domenica 21 gennaio 2024

LECCE - JUVENTUS


27 aprile 1986 – Stadio Via del Mare di Lecce
LECCE-JUVENTUS 2-3
Lecce: Negretti; Vanoli e Danova; Enzo, S. Di Chiara (dal 59’ Causio) e Miceli; Raise, Barbas, Pasculli, Nobile e A. Di Chiara. In panchina: Pionetti, Colombo, Paciocco e Rizzo. Allenatore: Fascetti.
Juventus: Tacconi; Favero e Cabrini; Bonini, Brio e Scirea (dal 82’ Pioli); Mauro, Laudrup, Serena, Platini e Briaschi (dal 55’ Pin). In panchina: Bodini, Caricola e Pacione. Allenatore: Trapattoni.
Arbitro: Agnolin di Bassano del Grappa.
Marcatori: Mauro al 69’, Miceli al 73’, Cabrini al 79’, Serena al 85’, A. Di Chiara al 86’.
La prima volta che Juventus e Lecce incontrano il proprio cammino è il 22 dicembre 1985; la squadra salentina sale per la prima volta nella massima serie, dopo tanti anni trascorsi a lottare sui polverosi campi delle serie minori. Ancora non lo sa, ma sarà decisiva per l’assegnazione dello scudetto.
La Juventus si presenta completamente rinnovata ai ranghi di partenza del campionato 1985-86; Boniek, Tardelli e Rossi lasciano la compagine bianconera, in cerca di antiche glorie a Roma e a Milano. Arrivano giovani di belle speranze: Massimo Mauro, Aldo Serena, Lionello Manfredonia e Michael Laudrup. Resiste la vecchia guardia, capitanata dai sempreverdi Scirea, Cabrini, Brio e Tacconi.
La squadra del Trap (alla sua ultima stagione in bianconero) parte a spron battuto e inanella una sequenza di otto vittorie nelle prime otto partite; la sconfitta di Napoli (grazie ad un goal impossibile di Maradona) riporta sulla terra la Juventus e lancia qualche speranza agli avversari, in primis la Fiorentina e la Roma.
Il Lecce, nel frattempo, non riesce a decollare e quando incontra la Juventus al Comunale è ultima in classifica. La partita non ha storia: una doppietta di Serena e una di Platini spazzano via le scarse speranze giallorosse di tornare da Torino con un risultato positivo.
La compagine bianconera, tanto per non perdere le sue abitudini, si laurea campione del Mondo, battendo a Tokyo l’Argentinos Junior, al termine di una battaglia senza esclusione di colpi, risolta solamente ai calci di rigore.
Il cammino della Juventus pare inarrestabile, ma la primavera è in agguato e l’apposita preparazione in vista della Coppa Intercontinentale comincia a lasciare qualche segno.
Perdendo seccamente sia a Roma (3-0 per i giallorossi) che a Firenze (2-0, con goal di Passarella e Berti), la squadra juventina è agganciata dai giallorossi dell’ex Boniek e di un giovane allenatore svedese che farà molto bene in Italia: Sven Goran Eriksson.
E il Lecce? La squadra salentina non riesce ad abbandonare l’ultimo posto della classifica e la Serie B è dietro l’angolo; alla penultima giornata, si reca all’Olimpico per far visita a una lanciatissima Roma. La Juventus, invece, è impegnata nella difficile sfida contro i rossoneri di Liedholm, alla ricerca di un posto Uefa. Tutto lascia presagire al sorpasso giallorosso, ma i pugliesi, vincendo per 3-2, consegneranno il tricolore alla Juventus che, nel frattempo, ha liquidato il Milan con un goal del danesino Laudrup. Juventus a più due sulla Roma, dunque.
Ultima giornata di campionato; di nuovo il Lecce protagonista, in quanto la squadra bianconera si dovrà recare allo stadio Via del Mare. Questa volta, però, non ci saranno sorprese; la Juventus liquida i giallorossi salentini per 3-2 e si laurea campione d’Italia per la ventiduesima volta.

