martedì 30 luglio 2024

Eugenio CORINI


Un centrocampista di ragionamento, si diceva ai tempi, dalle grandi possibilità. Il ragazzo, in effetti, aveva talento e, nelle due stagioni sotto la Mole, riuscì a mettere insieme tra campionato e coppe 64 presenze e 4 gol. «Fu un’esperienza non solo unica, straordinaria direi. Arrivai alla Juventus giovanissimo, a venti anni. Ricordo bene il giorno della presentazione in sede, che allora era in Piazza Crimea. C’era un grande fermento: era la stagione 1990-91, si veniva dai Mondiali, dove Baggio e Schillaci avevano lasciato il segno e inoltre la Juventus si stava rinnovando. Era arrivato Montezemolo e la squadra era stata affidata a Maifredi, per cercare di darle un gioco spumeggiante, spettacolare, sull’esempio del Milan di Sacchi. Il gioco che voleva non era semplice, richiedeva tempo e purtroppo noi commettemmo l’errore di… partire troppo bene. Poi perdemmo con la Samp, ci sentimmo fuori dalla lotta scudetto e probabilmente ci rilassammo, provocando il crollo. Tra l’altro tre giorni dopo quella partita uscimmo dalla Coppa Italia con la Roma, Maifredi disse alla dirigenza che se era desiderio della società lui era pronto ad andarsene, e tutto l’ambiente non fu più quello di prima. Peccato».
A livello personale però le soddisfazioni non mancarono: «In effetti, non posso che essere contento dei miei due anni alla Juventus. Venivo dal Brescia, ero molto giovane e per di più il mio ruolo, quello del regista, è particolarmente delicato; eppure giocai un buon numero di partite, molte da titolare. Ancora oggi qualcuno quando ricorda la mia esperienza alla Juventus, ne parla in termini poco positivi, mentre in realtà sono molto soddisfatto di come andò. Può darsi che non abbia avuto troppa fortuna, perché capitai in un periodo nel quale non si vinceva; prendiamo come esempio Tacchinardi, giusto per parare di un altro regista: lui ha avuto il tempo di ambientarsi e ha giocato in una squadra che ha collezionato scudetti e coppe, io no. Questo però non significa che non ricordi quegli anni con grande piacere».
Dopo la Juventus ha viaggiato parecchio: Sampdoria, Napoli, Brescia, Piacenza, Chievo, Palermo, Torino, un giramondo insomma: «Beh, ho vissuto un periodo particolare. Ero ritenuto un’eterna promessa ed è stato duro scrollarsi di dosso quell’etichetta, soprattutto perché sono incappato in diversi infortuni. Dai ventitré ai ventotto anni, in effetti, ho attraversato degli anni difficili. Poi fortunatamente mi sono ripreso e sono riuscito a togliermi grandi soddisfazioni».
Non è stato facile, però: «Certo, ma il lavoro, alla lunga, è quel che paga; il resto, per me, conta poco. Mi hanno insegnato così i miei genitori e sarò sempre grato a loro per questo. Sono contento di essere come sono, non vorrei essere nient’altro. Sono cresciuto in una famiglia di paese, gente abituata a lavorare sodo, sempre. Mi hanno insegnato che cosa è il sacrificio, che cosa significhi guadagnarsi il pane».
È arrivato alla Juventus venti anni, se n’è andato dopo appena due stagioni; Trapattoni lo utilizzava come vice Baggio e le occasioni per scendere in campo, non furono tante. Fu ceduto alla Sampdoria, in cambio di Gianluca Vialli. Peccato, perché Eugenio era uno da Juventus.

MATTEO DELLA VITE, DAL “GUERIN SPORTIVO” DELL’11-17 MARZO 1992
Giocano e vincono. Insieme. Dice: ma in che film? Non c’è trucco non c`è inganno. Lui e Baggio s’intendono a meraviglia quando, in coppia, sfidano i compagni. A carte... «In questa ottica è l’unica soddisfazione che mi rimane. Io e Roby siamo imbattibili a pinnnacolo. Ma poi, finisce lì: altre occasioni, spezzoni di venti minuti a parte, purtroppo non esistono...».
