sabato 5 febbraio 2022

CRISTIANO RONALDO

 

«Oggi lascio un club fantastico, il più grande d’Italia e sicuramente uno dei più grandi di tutta Europa. Ho dato il mio cuore e la mia anima per la Juventus e amerò sempre la città di Torino fino ai miei ultimi giorni. I tifosi bianconeri mi hanno sempre rispettato e ho cercato di ringraziare quel rispetto lottando per loro in ogni partita, in ogni stagione, in ogni competizione. Alla fine, possiamo tutti guardare indietro e realizzare che abbiamo ottenuto grandi cose, non tutto quello che volevamo, ma comunque abbiamo scritto una bella storia insieme. Sarò sempre uno di voi. Ora fate parte della mia storia, come sento di essere parte della vostra. Italia, Juve, Torino, tifosi bianconeri, sarete sempre nel mio cuore».

MASSIMO ZAMPINI, DA WILLIAMHILLNEWS.IT DEL 26 AGOSTO 2021
Comunque vada a finire, una cosa è certa: ci studieranno nei libri di storia come la tifoseria che è riuscita a spaccarsi pure su Cristiano Ronaldo.
Tutti uniti e felici solo il giorno dell’arrivo, a tracciare aerei per la Grecia e impazzire per l’idea a) di avere con noi il giocatore più forte del mondo, b) di non avere più contro di noi chi ci segna un paio di gol a partita ogni volta che lo affrontiamo, talvolta pure in rovesciata.
Da lì in poi, gioia interrotta poche settimane dopo perché la società decide di sacrificare Caldara (nei libri di storia uno dei capitoli più interessanti e sconvolgenti sarà dedicato alla folta tribù dell’hashtag #Caldaranonsitocca).
Cristiano supera i 20 gol nel primo campionato, vinto a marzo, elimina da solo l’Atletico Madrid in una delle partite più sensazionali mai viste in vita mia, segna all’Ajax all’andata e al ritorno ma non basta perché la squadra è spompata, senza molte idee (e titolari, senza farlo diventare un alibi). Qui partono i primi dubbi, di cui gli studenti dei secoli futuri troveranno diverse tracce: “Ma come, non era venuto per farci vincere la Champions? Prima arrivavamo in finale e ora con lui usciamo ai quarti con l’Ajax?”.
Resti? “Mil por ciento” e gran parte della tifoseria è felice – resti agli atti anche questo, eh! –, proprio come quando Cristiano fa gol ed esulta alla sua maniera, con lo stadio che lo segue con il suo leggendario siuuuu che invade lo Stadium e ogni stadio della serie A (rimarrà indimenticabile un grido collettivo di migliaia di juventini che si impadronisce perfino di un attonito San Siro). Avere Cristiano Ronaldo è un orgoglio, nel mondo si parla di noi sempre di più, vedi magliette bianconere in ogni dove e per me diventa più facile convincere ristoratori greci che fare vedere la partita della Juve a tarda sera sarà produttivo, perché c’è CR7 e la gente si fermerà a consumare qualcosa: tempo due minuti ed ecco tre ragazzi che lo vedono, lo indicano e sono seduti. Tranquillo, ristoratore, non mi ringraziare, solo dovere.
Ed ecco il secondo anno, la Juve in testa, arriva il Covid ma poi si riprende ed ecco un altro scudetto con Ronaldo che supera i 30 gol in campionato. Ma. C’è sempre un ma, se siamo alla Juventus, perché in Champions siamo circa come l’anno precedente: lui fa due gol nella partita decisiva ma la squadra (evidentemente in calo dopo un ciclo sensazionale, tra addii e ricambi non sempre semplici da azzeccare, altrimenti i cicli non finirebbero mai) esce con il Lione e allora rieccoci: “lo avevamo preso per vincere la Champions e ora usciamo con il Lione?”.
