Protagonista sfortunato della sua stagione juventina, Nicklas arriva a Torino il 31 agosto 2012, ultimo giorno di mercato, proveniente dall’Arsenal con la formula del prestito con diritto di riscatto. Il danese debutta con la maglia numero diciassette, quella di David Trézéguet, il 22 settembre 2013, subentrando a Fabio Quagliarella nella vittoria casalinga contro il Chievo per 2-0. Parte quasi sempre dalla panchina, eccezion fatta per la sfida di Catania (nella quale propizia il goal partita di Vidal) e nella partita successiva contro il Bologna, senza mai trovare la via della rete. Il 12 dicembre, nella sfida dei quarti di finale di Coppa Italia contro il Cagliari si procura uno strappo a una coscia che lo costringe a una lunga pausa.
Nel frattempo Bendtner si fa notare per le sue vicissitudini extra calcistiche: il 5 marzo 2013 gli viene ritirata per tre anni la patente e inflitta una maxi-multa di 842.000 corone, quasi 113.000 euro, dalla Corte distrettuale di Copenaghen, per guida in stato di ebbrezza.
Rientra in campo il 18 maggio, contro la Sampdoria, nella partita conclusiva del campionato. La sua prestazione, però, dura una manciata di secondi. Infatti, a causa di uno scontro aereo con Castellini, Nicklas atterra pesantemente al suolo fratturandosi il polso.
Undici presenze e nessuna rete per il danese, che è rispedito al mittente.
CHRISTIAN GIORDANO, DAL “GS” DEL NOVEMBRE 2012
Da uno a nove, dieci. Non ci voleva lo psicologo, ma è stato proprio lo specialista dell’Arsenal, Jacques Crevoisier, nella primavera 2010, a quantificare con un test di “self perceived competence” l’infinita autostima di Nicklas Bendtner: «Mai visto niente del genere. Pat Rice (per sedici anni vice di Wenger) era seduto accanto a me, e non la smetteva più di ridere».
Anche se tifosi e addetti ai lavori non ne hanno mai compreso appieno i motivi, la fiducia in se stesso del neo-juventino ha radici lontane.
«Ricordi quando da bambino imparavi a pattinare?», chiedeva retorico prima di Euro 2012 a Troels Henriksen, inviato di Jyllands-Posten, quotidiano di Copenaghen. «All’inizio non sei capace. Cadi sempre, ti fai male e piangi. Ci sono bambini che smettono subito. Altri che ci provano un po’ e poi lasciano perdere e altri ancora che continuano finché non imparano. Io ero uno di quelli, è sempre stato così nella mia vita. Non mollo finché non raggiungo i miei obiettivi. Sono diventato bravissimo a pattinare. Quando mi metto in testa una cosa, è quella. Ho tutto cioè che potrei desiderare, cosa potrei chiedere di più?» Magari, un posto da titolare in una grande, la consacrazione internazionale.
Il minimo sindacale per un predestinato sin dalle giovanili al Tàrnby (dai quattro ai dieci anni) e al Kjøbenhavns (fino ai sedici), satellite dell’F.C. Copenaghen, il più importante club della capitale. Nicklas Bendtner è li che è nato, il 16 gennaio 1988. Cresce nell’isola di Amager, portato per tutti gli sport, in particolare il basket. «In una partita di un torneo interscolastico», racconta Hans Christian Jensen, suo ex docente, «faceva tutto lui e la sua squadra era avanti 13-0. L’istruttore lo sostituì all’intervallo e i suoi persero 13-14. Roba da matti, ed eccelleva anche nella pallamano».
Il pallone che aveva in testa, però, era un altro. «Quando gli insegnanti mi dicevano di fare i compiti, rispondevo che non sarei mai diventato un avvocato né avrei proseguito gli studi. “Sapete tutti che finite le medie farò il calciatore” dicevo. “Sì, sì, va bene” pensava la gente. Non so in quanti ci credessero davvero, ma io l’ho sempre saputo. E volevo vincere. Che fosse a tennis con gli amici, o a calcio».
Tanta determinazione però, già da piccolo, sfocia in comportamenti aggressivi. E qui sì che ci vorrebbe lo psicologo. «Non era tenero con gli altri ragazzi», dice Grethe Birch, la sua preside alla Korsvejens Skole. «Aveva un atteggiamento molto duro. Dalla bocca gli uscivano parole in libertà. Non era cattivo ma parlava senza pensare. A parole sapeva ferire i compagni, e andava tenuto a freno».
Subito fenomeno nelle Nazionali minori, debutta con tre goal in tre gare nell’Under 16 nel febbraio 2004. Segna sei volte in sedici presenze con l’Under 17 e, nella stessa stagione, è giocatore danese dell’anno di categoria. In estate, a soli sedici anni, è già nelle riserve dell’Arsenal.
