domenica 19 novembre 2023

Angel DI MARIA



Prima di dire sì alla Signora – scrive Ettore Intorcia sul “Guerin Sportivo” del settembre 2022 – si è confrontato a lungo con la sua signora. Perché per Angel Di Maria la famiglia è tutto: quella in cui è cresciuto nella periferia argentina e quella che ha costruito dall’altra parte dell’Oceano. E se dice che la Juve per lui è già casa, c’è da credergli: non è una frase di circostanza, perché lui conosce il valore di quella parola, casa, il suo primo regalo per papà Miguel e mamma Diana quando ha capito di avercela finalmente fatta grazie a quel pallone iniziato a calciare prima ancora di andare a scuola.
Il corteggiamento della Juve è stato senza tregua. Il tormentone – firmerà, non firmerà – sottende già un interrogativo per la prossima primavera: il Fideo sarà solo una guest star per questa stagione o si tratterrà a Torino per un altro anno ancora? Se lo chiedono i tifosi bianconeri. Se lo chiede il contabile di Madama, per via dei vantaggi fiscali del Decreto Crescita. Se lo chiede soprattutto una persona, che non è Max Allegri ma risponde al nome di Dusan Vlahovic. In una Juve costruita intorno al nuovo centravanti, Di Maria rappresenta il definitivo salto di qualità per dare un senso compiuto all’investimento folle e visionario di gennaio, quando il serbo è arrivato a Torino da Firenze per settanta milioni di euro più dieci di bonus.
Chi più di Dusan essere contento dell’arrivo dell’argentino? Nessuno, perché i numeri parlano chiaro. In carriera, dall’Argentina al Portogallo, dalla Spagna all’Inghilterra e alla Francia, Angel Di Maria ha messo insieme 154 reti in 676 gare, dimostrando di essere un attaccante in grado di arrivare speso in doppia cifra di segnare gol belli e pesanti ma di essere uno che costruisce anche per altri. Anzi, soprattutto per altri. Se contiamo i 244 assist sfornati a livello di club, l’argentino ha partecipato in tutto a circa quattrocento reti: in sei occasioni su dieci a sorridere è stato un compagno di squadra. E parliamo solo dei migliori: Mbappé e Messi al PSG, Ronaldo e Benzema al Real, Rooney e Falcao nell’unica (e deludente) stagione al Manchester United.
Dal 2003-04, considerando centrocampisti e trequartisti, Di Maria è del resto il giocatore che ha partecipato a più reti di chiunque altro in Champions League: ventidue reti e trentadue assist, meglio di Kaká, Lampard, Fabregas e pure di quel mostro di Robben, un altro che in fatto di cross e passaggi vincenti sa il fatto suo.
Nel frenetico calcio del Vecchio Continente, sempre più edonista e individualista, che si nutre di record personali e mette il gol (il proprio) davanti a tutto, negli anni Novanta era arrivato un certo David Beckham a cambiare il paradigma, a dare valore all’assist, a restituire piena dignità a un fondamentale della tecnica – il cross o comunque il passaggio nell’accezione più ampia – con il quale si può essere decisivi come e più di un centravanti. La missione pastorale del Fideo, sbarcato a Lisbona, sponda Benfica, è andata nella stessa direzione. Con una portata culturalmente ancora più dirompente, se possibile: un virtuoso dell’assist che sa distinguersi nella generazione di Messi e dei grandi cannibali del gol che dall’Argentina sono venuti a battere cassa in Europa.
Dietro quei numeri da record, c’è uno stile di gioco determinato dalla combinazione di più fattori: caratteristiche fisiche, abilità tecniche, propensioni tattiche. Partiamo dal fisico: lo chiamano El Fideo perché è esile come uno spaghetto, ma è di pasta buona, un metro e ottanta per settantacinque chili di peso forma, rapido a scappare via ma anche capace di incassare i colpi e difendere il pallone. Quanto alle abilità tecniche, poco da dire: da top player, con la garanzia della scuola argentina. Mancino naturale che gioca sulla fascia destra, con una duttilità che lo porta all’occorrenza ad andare sull’altra fascia. Partendo da destra può tagliare verso il centro e costruirsi un ampio ventaglio di soluzioni: il tiro, il passaggio filtrante, un cross velenoso sul palo più lungo. A proposito di duttilità, va ricordato l’esperimento estremo di Ancelotti a Madrid: Di Maria mezzala destra in un 4-3-3 all’insegna della qualità assoluta.
Di Maria a Torino, penultima tappa di un giro del mondo probabilmente destinato a chiudersi lì dove tutto è iniziato, in Argentina. Per la prima volta in carriera il Fideo si muove gratis: alla Juve è costato solo i pochi spiccioli dei soliti oneri accessori, cioè le commissioni. Qualcosa di insolito per un calciatore che è stato a lungo nelle posizioni della classifica dei trasferimenti multipli. Di Maria è stato venduto quattro volte per un totale di 179 milioni di euro: otto milioni per volare dal Rosario Central al Benfica, trentatré per passare al Real nel 2010, settantacinque per traslocare a Old Trafford nel 2014 e sessantatré per rifare le valigie dopo appena un anno, destinazione Parigi. L’ultimo biglietto è un last minute praticamente regalato.
«Sono stato nelle migliori squadre di ogni paese, mi mancava l’Italia e la migliore è la Juve. Ero impaziente di arrivare. Voglio provate a vincere tutto e per questo ho detto sì».
Eccolo il suo discorso programmatico nel giorno dell’insediamento nel 4-3-3 di Allegri, sintesi perfetta di ambizioni per quello che potrebbe essere il suo unico anno in bianconero e legittimo orgoglio per quanto ha saputo costruire in carriera. Ingaggiando Di Maria, in fondo, la Juventus non si è assicurata solo le sue magie ma anche tesserato il suo palmares. Tutto vero, da quando è arrivato in Europa ha vinto ovunque, con la sola eccezione dello United. Il campionato e due coppe in Portogallo con il Benfica, giusto un assaggio di quello che sarebbe accaduto dall’altra parte del confine, a Madrid. Dove ha vissuto due esperienze diversissime tra di loro. Il ciclo Mourinho, certo: è arrivato con José, nell’estate del 2010, quando lo Special One aveva appena alzato la Champions al Bernabeu, ma con l’Inter. La Liga, la Coppa del Re, una Supercoppa di Spagna. Tre titoli in tre anni. Poi arriva Ancelotti, che spalanca il trono d’Europa: la Champions, la decima, mica una qualunque, e la Supercoppa Uefa. Ma quest’ultima, a Cardiff contro il Siviglia, la vede dalla panchina: si gioca il 12 agosto, dopo due settimane esatte firmerà per il Manchester United.
Riuscirà Allegri a ottenere il massimo dal Fideo in una sola annata? Se finisse come con Ancelotti a Madrid, Max e Angel farebbero bingo.
Già, la Champions. Con il mondo Juve l’argentino condivide l’ossessione per la coppa più ricca che c’è, inseguita inutilmente per sei anni e sempre mancata clamorosamente, nonostante lo shopping compulsivo di Nasser che negli anni ha visto il Fideo dividere lo spogliato con Neymar, Mbappé e infine Messi, costringendolo in qualche modo sempre a cercare un nuovo equilibrio. Cinque titoli francesi, nove coppe di Francia e coppe di Lega, tre Supercoppe francesi: tanto eppure niente rispetto all’obiettivo. Più grande della Champions c’è solo il Mondiale, l’ultimo grande appuntamento internazionale con la maglia dell’Argentina. Può essere il suo ultimo anno nel grande calcio continentale, può essere l’ultima grande occasione per riprendersi l’Europa e ballare il tango sul tetto del Mondo.