E poi, lo segnalo a chi redigerà i libri di testo, l’anomalia più incredibile che da un po’ colpisce alcuni tra noi: essere spesso d’accordo con chi, tra media e opinionisti vari, ci detesta da sempre. Distrutti da 8-9 anni di scudetti ti dicono che vinci gli scudetti ma non giochi bene? Eccoci ad accodarci e a palesare insoddisfazione. Ti fanno presente che in Italia stai vincendo solo tu ma in Champions non trionfi da troppo tempo? Ecco che li chiamiamo scudettini, anche alcuni tra noi, perché manca la Champions, sempre la Champions, nient’altro che la Champions. Potevamo dunque non accodarci su Cristiano Ronaldo? Ovviamente no, quindi ecco i vari “è fortissimo, ma forse la squadra gioca peggio con lui, è individualista, egoista, pensa solo ai suoi record” e così via: me lo sento dire in tv, e fin qui vabbè, ma lo sento ripetere da tanti amici.
Così arriviamo al terzo anno, Cr7 è il capocannoniere della Serie A con 29 gol in una Juventus che sta cercando di passare indenne da un ciclo all’altro e arriva solo quarta, soffrendo, esce dall’Europa contro il Porto (stavolta stecca anche lui) e nell’anno più difficile vinciamo comunque un paio di trofei “minori” (uno dei due chi lo decide?).
E sia chiaro: non è certo perché ci dividiamo tra noi, se Ronaldo va via. Lui avrà voglia di cambiare (con la frenata Covid, le squadre che possono seriamente ambire a vincere tutto sono pochissime, generalmente possedute da emiri, sceicchi e oligarchi), la società avrà fatto le sue legittime valutazioni: un risparmio evidente, un ciclo che deve ripartire, altri giocatori su cui investire, chissà, i motivi possono essere tanti (il primo è che se lui vuole andare via, tenerlo controvoglia sarebbe probabilmente dannoso). Io sto solo raccontando di come lo abbiamo vissuto, di chi se lo è goduto e di chi no, perché “non si è vinta la Champions”.
E allora, se davvero vai, se davvero finisce tutto con un anno di anticipo, sappi che per me e la gran parte di noi è stato fantastico, che non si viene certo giudicati per avere vinto o meno la Champions in tre anni (altrimenti ciao Buffon, ciao Zizou, e compagnia ahimè piuttosto varia), che vincere con te è stato bellissimo. Che non so se avremmo conquistato i trofei di questi anni, senza i tuoi 30 gol a stagione mentre la squadra passava da un ciclo all’altro.
E che però, regola eterna che viene prima di qualunque giocatore, se tutto finisce, tu vai e la Juve resta. E per noi che restiamo – studenti del futuro, mettetelo agli atti –, conta solo la seconda, i giocatori che rimangono, quelli che arriveranno. Il resto, quando sarà finito, sarà solo un ricordo, l’ennesimo bellissimo ricordo.

LAPO ELKANN, DAL SUO PROFILO TWITTER DEL 27 AGOSTO 2021
È il momento di salutare un amico e un campione. In questi 3 anni la Juventus è stata la tua famiglia che ti ha accolto a braccia aperte e ti è stata SEMPRE vicino. Tu hai ricambiato portando la tua classe, la tua professionalità, la grinta e i record sul campo.
Avere avuto il più grande attaccante dell’era moderna nella seria A è stato un privilegio. Per te avere indossato la maglia di uno dei club più importanti al mondo rimarrà un traguardo unico. Fuori dal campo hai aiutato la Fondazione LAPS sostenendo le donazioni per l’Italia e il Portogallo colpito dal Covid. Per questo ti ringrazio di cuore.
Adesso che torni in una grande squadra come il Manchester United non mi resta che augurarti buona fortuna per tutto. Insieme disegneremo ancora le collezioni degli occhiali CR7 – Italia Independent. Noi bianconeri continueremo il nostro percorso, perché siamo la Juventus e la Nostra Storia e il Nostro Amore per la Signora Non Finirà Mai. È tempo di ritornare in campo, ma soprattutto di vincere.


WILLY SIGNORI, DAL SUO PROFILO TWITTER DEL 27 AGOSTO 2021
Non me ne frega niente della “statura morale”, mica è un pastore di una confessione religiosa o un mio amico. È un calciatore e il suo passaggio alla Juve lo valuto solo per quello che ha dato in campo e fuori alla Juve.
In campo è stato sempre ultra professionale, ha reso per quanto è stato pagato. Alcuni lo accusano di aver giocato per se stesso: forse è vero ma la ricerca ossessiva del gol va a vantaggio della squadra, soprattutto se la squadra il più delle volte non sa cosa fare col pallone.