Parole e «singhiozzi» di Eugenio Corini, talento in naftalina che tanto si spiega e che poco si spezza. In un campionato vissuto a inseguire, l’Eugenio incompreso se la passa fra panchine tutte uguali, domande senza risposta e un cruccio grande come il mare. «Ripeto per l’ennesima volta: Trapattoni mi vede come alternativa a Roberto, ma io non sono da panchina. Credo di essere completamente diverso da Baggio, e credo anche di poter trovare posto alle sue spalle, come regista difensivo pronto all’interdizione. Non avrò il fisicaccio, ma se guardate bene la gamba non la risparmio mai…».
Simpatico, posato, con tanta amarezza in fondo agli occhi. La sua storia di «prigioniero di Baggio» ha fatto il giro dello stivale pallonaro, scatenando domande e proposte. Ma niente da fare. Trap tira avanti e risolve il Grande Dubbio... senza risolverlo: fuori uno, dentro l’altro e tanti saluti alla possibile coesistenza. A lui non resta che scherzarci sopra, parlando di sfide epiche con Luppi e Carrera seduti a un tavolo verde. Troppo furbo ed educato per cadere nella trappola di un attacco frontale al Trap; troppo sincero e pulito, però, per poter sopportare in silenzio una situazione del genere, così frustrante. Corini ha la faccia di tutti i giorni, ma anche gli stessi pensieri, le stesse angosce, le solite domande. Assieme alla bella moglie Caterina, sposata lo scorso dicembre, coccola la piccolissima Alessandra, sei mesi e tanta vivacità. «Molte volte mi è venuta la voglia di esplodere, di dire basta. Ma poi ho riflettuto trenta secondi in più e ho deciso di lasciar perdere. Avere una famiglia, una figlia, tante responsabilità tutte in una volta: devi saperti gestire, magari dissentire ma con garbo e correttezza. E allora, tanti saluti alla polemica. Non fa e non ha mai fatto per me».
Già, polemica mai, ma spazio per qualche chiarimento c’è sempre stato. Eugenio gioca, convince e stupisce nell’Under 21 di Cesare Maldini, poi... Poi, buonanotte talento e riecco le angosce. Momenti strani e di difficile interpretazione, momenti da non augurare a nessuno. «Beh, oddio: non è che non dorma alla notte, mi scoccia solo non calpestare mai il campo. Lo sfioro? Sì, lo tocco per venti minuti, ma dica lei quanto un uomo d’ordine come me possa cambiare la faccia a una partita. Non sono né un difensore, né un attaccante da impiegare secondo certi stravolgimenti tattici, il mio ruolo è ben definito, un ruolo che offre continuità, non scossoni sismici. Rimango dell’idea che io e Roberto possiamo coesistere, ma, per motivi tattici, Trapattoni non la pensa allo stesso modo. Peccato...».
– Solo «peccato»? «Cosa devo dire, se non altro ho la possibilità di sentire e leggere tanti attestati di stima. Ma c’è poca consolazione in questo…».
– Ecco: non la infastidisce il fatto che si parli più per quel che non fa che per ciò che potrebbe fare? «Già, in effetti parlano tanto di uno che non gioca: e non è roba da tutti. Ma mi creda: preferirei giocare dall’inizio e ricevere qualche critica in più. Sarebbe per lo meno istruttivo».
– Dentro di sé cova incertezze? «Sul mio futuro sicuramente, perché una volta mi danno come pedina di scambio, l’altra parlano di Juventus e l’altra ancora mi vedono già al Genoa, all’Atalanta o al Parma. Fa piacere, certo, ma puoi essere tranquillo pensando che domani sarai chissà dove? No, non puoi...».
– Qualcuno dice che non ha le qualità opportune per fare l’incontrista. Vero o falso? «Falsissimo. Perché una delle mie caratteristiche migliori è quella di andare sempre in contrasto e in pressing con decisione e magari cattiveria. Quindi, osservazione ingiusta...».
– Adesso preferirebbe giocare in un’altra squadra? «È una delle tante domande che mi faccio spesso. Ci sono domeniche in cui vorrei essere nella squadrina del mio paese; così, giusto per giocare una partita. Poi penso che sono nella Juve, che la società è formidabile e che ho a fianco un campione come Baggio...».
– A fianco? «Beh, sì, insomma: quasi...».
– Ma Baggio che cosa le dice? «Mi dice e non mi dice. Non sarebbe corretto se prendesse la parte di qualcuno...».
– E il Trap? «Capita spesso che mi dica “una partita è una battaglia”, ma io gli rispondo che non mi sento un giocatore inadatto alle battaglie. Lui ha le sue idee, deve rispondere alla società e alla tifoseria. Tutto qui».