MICHAEL DI CHIARO, DA GOAL.COM DEL 29 MAGGIO 2023
I fischi dell’Allianz Stadium che hanno accompagnato l’uscita dal campo di Angel Di Maria contro il Milan hanno rappresentato la colonna sonora di un matrimonio che, semplicemente, non è quasi mai funzionato.
Il rapporto, quello tra il Fideo e la Juventus, che ha preso forma in estate dopo una trattativa a tratti estenuante e che ha visto i bianconeri strappare il sì dell’argentino dopo oltre un mese di corteggiamento e con il proverbiale nero su bianco arrivato su un contratto di durata annuale.
Una sorta di all-in per intenderci. Un tassello di qualità purissima chiamato a infondere qualità a profusione nel progetto di “instant team” che si era pensato di affidare a Massimiliano Allegri per riportare in auge una Juventus reduce da una stagione ampiamente negativa. Di Maria avrebbe dovuto colmare, inoltre, la lacuna – in termini di leadership tecnica – generata dall’addio di Paulo Dybala, oggi alla Roma dopo l’addio a zero dalla Juve.
Tanti buoni – per non dire buonissimi – propositi che purtroppo per Allegri e per tutto il popolo bianconero non si sono poi tradotti sul rettangolo di gioco. Quella di Di Maria è stata infatti una stagione ad andamento decisamente intermittente.
Quasi sempre in ombra – eccezion fatta per il grande esordio col Sassuolo – fino ai Mondiali vinti con l’Argentina, il numero ventidue non si è quasi mai visto tra qualche spezzone qua e là e diverse noie di natura muscolare. Poi una parvenza di riscossa si è registrata con una prima parte di 2023 ad altissimo livello, con la tripletta al Nantes in Europa League a rappresentare il picco massimo della sua avventura sotto la Mole.
Ciò che rimane, a un mese dalla scadenza del suo contratto e quindi di un addio ormai, è davvero troppo poco. Se mettiamo infatti a confronto la sua stagione con l’ultima in bianconero di Dybala si evince come i numeri sorridano nettamente alla Joya. Di Maria ha collezionato otto goal e sette assist in trentanove apparizioni complessive, mentre Dybala (con lo stesso numero di presenze) era andato in rete in quindici occasioni (più del doppio) sfornando anche sei assist. In termini di minutaggio puro, inoltre, l’attuale numero ventuno della Roma aveva totalizzato 400 minuti in più rispetto all’ex PSG.
Morale della favola, ad un anno di distanza l’operazione Di Maria-Juventus non ha garantito quel salto di qualità che in casa zebrata ci si sarebbe legittimamente aspettati.
Il Fideo ha elargito lampi della sua sconfinata classe solamente a targhe alterne e la sensazione forte è che l’ormai imminente separazione non porterà in dote alcun tipo di rimpianto. Né da una parte né dall’altra.

Il suo saluto: «Sono giunto alla fine di una tappa difficile e complicata. Me ne vado con la tranquillità di chi ha dato tutto per aiutare il club a continuare a vincere titoli, ma non è stato possibile. Me ne vado con il sapore amaro di non esserci riuscito, ma con la felicità di portare con me molti amici di questo meraviglioso spogliatoio del quale ho fatto parte. Grazie a tutti i miei compagni per l’affetto che mi hanno riservato sin dal primo giorno, mi sono sempre sentito come a casa. Un grande saluto a tutti gli juventini per il loro affetto quotidiano. Un grande abbraccio. Vi porto nel cuore».

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