Scottato dal mancato arrivo di Zlatan Ibrahimović, opzionato anche lui a sedici anni ma soffiatogli da Leo Beenhakker all’Ajax, Arsène Wenger stavolta fa le cose perbene. Segnalatogli dopo i quattro goal in sei partite con la selezione giovanile danese, l’alsaziano non si limita a portargli una maglia dei Gunners con il nove e il nome sulla schiena, come quella ancora appesa in casa dei genitori di Ibra a Malmö. No, Wenger mette nero su bianco e se lo porta a Londra. Nella squadra riserve, allenata da Neil Banfield, il danesone (1,91 per settantotto chilogrammi) segna ventidue goal in ventisette partite nel 2005-06 e forma un perfetto articolo “il” con l’italiano Arturo Lupoli, mancino arrivato anche lui nel 2004, dal Parma, poi incomprensibile meteora a cavallo della Manica: Derby County, Fiorentina (mai in campo), Treviso, Norwich, Sheffield United, Ascoli e Grosseto.
Bendtner debutta in prima squadra in Coppa di Lega il 25 ottobre 2005, subentrando nel finale a Quincy Owusu-Abeyie nel 3-0 contro il Sunderland allo Stadium of Light. Un segno del destino, perché sei anni dopo ci tornerà per un’intera stagione. A fine campionato, è il più giovane nell’Under 21 che partecipa all’Europeo portoghese. Prima, il 17 maggio 2006, aveva debuttato, appena diciottenne, subentrando al veterano Morten Duncan Rasmussen e segnando la doppietta del 2-0 sulla Spagna in amichevole. Nel girone, contro l’Olanda, il Commissario Tecnico Flemming Serritslev lo cambia con Rasmussen, di tre anni più grande e titolare nelle qualificazioni. Apriti cielo. Il novellino si lamenta con la stampa, dicendo di essere uscito per uno più scarso. Cazziato di brutto, gioca però il resto del torneo che la Danimarca saluta da ultima nel gruppo B dietro l’Ucraina finalista, l’Olanda campione e l’Italia.
Chiuso da Thierry Henry, Emmanuel Adebayor e Robin Van Persie, a inizio agosto va sei mesi in prestito al Birmingham City, in seconda divisione, accordo poi esteso a gennaio fino al termine della stagione. Con i “Blues” di Steve Bruce (che lo riprenderà al Sunderland, sempre in parcheggio, nel 2011-12) debutta il 5 agosto, nell’ultima mezzora come rincalzo di Stephen Clemente e firma il goal decisivo contro il Colchester United. Il giorno 16 il Commissario Tecnico Morten Olsen ne fa il settimo più giovane esordiente nella storia della Nazionale A, il più giovane dai tempi di Michael Laudrup (1982). E Nicklas, subito titolare, lo ripaga al 30’ aprendo il 2-0 alla Polonia di Beenhakker. Quello che a Wenger aveva scippato Ibra.
A maggio 2007 rinnova per cinque anni con l’Arsenal, che per riportarlo a casa dice no a Lione e Milan. Alla sua prima all’Emìrates Stadium, goal e assist (per Mathieu Flamini, che al Milan ci andrà l’anno dopo) contro il Paris Saint-Germain nella prima Emirates Cup. Il primo goal ufficiale è quello che il 25 settembre 2007 chiude sul 2-0 il match di League Cup contro il Newcastle United. Il 23 ottobre altro goal al debutto: in Champions League, all’89’, venti minuti dopo essere entrato, firma il 7-0 sullo Slavia Praga su tacco di Emmanuel Eboué. Il primo centro in Premier League arriva il 22 dicembre, ed è memorabile: 2-1 nel derby con il Tottenham all’Emirates su corner di Cesc Fàbregas 1,8 secondi (un record) dopo aver rilevato Eboué.
L’esordio da titolare in Premier, il 29 dicembre contro I’Everton, è invece da dimenticare: espulso per doppia ammonizione. Al rientro dalla squalifica, il 6 gennaio 2008, trova il primo goal in F.A. Cup nel 2-0 al Burnley. Non sono però tutte rose e fiori. Per far tirare il fiato a Van Persie, Wenger tenta la difficile coesistenza Bendtner-Adebayor. Ma i due non legano, non solo tatticamente. Emblematico l’alterco al White Hart Lane, derby di ritorno in semifinale di Coppa di Lega 2008, sul 4-1 per gli “Spurs”. L’arbitro Howard Webb, il capitano (allora dei “Gunners”) William Gallas e altri compagni devono intervenire per separarli. Adebayor poi si scuserà sul sito dell’Arsenal e la Football Association non prenderà provvedimenti.
Lo stesso farà la polizia dopo il terribile incidente in cui Bendtner, a ventuno anni, si schianta contro un albero e poi in un campo con la sua Aston Martin da 160.000 sterline, cavandosela con qualche graffio a una spalla e a un ginocchio. Miracolato, e sotto choc, stacca lo specchietto penzolante dal lato guida per controllare di non avere schegge conficcate nella schiena. È il primo di una sequela di “casi” che gli hanno dato una forse esagerata fama di testa calda.
