«È veramente una grandissima soddisfazione poter giocare in una squadra come la Juventus, amata in tutta Italia e con delle magnifiche tradizioni – racconta al suo arrivo a Torino – sono certo che mi affiaterò presto con i miei compagni e i dirigenti non dovranno rimpiangere la fiducia concessami. La Juventus, oltre che un grosso traguardo, rappresenta anche una piccola rivincita personale verso la Roma che, cedendomi al Varese, mi aveva certamente declassato».
Alla Juve, Leonardi arriva trentunenne, da Varese – racconta Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” dell’agosto 1973 – in un anno in cui pure giungono nomi illustri a rinnovare la squadra pressoché in ogni reparto. Ma il suo arrivo non ò casuale: l’idea è quella di ricostruire il tandem che a Varese, due anni prima, aveva destato sensazione, Anastasi-Leonardi vale a dire. E si tratta di un’idea azzeccatissima.
Non appena conosciuta la notizia dell’acquisto di «Bebo», il picciotto non ha infatti potuto nascondere la propria felicità: «È un grosso giocatore, affiatatissimo con me sul terreno di gioco come nella vita privata; un vero amico, un ragazzo allegro e simpatico come tutti i romani, con il quale è impossibile non andare d’accordo; sono lietissimo di ritrovarmelo vicino; ritengo che insieme potremo fare grandi cose».
Anche un suo ex avversario, ora collega, Leoncini, ne parla in termini entusiastici: «Leonardi è una brutta gatta da pelare per un difensore; scatta da fermo come se fosse catapultato da una spingarda, ed ha una velocità progressiva impressionante; inoltre per completare... l’opera, dispone di un tiro a rete fortissimo e preciso. Tutte le volte che gli ho giocato contro mi ha sempre fatto penare, tanto è vero che quasi mai, nel corso della partita, mi sono potuto spingere all’attacco com’è mio costume; era troppa la paura di non potere più recuperare su quel diavolo scatenato...».
La squadra, dopo una partenza piuttosto infelice, si assesta in ogni reparto, e comincia a risalire la china. Leonardi, piano piano, conquista il pubblico torinese, che usa per lui lo stesso nome abbreviato di Leoncini, «Leo».
Come gioca questa squadra, che Rabitti ha appena ereditato e subito immesso in acque più tranquille? In un modo semplicissimo, essenziale, moderno e antico al tempo stesso. Si capisce che c’entra in questo Leonardi da Roma, ala pura tra le ultime in circolazione: era da tempo che la Juve non aveva più un uomo simile, capace di sfruttare al massimo le fasce laterali e di far spiovere al centro palloni dorati per la delizia dell’attaccante appostato, Anastasi il più delle volte.
L’intesa tra i due è pressoché perfetta, e più di una partita viene risolta in virtù dell’abilità del tandem avanzato juventino. Prendi Juventus-Fiorentina, 30 novembre ‘69: contro i viola campioni uscenti, i bianconeri danno per la prima volta nella stagione una dimostrazione di grande efficienza tattica. La chiave di volta della partita è proprio Leonardi, inafferrabile e determinato nel dosare i lanci, una spina nel fianco della difesa viola. La Juve vince due a zero, non segna lui ma fa segnare Pietruzzo nostro, è proprio lo stesso...
Ma Leonardi ha un altro grosso pregio tecnico da far fruttare al servizio della squadra: il tiro estremamente violento e preciso. Le occasioni per mettere in mostra le sue capacità in tal senso arrivano presto: in casa bianconera, i rigori continuano a rappresentare una vera spina nel fianco, nel senso che non si riesce a trovare uno «specialista» che garantisca il buon esito dell’esecuzione. E a un certo punto Rabitti decide che dovrà essere Leo a tentare: accade il 21 dicembre, in uno Juve-Lazio che promette rilancio al vertice per la Juve già reduce da tre vittorie consecutive. I bianconeri, che conducono col minimo scarto grazie ad un gol realizzato in mischia da Salvadore, usufruiscono di un rigore al quarto d’ora della ripresa. Tocca a Leo, contro il quale è il portiere laziale Sulfaro. Rincorsa piuttosto lunga e... niente tiro: già, perché nel frattempo l’estremo difensore è finito a mezza strada tra la linea di porta e il dischetto. Tutto da rifare, il momento può essere importante, e la tensione in campo e fuori è notevole. Ma Leonardi ha nervi d’acciaio, e, col portiere al suo posto tra i pali, scaraventa il pallone in rete con memorabile legnata.