Cura maniacale della preparazione atletica per una condizione sempre al top. 
L’unica cosa che gli rimprovero in campo sono i tre anni di punizioni battute sulla schiena degli avversari. E, a proposito di punizioni, la giravolta col Porto…
Fuori dal campo è stato un boost pazzesco per il marchio Juve perché Ronaldo è più famoso della Juve, e nel rapporto questo alla lunga ha pesato. Ronaldo fa quello che vuole, ma questo era nei patti fin dall’inizio perché evidentemente alla proprietà stava bene così.
A 36 anni crede di essere ancora determinante ad alti livelli. Ha ragione? Probabilmente sì.
Ritiene che questa Juve non sia al suo livello e non possa giocarsela in Europa. Ha ragione? Sicuramente sì. 
Rosica per Messi al PSG ? Molto probabile.
Posso biasimarlo per questo? No
Alla Juve rimprovero di aver costruito attorno a Ronaldo una squadra di livello solo nel 18/19 per poi affidarsi all’improvvisazione totale alla fine della prima e nelle due stagioni successive.
Non si può sfruttare così male un investimento del genere e il Covid c’entra ben poco:
2019 l’uscita con l’Ajax attribuita al poco coraggio della squadra (dopo il miracolo compiuto contro l’Atletico); 2020 il disastro con il Lione e poi l’ultima sciagurata stagione, allenato da un principiante scelto solo perché amico del presidente. Chi di noi sarebbe rimasto? Appunto.
Alla fine è una separazione consensuale in cui CR7 vuole andare e la Juve non piange per il suo addio, ma quando un fenomeno non vuole restare non è mai un bel segnale e una bella pubblicità. 
Le società forti decidono quando interrompere i rapporti coi giocatori, non viceversa.
Tutto questo al di là dei discorsi sulla statura morale di questo o quell’altro giocatore che sono ridicoli: CR7 è un’azienda e dopo tre anni di vittorie nazionali e cammini europei insufficienti non ha ritenuto l’azienda Juve alla sua altezza. Questo è.
Da tifoso me ne farò velocemente una ragione, continuando a tifare Juve più forte di prima. Di sicuro seguirò con interesse i prossimi passi della società per vedere come si organizzerà e che strade prenderà. Se c’è un’idea dietro o no.
C’è da ripartire e da farlo alla svelta.

ANTONIO TORRISI, DA RIVISTACONTRASTI.IT DEL 25 AGOSTO 2021
Bisognerà pur trovare un senso al fiume di parole che, con alto concentrato d’umidità, rinfresca le ultime giornate estive trascorse “all’ombra dell’ultimo sole”: assopiti, con una specie di sorriso. L’ultimo baluardo del capitalismo fatto uomo, l’azienda che sposta capitali ingenti e trasforma l’acqua in vino, DOC e d’annata, da servire al lussuoso tavolo dei nobili del calcio se n’è andato. Con fare frenetico e lucido cinismo ha fatto, disfatto e poi lasciato ai piedi dell’armadietto le valigie come un tredicenne in ritardo alla prima gita scolastica fuori porta: ci penserà mammà. Cristiano Ronaldo non si è neanche degnato di salutare i presenti alla Continassa (o forse ha fatto solo quello), cotti in rosmarino e salsa (disperanzosa dalla seconda entità più importante a Torino dal 2018 a oggi, il sole.
Tornato inspiegabilmente al centro del sistema solare, persino quello bianconero. Georgina e la carovana di parenti trascinati dallo charme del semi-dio sceso dal jet privato ne danno il triste annuncio, lasciandosi dietro l’alone posticcio che ha costantemente caratterizzato la sua esperienza in Italia. 
