È il 1993-94 ed a Torino sbarca un giovanotto di belle speranze, dalla chioma riccioluta e dal destro mirabile. Il ragazzo si è già messo in mostra nel Padova, nella Primavera ed anche in prima squadra, nonostante la giovane età. «Lo sport mi è sempre piaciuto, giocavo un po’ a basket, a tennis senza maestro, però lo sport era il calcio e basta. Una passione irrefrenabile. Ero a scuola e pensavo alla palla, mangiavo con la palla e poi via, fuori. I miei genitori sono stati fantastici perché non mi hanno mai forzato né gasato. È quello l’errore grande. Il comportamento dei genitori è decisivo, per i figli sportivi. Io avevo anche l’esempio di mio fratello Stefano, più grande: era alla Samp, nella Primavera, con Lippi. Lui l’ha visto prima di me.
Nel mio cortile spesso giocavo da solo: serve tanta immaginazione. Ero un campione della Juve, passavo la palla a Cabrini, a Tardelli, a Scirea, duettavo con Platini. E la mia Juve del cortile era anche piena di stranieri: oggi Maradona, domani Van Basten, dopodomani Zico o Gullit; ed io facevo goal.
Il primo torneo lo gioco con una vera divisa, gialla e blu: scuola Comunale di Saccon. Il gialloblu era anche il colore del Conegliano. Le magliette tutte identiche vogliono dire squadra. Quel torneo lo perdemmo in finale ai rigori, vabbeh, succede, non sarebbe neanche stata l’unica volta. Sono andato via di casa a tredici anni. Ero affascinato, stavo al Padova, era un’altra dimensione: necessaria, per provare a essere davvero un calciatore. Però il primo anno è stato difficile, io sono un ragazzo timido, ancora adesso lo sono. Si viveva in quattordici dentro una stanza, il pranzo arrivava scotto dalla mensa, al ritorno dalla scuola era immangiabile: però, così cresci. Ero il più piccolo, di età e di corporatura: poi, oddio, non sono diventato Shaquille O’Neal, però mi difendo. L’inizio, devo dire, fu un po’ traumatico. Mia mamma ricorda di quando andavo a prendere il treno e si raccomandava, “stai vicino alle altre persone, fai attenzione”. Dovevo cambiare a Mestre, aspettavo la coincidenza anche trenta, quaranta minuti. Poi, mamma e papà vennero a trovarmi a Padova, ed io: “Occhio al cambio di binario a Mestre”. Ecco, mia mamma dice che in quel momento capì che ero diventato grande. Succede quando sono i figli a preoccuparsi per i genitori, e non viceversa».
I numeri ci sono e così il presidente Giampiero Boniperti e l’allenatore Giovanni Trapattoni, decidono che quell’Alessandro Del Piero merita di far parte della Juventus. A diciannove anni, la giusta collocazione è la Primavera e così Ale entra nella rosa di mister Cuccureddu, divenendone subito un leader. Quella è una squadra che regalerà alla massima serie giocatori di tutto rispetto come Cammarata, Manfredini, Squizzi e Binotto.
Il talento purissimo di quel giovanotto veneto emerge con prepotenza e guida la Primavera a una doppietta irripetibile: Torneo di Viareggio e scudetto di categoria: «È stata una bella esperienza, indimenticabile. Era una squadra forte quella Juventus Primavera, che è riuscita a imporsi in due manifestazioni in cui la vittoria bianconera mancava da molti anni. Anche se per la prima squadra quello non fu un grande anno, ma una stagione di transizione, a livello giovanile ci siamo tolti una bella soddisfazione».
Si allenava già con la prima squadra, però: «Diciamo che ero a metà, ma con la prima squadra mi allenavo regolarmente, andavo in ritiro e mister Trapattoni mi fece anche giocare. Alla fine ho totalizzato quattordici presenze e cinque goal. Che dire? Come primo anno alla Juventus è stato meraviglioso».
Che il ragazzo avesse una marcia in più, del resto, si era già capito a inizio stagione: se con i pari età Del Piero sembra un extraterrestre, basta una settimana d’autunno per vedere come, con i grandi, si trovi già perfettamente a suo agio. Il 12 settembre del 1993 Ale fa il suo esordio in serie A, a Foggia: «Se devo essere sincero, più che il momento in cui sono entrato in campo, ricordo di più l’emozione della gara vissuta dalla panchina. Ero davvero assorto dalla partita. Eravamo in parità contro un Foggia, che allora era forte. Diciamo che ho emozioni e ricordi più forti della settimana successiva».