A distanza di due domeniche dal fatto, Leo fa ancora di più: risolve su punizione dal limite la partita casalinga col Bari, fattasi difficilissima a causa del terreno innevato e perciò ammazza gioco. Intanto, il suo gioco continua a essere di estrema efficacia e importanza nell’economia della manovra bianconera: a Bologna, contro i rossoblù scatenati alla ricerca del successo di prestigio, Leo disputa una grande prova, alleggerendo con i suoi spunti in velocità la costante pressione dei padroni di casa. E nel derby di ritorno la sua prestazione è addirittura memorabile, così come sono senza dubbio da ricordare quasi tutte le sue prove del finale di stagione.
8 febbraio ‘70, è giorno di gran derby: all’andata han prevalso i granata su una Juve perfino autolesionista nel dosare le marcature, ma adesso molte cose sono cambiate, e nei bianconeri secondi a un passo dal Cagliari è grande la voglia di vincere e convincere. Leonardi gioca qui forse la sua migliore partita in bianconero: una prestazione esemplare sul piano della manovra condita da un gol tanto bello quanto decisivo. Sull’uno a zero per la Juve, con i granata proiettati all’attacco in cerca del gol del pareggio, un difensore bianconero vince un contrasto e appoggia a Leonardi, che si trova appena oltre la propria metacampo. Leo compie uno stupendo slalom in progressione ai danni di tre difensori granata, e, giunto in prossimità del vertice destro dell’area torinese, pur sbilanciato da un contrasto, beffa il portiere in uscita disperata con un pallonetto smorzato che si infila nell’angolino opposto. Esecuzione magistrale, una vera «pennellata» che esalta la platea del Comunale.
«Sulla rimessa del nostro portiere, ho anticipato Fossati e sono giunto fin sul limite dell’area. Avevo di fronte un paio di avversari, ho fatto la finta di scartare sulla sinistra e invece mi sono incuneato sulla destra. Poi ho sparato e la palla è entrata».
Rincara la dose Renato Molino su “La Gazzetta dello Sport”: «Dimostrazione vivente su cosa sia il contropiede. Mezzo campo di corsa e tiro in diagonale. Poi una botta di Agroppi gli ha tolto una marcia e ha dovuto cedere il posto a Zigoni. Ha lasciato il campo tra gli applausi».
Naturalmente, ci sono nell’arco del torneo momenti meno esaltanti per questa ala di grandi risorse atletiche che sa pure risolvere situazioni in area di rigore, con la sua considerevole potenza di tiro.
Vedi il caso di Juve-Napoli zero a zero, rigore calciato sull’incrocio dei pali e punto importantissimo regalato agli azzurri di Zoff. O ancora la prova opaca di Firenze, con relativa sconfitta che estromette in pratica i bianconeri dalla lotta per il titolo.
Il 29 marzo, comunque, è nuovamente festa per Leonardi: il Milan, che si illude forse di avere a che fare con una Juve ridimensionata dalla sconfitta subita dai viola e perciò dimessa, becca subito due magnifiche reti da uno scatenato Anastasi, e dopo una manciata di minuti arriva il definitivo suggello alla vittoria. Haller filtra tra due difensori e scodella al centro un pallone millimetrico che Leonardi sbatte dentro al volo, agganciandolo di collo destro. Finisce tre a zero la partita, e finisce anche il campionato, che per la prima volta nella sua storia è sfuggito alle squadre del continente per prendere la strada della Sardegna.
Leonardi detto Leo si è praticamente congedato dal pubblico juventino con la prodezza della gara col Milan: ventotto presenze, cinque gol, sono il bilancio della sua stagione. Un bilancio più che lusinghiero; c’è soltanto il rammarico che un giocatore del genere non sia arrivato prima in bianconero. Avrà la conferma per l’anno dopo? No; i piani di rinnovamento della squadra sono estremamente chiari, occorre programmare a distanza, e per questo occorre votarsi ai giovani. Leonardi è una soluzione positiva, ma elude il problema. Chi lo sostituirà nell’ormai atipico ruolo di ala «vecchia maniera»? Nessuno, chiaramente. Si torna a giocare secondo quanto comanda il moderno verbo calcistico, che parla di «punte» tuttofare, e non di «ala» o «centrattacco».
Per questo, oltre che per il poco tempo trascorso da allora, Leonardi si ricorda bene, senza timore di confonderlo con qualche altro «juventino di passaggio»: parlare di lui «ala pura» è un po’ come fare un tuffo nel passato.
Nessun commento:
Posta un commento