Cristiano non ha mai parlato l’italiano, come visto dai saluti, forzato com’era in quelle poche apparizioni in TV in un Paese con cui ha sempre dimostrato di non voler familiarizzare troppo per paura, chissà, di ritrovarsi tra zia Concetta e zia Caterina. Sarebbe stata un’esperienza. E invece Cristiano Ronaldo, portato in trionfo sulle spiagge greche ancor prima della firma – laddove si recava un sudatissimo Sarri in pellegrinaggio a chiedere benemerenza – uno e trino, innominato e innominabile, l’unico da salvare nel mare in tempesta della Juventus anche quando tra i responsabili di disastri sportivi (Porto, ehm), scintillante anche fuori fase, ci ha lasciato con un addio talmente apatico e robotico da dar ragione forse ai suoi detrattori. Come ha scritto oggi Gabriele Romagnoli su La Stampa: «Prendere Cristiano Ronaldo è stato un po’ come acquistare una barca. È noto che dà due momenti di felicità assoluta: quando arriva e quando te ne liberi. In mezzo: sensazioni contrastanti. Una soddisfazione costante ma raramente incontenibile, frenata dai dubbi ricorrenti sulla validità dell’investimento».
Il Re è nudo di vesti, ma pur sempre ricoperto di diamanti. Ha benedetto un popolo che lo ha aspettato per ricoprirlo di complimenti nella speranza di ingraziarselo: lui ha risposto con qualche autografo e due foto. La verità è che non è mai sembrato a suo agio neanche nelle foto di rito. Figuriamoci felice. Un rapporto in cui Ronaldo ha provato a diventare juventino e soprattutto la Juventus ha provato a diventare ronaldiana, ma che si è concluso con un divorzio mediatico, quasi di sollievo a entrambe le parti.
Ha fallito lui? Ha fallito la Juve? Ha fallito il popolo bianconero? Il sistema italiano? Ha forse fallito Andrea Agnelli (o in quel caso Fabio Paratici) a tentare il colpo della vita per consacrare la propria storia da massimo dirigente della Madama portando a Torino uno dei più forti atleti di tutti i tempi? A tutte queste domande, nel tramonto splendido dell’ennesima genuflessione del calcio italiano, il “sì” è l’unica risposta plausibile quantomeno per ristabilire un certo equilibrio interiore, sbranato com’è stato il nostro fegato tra la preoccupazione della botta in allenamento del portoghese e la temperatura del pasto servitogli a tavola. Sempre con l’inchino. Citando Giuseppe Pastore su Il Foglio: «In questi tre anni è stato scritto e sostenuto prima l’improbabile e poi direttamente l’impossibile, anche a causa della nostra innata provincialità che ci ha mandato “in cimbali” al pensiero che il Re avesse scelto noi, proprio noi, come umili sudditi a rendergli omaggio con la faccia sotto i suoi piedi».
Per trattenerlo e non far spazientire la bestia famelica che è in lui la Juventus si è ridotta ad acrobazie economiche che solo gli impotenti padri di famiglia, operai dalla schiena spezzata, possono immaginare, prostrati di fronte al figlio capriccioso che oltre alla Play Station vuole pure le scarpe alla moda per non sfigurare di fronte agli amichetti, quando in tavola dal pasto caldo si passa al pane e cipolla.
“Chissene”: la tratta di giovani promettenti, gonfiati dalle vesti extralarge di “golden boy” e venduti in giro per l’Italia al suon di plusvalenze e l’incapacità di sostenere un progetto tecnico nel segno della continuità esemplificano la goffaggine di una gestione economica che ha ingrassato i bilanci a suon di ricapitalizzazioni e sponsorizzazioni, bloccando di fatto anche le operazioni più semplici (il beneficio di una sua cessione, comunque, si stima intorno ai 60 milioni di euro di ingaggio, 10 dei quali già percepiti). E Marco Iaria sulla Gazzetta dello Sport calcola che, tra annessi e connessi, Ronaldo sia costato alla Juventus 87 milioni all’anno. Sempre nel nome del Signore.
Tutto, insomma, a una certa è girato male. Tecnicamente ha ridicolizzato i compagni, Dybala su tutti, ma anche gli altri che dopo due finali di Champions si sono sciolti come neve al sole di fronte al fenomeno portoghese, e a lui si sono affidati messianicamente (ricordate i primi due anni in Champions e la Juve – a dir poco – Ronaldodipendente?). E tutte le strategie bianconere hanno iniziato inevitabilmente a ruotare attorno a Ronaldo, dagli allenatori al mercato, dimenticando che la Juventus è sempre stata un’altra cosa. La storia della Vecchia Signora in fondo, che ha sempre ignorato le basse questioni di cuore (Del Piero, coff coff) in virtù di una perenne e cinica predestinazione alla vittoria, se rapportata al trattamento servito a Ronaldo appare banalizzata. Persino essiccata e conservata in salamoia.