Tre giorni dopo, in Coppa Uefa, contro il Lokomotiv Mosca, ecco il debutto in Europa. Il 19 settembre poi; al Delle Alpi, all’80° minuto di Juventus-Reggiana, Del Piero timbra il 4-0 di una partita già segnata. Sembra un goal poco importante, visto il punteggio. In realtà, a pensarci ora, è il primo capitolo di un libro che riscriverà la storia bianconera: «È stato un giorno davvero esaltante. Abbiamo vinto, ho segnato la mia prima rete ed era anche l’anniversario di matrimonio dei miei genitori. È stato un giorno speciale in tutti i sensi».
E proprio a quell’anno si riferisce uno dei suoi primi ricordi legati all’Avvocato Agnelli, che poi ha seguito il suo percorso passo dopo passo e gli ha sempre dedicato un occhio di riguardo, soprannominandolo Pinturicchio.
«Infatti, i miei ricordi legati all’Avvocato sono tanti, ma ce n’è uno che mi fa piacere raccontare in quest’occasione. Accadde proprio in quel mio primo anno alla Juventus. Prima della partita casalinga con il Milan, che poi perdemmo 1-0, in squadra c’erano molti giocatori infortunati e Trapattoni decise di farmi giocare. Era la mia prima partita importante, avevo solo diciannove anni. Ricordo che prima di scendere in campo per il riscaldamento pre-gara, mi chiamarono perché c’era una telefonata per me. Mi avvicinai a un telefono del Delle Alpi e sentii la voce dell’Avvocato. Voleva farmi un “in bocca al lupo”. Rimasi senza parole».
Il secondo anno di Ale alla Juventus è segnato da grandi cambiamenti, innanzi tutto al vertice: a guidare la società ora ci sono Roberto Bettega, Antonio Giraudo e Luciano Moggi, rispettivamente vice presidente, amministratore delegato e direttore generale. Il presidente è l’avvocato Vittorio Caissotti di Chiusano. La nuova dirigenza opera una scelta coraggiosa: la squadra è affidata a Marcello Lippi, allenatore giovane, che ha ben figurato sulle panchine di Napoli e Atalanta. Il tecnico viareggino ama un calcio spregiudicato, votato all’attacco e nel primo anno dei tre punti a vittoria, le sue scelte si rivelano vincenti.
Del Piero si è già messo in mostra nella stagione precedente, con cinque goal in quattordici presenze (tra campionato e coppe), tra cui un’esaltante tripletta rifilata al Parma; le precarie condizioni fisiche di Roberto Baggio gli spalancano le porte. Ale ha solo vent’anni, ma ha anche personalità da vendere e segna goal pesantissimi. Un esempio? 4 dicembre 1994, al Delle Alpi: la Fiorentina conduce per 0-2.
A venti minuti dalla fine la Juventus esce dal torpore e trionfa: Vialli segna due goal in tre minuti, ma a completare la rimonta è Del Piero, con una rete da cineteca: un tocco morbido, al volo, di collo destro, che corregge alle spalle di un esterrefatto Toldo un lancio di quaranta metri: «Quel goal è stato senza dubbio uno dei miei due preferiti. È stato un goal molto bello, segnato in una giornata indimenticabile. La rimonta sulla Fiorentina, dallo 0-2 al 3-2 grazie alla doppietta di Vialli e alla mia rete, è stata una grande dimostrazione di carattere da parte della nostra squadra che da quel momento ha iniziato la famosa serie impressionante di vittorie».
Una perla, ma non è l’unica: passa solo una settimana e la Juventus deve andare a giocare a Roma, contro la Lazio, una gara difficilissima. I biancoazzurri sono una superpotenza e Lippi ha mezza squadra indisponibile. Ale però ha le spalle larghe e se c’è da guidare la squadra non si fa pregare; doppietta, la prima in serie A e risultato finale di 4-3 che lancia i bianconeri in vetta alla classifica. Ci resteranno sino alla fine, riportando a Torino uno scudetto che mancava da nove anni, vincendo la Coppa Italia e sfiorando la Coppa Uefa. Una squadra stellare, che ha già in Del Piero il suo astro più luminoso.
Ale è già un idolo dei tifosi e la società decide di puntare su di lui con convinzione; Roberto Baggio emigra a Milano e da quel momento il numero dieci non si scolla più dalle spalle di Ale. È il numero dei fuoriclasse e Del Piero lo indossa con naturale eleganza, nobilitandolo con giocate superbe, che portano al traguardo più ambito: la Champions League.
S’inizia a Dortmund, contro il Borussia e Ale incanta: i tedeschi passano subito in vantaggio con l’ex Möller, la Juventus pareggia poco dopo con Padovano. La partita è difficile, ma il fenomeno di San Vendemmiano ha in serbo un colpo che passerà alla storia: dal vertice sinistro dell’area di rigore lascia partire un tiro carico di effetto che s’insacca tra il palo più l ontano e la traversa, preciso nel sette.