L’ultimo, il 6 dicembre 2011: le auto danneggiate per vandalismo con Lee Cattermole, suo capitano al Sunderland, lungo Stowell Street nella China Town in centro a Newcastle. Una zona piena di ristoranti e di passaggio dei tifosi verso lo stadio dei “Magpies”, storici rivali dei “Black Cats” che due sere prima avevano perso 2-1 il derby.
«Fondamentalmente sono un ragazzo normale con un lavoro che normale non è. A volte tendo a dimenticarmene, ma nel profondo ne sono consapevole. Non deve essere una scusa per lasciarmi andare, ma so che la mia famiglia, mio figlio, la mia ragazza e il calcio sono le cose più importanti nella mia vita. Ed è su questo che mi dovrò concentrare al 100 per 100».
A parte il piedino pesante con la sua Porsche 911 turbo (a febbraio 2012, cinquantasei giorni di sospensione della patente, 660 sterline di multa, trenta di spese e quindici di danni per i 167 km-h sulla A696 a doppia corsia per non perdere un volo al Newcastle Airport), un paio di smutandate però poteva risparmiarsele. Il 5 maggio 2009, poche ore dopo il KO casalingo 3-1 contro il Manchester United e l’eliminazione in semifinale di Champions, i paparazzi lo pizzicano in macchina a braghe e boxer calati all’uscita da un night club. «Sono giovane, ho agito in modo sconsiderato e fatto cose di cui sono profondamente pentito».
C’è più dolo invece nello slip sponsorizzato mostrato in Eurovisione nell’esultanza per la doppietta al Portogallo, che poi vincerà 3-2, a Euro 2012. L’UEFA lo multa di 100.000 euro pagate dal bookmaker irlandese che aveva commissionato la furbata, e lo squalifica per la prima partita di qualificazione mondiale per Brasile 2014.
Meno colpe ha sul gossip che lo circonda. Nel novembre 2009, lo beccano a Hyde Park con la baronessa Caroline Luel-Brockdorff, rampolla dell’alta società e amica intima della famiglia reale danese. Nel 2008 lei divorzia dal banchiere Rory Fleming, nipote di Ian autore di James Bond e padre dei suoi due figli. Nicklas l’ha conosciuta al Reality Show nel quale Caroli e doveva ristrutturare la residenza di famiglia, il Valdemars Castle. Bendtner era lì per un servizio fotografico promozionale della sua ospitata TV; poi erano scoppiati l’amore e, infine, il matrimonio. A luglio 2010, Nicklas comunica sul proprio sito ufficiale che sta per diventare padre. Il 16 dicembre, al Portland Hospital di Londra, Caroline dà alla luce con taglio cesareo un maschietto.
Bella e famosa è anche la nuova fiamma, l’attrice danese Julie Zangenberg. Poco prima di lasciare Copenaghen per Torino, le rubano il portatile. I ladri ricattano Bendtner: 25.000 corone danesi (neanche 3.500 euro, a uno che guadagna 50.000 sterline la settimana) per non divulgare centinaia di foto della coppia in intimità in camera da letto trovate nel PC. Nicklas avverte la polizia, che si presenta all’appuntamento con un agente che si finge il calciatore, e arresta due balordi, che sostengono di essere lì per restituire il computer. La conferma della squalifica per il boxer “vietato” chiude una settimana nera.
In un impeccabile dolcevita grigio, invece, si presenta in una Torino di fine estate che sa già d’autunno. In bianconero veste il diciassette e difficilmente ripeterà il “beau geste” fatto all’Arsenal nel 2009-10: lasciato il ventisei per il cinquantadue, promise di rifondere di tasca sua i tifosi che avevano già comprato la replica ufficiale con il vecchio numero.
Sfumati in due anni top player veri come Sergio Agúero e Robin Van Persie e, almeno fino a gennaio 2013, uno che sposta come Fernando Llorente, Bendtner può essere la torre dinamica che ad Antonio Conte mancava nel parco attaccanti inserito nei venticinque in lista Champions: Giovinco, Mari, Quagliarella e Vučinić.
In area non ha paura (a marzo 2012 una scarpata del difensore Angel Rangel dello Swansea City per poco non gli acceca l’occhio sinistro) e sa farsi rispettare. Fortissimo fisicamente, abile di testa specie in controtempo sul palo lontano, il danese è tutto meno che il classico lungagnone d’area statico. Non aspetta il pallone, ama svariare e non a caso Wenger spesso lo schierava esterno per sfruttarne i tagli e l’ottimo diagonale incrociato, sia di destro sia di sinistro. Ma è ovvio che renda di più al centro.
Altro che Dimitàr “pinocchio” Berbatov (mentalmente finito da un anno), sei milioni per un 1988 in prestito che ancora deve esplodere possono essere un crack. Difetta ancora un po’ in cattiveria, concentrazione e continuità. E deve perdere peso. Ma in quanto a fiducia e mezzi, da uno a nove: dieci.
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