“STAMPA SERA”
Nel momento del trionfo si concludono i dieci anni felici di Giovanni Trapattoni bianconero. Il passo d’addio è compiuto con una vittoria e con uno scudetto (il sesto per il tecnico; e con un pacato discorso, ricco di concetti espressi esplicitamente, allusioni, sfumature, sintomatiche rivolte a chi aveva polemizzato con lui, tempo fa. A chi gli ripropone le immagini gioiose di Cabrini, che gli va incontro dopo aver segnato il secondo gol, Trapattoni spiega «di non aver mai avuto dubbi sull’attaccamento di una squadra e di ragazzi che sarà impossibile dimenticare. Negli spogliatoi ho stretto tutti in un abbraccio, che va molto al di là dell’entusiasmo che in circostanze del genere rappresenta la prassi. Se lo scudetto dei cinquantuno punti è stato il più sofferto, quelli ottenuti nell’81 e nell’82 mi sembrano i più belli. Ma poiché giornalisticamente sono proprio le immagini conclusive quelle che meglio si mettono a fuoco nella mente, questo ventiduesimo titolo della storia bianconera è tra i più piacevoli. La soddisfazione che in questi momenti orienta il mio pensiero deriva dall’aver conquistato un titolo partendo con i pronostici assolutamente sfavorevoli».
Un torrente, parole come piovesse, ma poca voce. Le ultime grida, il trainer della Juventus le ha spese nel finale del match, per impartire ordini a destra e a manca. Scudetto, dunque, conquistato dopo illusioni rientrate, perplessità e uno sprint del tutto in linea con un inizio di campionato travolgente. Giovanni precisa che «le sofferenze fanno, parte della vita, dunque del calcio. La rete di Mauro ha sancito il mio lavoro».
Dopo di che Trapattoni affronta il tema che riguarda lo stupendo girone di ritorno disputato da un avversario che aveva risvegliato se stesso dalle ceneri di un epilogo che, a metà torneo, sembrava scontato come la trama di un feuilleton. «In effetti, il comportamento della Roma è stato magnifico, ma è limitato al girone di ritorno, mentre non credo di usare toni eretici se preciso che nel contesto generale della stagione il merito e la soddisfazione del successo sono da attribuirsi alla mia squadra».
Giovanni è commosso, la voce afona lo aiuta a creare uno schermo alla commozione, che gli si legge però negli occhi. Il passo d’addio è compiuto nella maniera più idonea e signorile. Passa Eugenio Fascetti, emozionato anch’egli per i complimenti ricevuti da tutti, compresi quelli del Trap, che gli sussurra: «Grazie per aver fermato la Roma, e non è retorica la mia!».
La dialettica di Giampiero Boniperti si materializza invece soltanto quando un transistor gli comunica, via etere, i risultati definitivi: Roma nella polvere, Juventus sugli altari. Giampiero celebra il suo quattordicesimo scudetto (cinque da giocatore, nove da presidente) all’aeroporto di Brindisi, dove si è rifugiato appena concluse le apprensioni del primo tempo, Giampiero non poteva tradire se stesso nell’atto conclusivo. Non ha visto i tre gol di Mauro, Cabrini e Serena, ma gli effetti radiofonici hanno per lui un significato ovviamente analogo. «Provo una grande gioia – ha dichiarato –. Si tratta di un titolo sofferto sino in fondo, anche per l’atmosfera calda che si è subito instaurata in campo. È stata una partita nervosa, almeno per quello che ho visto io. Il pubblico è stato però magnifico».
Quando gli chiediamo in che modo e con quali pensieri si è intrattenuto con se stesso all’aeroporto di Brindisi, Boniperti spiega che «è rilassante immaginare un lancio di Platini, e magari il sottoscritto che va a raccogliere l’invito. Un caldo del genere, comunque, lo avrei sofferto molto anch’io. Mi piace, in questa circostanza, poter festeggiare lo scudetto insieme ai miei figli».
Federica, cui gli occhi brillavano come due gocce di luce, Giampaolo e Alessandro sono rimasti però in trincea fino in fondo. Loro hanno un’età a prova di emozione.
Il Lecce esce di scena a testa alta. Dopo aver battuto la Roma all’Olimpico, fa tremare la Juventus, anche se non riesce ad ottenere quel pareggio che aveva sognato dopo il gol del libero Miceli. «Ho segnato come feci l’anno scorso contro la Sambenedettese – dice Miceli – e anche contro la Roma avevo tentato il gol di testa, ma Tancredi con una prodezza aveva respinto in calcio d’angolo. Peccato perché avete visto come il Lecce ha lottato sino alla fine. Meritavamo il pareggio».
Alberto Di Chiara è contento a meta. «Avevo promesso un gol contro la Juventus – dice l’attaccante che ha giocato l’ultima partita di campionato con il Lecce, perché passerà alla Fiorentina –. Ero riuscito a segnare contro la Roma, squadra della mia città dove sono nato e cresciuto, avevo giurato di fare un gol anche contro i bianconeri-.
Fascetti è squalificato e non vuole parlare, poi dopo insistenze afferma: «Credevo in questa squadra, anche se per qualcuno c’è stata una super-valutazione. Ora siamo retrocessi in serie B anche perché abbiamo pagato certi nostri errori».
Per ora non so se resto a Lecce o meno – aggiunge il tecnico – ne riparleremo tra qualche giorno. Questo ambiente mi va molto bene e se resto lo farò a determinate condizioni: vale a dire rinforzando la squadra e puntando decisamente all’immediato ritorno in serie A-.
Per Causio forse è stata l’ultima partita di campionato in una lunga e onorata carriera. A trentasette anni, però, non ha ancora deciso se abbandonare o meno il calcio giocato. Rimpiange di non aver avuto la possibilità di giocare al fianco di Platini nella Juventus. «Quando è arrivato lui – dice il Barone – io ero già andato via. L’ho avuto come compagno di squadra solo nel Resto del mondo. Peccato».
«Se la Juventus – continua Causio – ha meritato lo scudetto, noi oggi avremmo meritato di pareggiare. Certo che se lasci trenta metri ad una squadra con gente come Laudrup e Serena, loro non ti perdonano. Ci tenevo a giocare, come ci tengono tutti. Il 3-2 però non è mortificante, ma come sarebbe stato bello uscire dal campo con un pari, soprattutto davanti al nostro meraviglioso pubblico, anche se oggi i tifosi erano al cinquanta per cento in nostro favore. L’altra metà era per la Juventus. Contro i bianconeri, purtroppo, si sono rivisti gli errori di sempre. I gol è stata la Juventus a farli, ma da parte nostra ci sono state delle ingenuità determinanti».
Sulle tribune migliaia di tifosi bianconeri giunti da ogni parte d’Italia. Mancava il piccolo Massimo Tafuro 12 anni, di sicura fede bianconera. Da tre mesi è ricoverato in sala di rianimazione dell’ospedale di Lecce. Sta molto male e il bambino ha espresso il desiderio di avere una maglietta bianconera, o quanto meno un ricordino da parte dei giocatori della Juventus. Qualcuno, tra i giocatori del Lecce, ha detto che si ricorderà della richiesta del piccolo Massimo.

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