È il goal alla Del Piero, che in Italia aveva già mostrato l’anno precedente contro il Napoli, ma che, siglato in Europa contro i tedeschi e ripetuto contro Rangers Glasgow e Steaua Bucarest, diviene il suo marchio di fabbrica internazionale. Il goal più prezioso però arriva nei quarti di finale. La Juventus deve rimontare contro il Real Madrid l’1-0 subito al Bernabéu e Ale ci mette sedici minuti per rimettere a posto le cose, con una punizione maligna, che il portiere spagnolo può solo guardare. Padovano chiuderà poi il conto, spianando la strada verso la semifinale col Nantes e verso il trionfo di Roma.
La Juventus è signora d’Europa e il 26 novembre 1996 diventa padrona del mondo: La Coppa Intercontinentale manca dal 1985, dalla vittoria sull’Argentinos Junior firmata dal rigore decisivo di Michel Platini. Ancora una volta sulla strada dei bianconeri ci sono degli argentini, quelli del River Plate, del gioiellino Ortega. La stampa si esalta in duelli a distanza tra il sudamericano e Del Piero e, a rileggerli ora, quei paragoni paiono quasi blasfemi. È Ale a decidere la sfida, allo scadere, trovando, con la precisione del suo destro, una fessura nella difesa argentina e portando la Juventus in cima all’Olimpo del calcio mondiale: «Quel goal è stato bello, importante, indimenticabile. E la vittoria della Coppa Intercontinentale è stata il perfetto coronamento di due anni e mezzo di cavalcate vittoriose».
Dopo soli tre anni alla Juventus, Ale ha già conquistato ma Champions League; uno scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana: Ma già nei primi mesi della stagione 1996-97, il bottino aumenta in maniera consistente, con la Coppa Intercontinentale e con la Supercoppa Europea: vittima designata di una Juventus tritatutto è il Paris St. Germain; addirittura umiliato in casa per 6-1 e regolato nella gara di ritorno, giocata a Palermo, con un 3-1 al quale Del Piero partecipa con una doppietta.
In campionato è una marcia trionfale: solo il Parma di Buffon, Cannavaro e Thuram prova a tenere il passo dei bianconeri, ma la Juventus macina punti e regala spettacolo e arriva il ventiquattresimo scudetto, il secondo per Ale. La stagione potrebbe essere indimenticabile, ma la seconda finale di Champions League consecutiva ha un epilogo inatteso. La Juventus ritrova il Borussia Dortmund; sempre schiacciato negli ultimi anni; a Monaco, però, i tedeschi giocano una partita orgogliosa e a nulla vale il capolavoro siglato da Del Piero nella ripresa: un goal di tacco da antologia che non basta però ai bianconeri per centrare la stagione perfetta.
L’anno successivo, dopo aver vinto in estate la Supercoppa Italiana ai danni del Vicenza, in campionato non ce n’è per nessuno: l’Inter cerca di contrastare l’armata bianconera, forte dell’arrivo di Ronaldo; ma il vero fenomeno è Ale che in trentadue partite segna la bellezza di ventuno reti, l’ultima delle quali proprio contro l’Inter, nella sfida decisiva del 26 aprile al Delle Alpi. Un goal che vale uno scudetto: il secondo consecutivo, il terzo per Del Piero. Purtroppo, invece, in Champions League i bianconeri centrano la finale, ma sono sconfitti dal Real Madrid ad Amsterdam.
Nei primi quattro anni dell’accoppiata Del Piero-Lippi, la Juventus vince sempre e vince tutto ed anche la quinta stagione sembra partire con il piede giusto. I bianconeri sono saldamente in testa alla classifica e all’ottava giornata fanno visita all’Udinese; Zidane e Inzaghi vanno a segno, mettendo in cassaforte altri tre punti e tutto sembra andare per il verso giusto. A pochi minuti dalla fine Del Piero parte in velocità sulla sinistra, cerca il traversone, ma è contrastato e rimane a terra: Il suo ginocchio sinistro è andato: rottura del legamento crociato e collaterale; dovrà operarsi e stare fuori almeno sei mesi. La sua stagione è finita.
Quella della Juventus continua, ma senza Ale, non è più la stessa cosa: i problemi paiono moltiplicarsi e Lippi consegna le dimissioni dopo la sconfitta interna contro il Parma. A febbraio la panchina è affidata ad Ancelotti, che trova però una squadra in difficoltà. Il campionato oramai è compromesso e l’avventura in Champions termina contro il Manchester United, capace di rimontare al Delle Alpi il doppio svantaggio firmato da Inzaghi.
È una stagione sfortunata e ai bianconeri sfugge anche la qualificazione alla Coppa Uefa. Per arrivarci si dovrà passare dall’Intertoto: proprio in estate, durante questo torneo, Ale torna in campo e torna al goal. I due anni successivi non portano i trionfi sperati. Nella stagione 1999-2000, la squadra di Ancelotti, dopo mesi in testa alla classifica, vede sfumare il sogno scudetto all’ultima giornata, nel pantano di Perugia, e l’anno dopo sarà la Roma di Capello a cucirsi il tricolore sul petto. La Juventus non vince, ma Ale non si ferma e raggiunge quota novantanove goal in maglia bianconera.