La decisione di andar concretizzata a quattro giorni dalla fine del mercato, costringendo la Juventus a virare a quanto sembra su Moise Kean (lo stesso che ha portato quasi in motorino in Inghilterra, giusto pochi anni fa), è solo l’ultimo umiliante editto di un Re che ha goduto di favori che in altre piazze, storicamente, sono stati considerati eccessivi e fuori luogo (l’epopea eterna di Diego Armando Maradona a Napoli, ad esempio). Alla fine ha vinto l’inadeguatezza.
L’illusione del beneficio che, per molti, avrebbe arrecato a tutto il calcio italiano si è sgretolata sotto i colpi dei suoi 101 goal in 134 partite in bianconero: uno dopo l’altro sempre più vuoti, vani e insufficienti per raggiungere la Champions League, invocata a gran voce dai tifosi al suo arrivo a Torino.
Lui, l’unico a poterci riuscire, il predestinato, il prescelto dalla storia in virtù del suo stacco poderoso e delle Coppe alzate al cielo con Real Madrid e Manchester United. “Fino alla fine”: o almeno, fino a quando ha risucchiato l’ultima goccia di sangue dalle vene di un calcio italiano che non può uscirne che male, bistrattato dall’icona mondiale che sposta e fa spostare – e abbandonato in fretta e furia da tanti, da Hakimi a Donnarumma, da Lukaku a Cristiano. Com’è che la definivano? Ah, sì: “un’azienda in movimento”, o giù di lì.
Eppure oggi, nel triste epilogo di questa vicenda, scrive bene la sempre ottima newsletter dello Slalom: «Ciao Ronaldo, forse li senti, ti stanno salutando dicendo che sei stato uno dei tanti, in un club che ha avuto Sivori, Platini, Zidane, Del Piero, Buffon, un club che sempre volta pagina smaltendo le sue scorie sentimentali in qualche discarica, al primo minuto della prima palla al centro. A ogni dicembre che Iddio ha mandato in terra, eri tu che meritavi il Pallone d’oro, a impedirlo erano i complotti di quei cattivoni al Real Madrid. Ancora domenica scorsa come si fa a tenere il migliore del mondo in panchina – e adesso il migliore non sei più, i cinque Palloni d’oro e i sei piazzamenti al secondo posto puff, tutte le righe che tenevano il conto dei tuoi record, i gol, Pelé, Bican, i follower, gli sponsor, puff, stamattina sei una zavorra, la rovina della Juventus con i tuoi 101 gol in 143 partite.
Stamattina c’è il sollievo per una migliore distribuzione dei gol senza di te, stamattina – dai – c’è Bernardeschi. Ne hai frenato la crescita, non lo sapevi? Succede coi capelli, col bulbo debole. Non la vedi, Cristia’, la decrescita felice?».
E come dargli torto? La schizofrenia della stampa italiana, in un Paese che storicamente cambia bandiera in maniera talmente grottesca da essere quasi ammirevole, ormai si fa beffe del criterio di realtà. In 24 ore mutano non solo i fatti ma anche le interpretazioni, del presente e pure del passato. Noi che sommessamente non abbiamo mai esaltato il Cristiano Ronaldo bianconero, e che però lo abbiamo difeso dalla furia cieca e smemorata il giorno dopo Oporto, oggi che è finita proviamo solo a tracciare un po’ un bilancio.
Perché il nuovo e vecchio calciatore dello United a Torino ha continuato a segnare, esultare, infarcire di numeri il suo già ricco curriculum, ma non si può dire lo stesso della Vecchia Signora. Per la prima volta “al di sotto” e non “al di sopra”. Sempre all’ombra dell’ultimo sole, assopiti come il pescatore, con poco tempo e troppa fame, sembra essere giunta l’ora della rivelazione finale, per tutti: “non di solo pane vive l’uomo”, ma di ogni parola che esce dalla bocca dell’unico Dio al quale, in questo sport, bisogna render grazia, privo di brillantina e di boria. “Lunga vita al Re”, il pallone però.


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