato a tutti i tifosi bianconeri da un gol di Del Piero.
Ma quel resto, a parte gli affetti, si chiamava Juve, una sorta di famiglia che lo aveva accolto nei lontani Anni Cinquanta quando il Dottor Umberto Agnelli lo volle con sé in Società appena sedutosi giovanissimo sulla poltrona di Presidente. 
“Arriva l’avvocato” – anzi l’avvocato dell’Avvocato –, era il passaparola tra i giornalisti quando lo vedevano comparire da lontano. E nessuno se ne andava mai a mani vuote. Difficile infatti che non si fermasse a scambiare una battuta o a fare quattro chiacchiere, che alla fine non risultavano mai banali. Se c’era da dire si diceva, se c’era da difendere poi, eccolo scendere sul suo campo preferito e non ce n’era per nessuno. A lui infatti sono sempre stati affidati i casi più spinosi.
Quello che piaceva tanto di Vittorio Chiusano, il presidente più vittoriosi della storia della Juve, era quello sguardo compiaciuto, felice, come se ogni vittoria fosse la prima. Non si stancava di veder trionfare la sua Juve e lo si vedeva guardandolo negli occhi, era un sentimento vero, genuino, che gli veniva dal cuore.
I ricordi sono tanti, alcuni balzano alla mente come cartoline: i classici gavettoni negli spogliatoi, “regalo” dei giocatori per festeggiare lo scudetto appena conquistato, l’orgoglio con cui riceveva prestigiosi riconoscimenti a nome della sua Juve, la fermezza con cui la difendeva quando era necessario.
Lo ricordiamo con affetto l’avvocato Chiusano. Ci mancherà! La squadra gli ha dedicato la Supercoppa, prima vittoria senza di lui. Ora non resta che continuare, secondo tradizione, perché è proprio questo che l’ha sempre fatto sorridere.



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