– Proprio tutto qui? «Un giorno lo avvicinai, perché passavo un periodo veramente nero. Vedendo che non entravo più gli chiesi se mi ero comportato male, se avevo fatto qualcosa che lo avesse disturbato, irritato. Beh, lui fu stupendo: mi prese da parte e ci spiegammo alla perfezione. Che cosa mi disse? Niente di speciale, ma abbastanza perché ritrovassi la fiducia in me stesso».
– Invidia Orlando? «In che senso?».
– Nel senso che lui gioca ed è andato via anche perché c’era Corini... «Non lo invidio, ma sono solamente contento che faccia tante belle cose. Se Batistuta ha preso a far gol è anche merito suo».
– E allora, invidia qualcuno? «Assolutamente no».
– Che cosa non riesce a dimostrare Corini? «A ventun anni devo dimostrare ancora tantissimo. Il mio valore non voglio che lo sottolineino gli altri, vorrei dimostrarlo sul campo, magari per novanta minuti. E soprattutto vorrei dimostrarlo a me stesso: a forza di giocare poco, finisce che mi metto anche in discussione».
– Da uno a dieci, quanto crede che abbia fiducia in lei Trapattoni? «Se lo sapessi mi deciderei in un senso o nell’altro. Mi dice spesso che crede nelle mie qualità, ma alla luce dei fatti vedo solamente la panchina...».
– Che cosa le dà la forza di non abbattersi? «La solita voglia di non mollare».
– E l’idea di essere nella Juve? «Sì, anche quella. Non posso nasconderlo. Ma se dovesse continuare così, vorrei andarmene. Ho ancora un anno di contratto e non mi va affatto di bruciarmi guardando gli altri».
– Che cosa darebbe per essere in un’altra squadra? «Niente. Vede, nella mia brevissima carriera sono sempre stato abituato a giocare con allenatori che credevano ciecamente in me. Varrella a Brescia, Maifredi che si è rivelato come un padre l’anno scorso. Questo per dire cosa? Che per la prima volta ho capito che cosa significa lottare, soffrire per un posto in squadra. Fa parte dell’esperienza anche questo. Se non altro…».
– Con tutto questo bailamme non dica che non sarebbe favorevole al mercato open... «E invece non la vedo come soluzione opportuna. La nostra mentalità, la mentalità italiana per intenderci, non è adatta a questo tipo di cambiamento».
– Che cosa manca a Corini per essere felice? «Solo il campo, una maglia da titolare. Per il resto ho una famiglia stupenda e mi basta».
– Si sente più ignorato o incompreso? «Incompreso».
– Un anno vissuto così è un anno buttato via? «Quasi, ma non del tutto. Perché si cresce anche grazie alle difficoltà».
– Che cosa cambierebbe di sé? «A volte penso che se avessi qualche centimetro e qualche chilo in più, tutti i problemi si risolverebbero in un attimo. Una volta l’Avvocato venne da me e mi chiese: “E allora, Corini: come andiamo col peso? Cresce? Cresce?”. È fantastico, Agnelli, infonde una simpatia incredibile. Ma anche tanto timore. Nel frattempo, però, sto lavorando moltissimo in palestra. Ma la gente non pensi che io possa diventare un armadio. Magari...».
– Che cosa deve capire di se stesso come giocatore? «Ho la convinzione di poter diventare un giocatore da Juventus, ma devo dimostrarlo anche a me stesso. E questo è fondamentale».
– E l’Under 21 non basta... «L’azzurro rappresenta una valvola di sfogo importantissima. Ma anche qui ho dovuto penare. Albertini stava facendo grandi cose e quando arrivò, visto che abbiamo una posizione simile, pensai che anche qui sarebbe stato difficile trovare spazio. Poi Maldini mi ha provato e tutto è andato alla perfezione. Se ho paura, non giocando con la Juve, di perdere il posto nell’Under? Beh, spero di no, credo di aver dato abbastanza garanzie».
– Una critica e un elogio... «Mi dico bravo per gli spezzoni di partita giocati».
– La critica? «Lungi da me l’idea di essere presuntuoso, ma non ho critiche da farmi».
– Che cosa farà e che cosa sarà da grande? «Farò il papà, il marito e un campionato intero. Vincendo lo scudetto...».
– Con la Juve? «Se Dio... Anzi: se Trap vuole, sì».

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