La stagione 2001-02 presenta al via una Juventus rivoluzionata: in campo, dove partono Inzaghi e Zidane e arrivano Buffon, Thuram e Nedved, e in panchina, dove Ancelotti lascia posto al ritorno di Marcello Lippi. La partenza è al fulmicotone: al Delle Alpi arriva il Venezia, surclassato dalla doppietta di Trézéguet, promosso titolare, e da quella di Ale che in un sol colpo raggiunge e supera un traguardo storico: 100 goal maglia bianconera.
A fine stagione le marcature di Del Piero in campionato saranno ben sedici e l’ultima avrà un sapore speciale: la Juventus all’ultima giornata di campionato va a Udine. I bianconeri sono secondi in classifica, un punto dietro l’Inter che gioca allo stadio Olimpico contro la Lazio. È un pomeriggio che regala emozioni forti: a Udine, Trézéguet va a segno dopo due minuti e Del Piero chiude il conto all’undicesimo minuto. All’Olimpico termina 4-2 per la Lazio. La Juventus è Campione d’Italia per la ventiseiesima volta, per Ale è il quarto scudetto.
Il quinto arriva l’anno successivo, dopo una cavalcata trionfale, impreziosita da altre sedici perle di Ale. La Juventus, che in estate si era aggiudicata anche la Supercoppa Italiana, va forte anche in Europa. In Champions League è memorabile la semifinale di ritorno contro il Real Madrid: al Bernabéu le “Merengues” si impongono per 2-1, ma al Delle Alpi i bianconeri disputano una delle loro partite più belle. Nel 3-1 che spiana la strada verso finale di Manchester, c’è anche la firma di Del Piero che timbra con una magia delle sue il momentaneo 2-0.
All’Old Trafford contro il Milan arriva però una delusione cocente; qualche mese più tardi la Juventus si prenderà la propria rivincita nella Supercoppa Italiana giocata a New York proprio contro i rossoneri e sarà quello l’unico trofeo della stagione alle porte, l’ultima dell’era Lippi.
Sulla panchina della Juventus arriva Fabio Capello, che ha vinto ovunque, ha vinto sempre e alla guida della squadra più titolata d’Italia non può che fare altrettanto. La Juventus prende la testa della classifica alla prima di campionato e non la molla più, al limite la divide in comproprietà con il Milan, fino alla sfida decisiva dell’8 maggio a San Siro. Ed è in quella partita che tutto il talento e il carisma di Ale vengono fuori: la Juventus vince grazie ad un goal di Trézéguet, ma proprio il capitano è il migliore in campo ed è proprio lui a pennellare con una spettacolare rovesciata l’assist che David trasforma in rete.
È importante sottolineare quel gesto, perché Ale non è solo un goleador, ma è anche un giocatore che sa mettersi al servizio della squadra e se non è lui a segnare, spesso e volentieri è lui che manda i compagni in rete. Una qualità che non è riportata nelle statistiche, ma che è preziosa quanto lo straordinario fiuto del goal del più grande cannoniere della storia della Juventus: «È molto importante mettersi al servizio della squadra, in tutti i sensi», conferma Del Piero, «quello di Milano è stato un assist diverso dagli altri, mi ha fatto molto piacere perché l’ho fatto in una partita particolare e in un momento particolare, visto che eravamo appena usciti dalla Champions League».
Ha battuto il record di Giampiero Boniperti il 10 gennaio 2006, nella gara di ritorno degli ottavi della Coppa Italia, proprio contro la Fiorentina, la squadra a cui segnò uno dei suoi goal preferiti. Era un ragazzo il 4 dicembre 1994, quando realizzò quella splendida rete che ribaltò, assieme alla doppietta di Vialli, un brutto 0-2 in uno straordinario 3-2, che dimostrò che la Juventus era una squadra tutta grinta e carattere, che sarebbe andata lontano, che avrebbe aperto un ciclo, che quel giovanotto di vent’anni anni sarebbe diventato un campione. E così è stato.
A distanza di dodici anni Del Piero ha stabilito il record assoluto di reti in maglia bianconera, e proprio contro la Fiorentina, un segno del destino. Il tanto atteso goal del record, il 183, arriva dopo appena otto minuti: Alessandro riceve palla, controlla da par suo e con un gran sinistro batte il portiere. Il capitano festeggia con i compagni, con i tifosi, mentre, attraverso lo speaker, la Juventus lo incorona primo bomber della storia. Ale è inarrestabile. Così, al 17’, arriva il goal numero 184, su calcio di punizione, una sua specialità. E per chiudere in bellezza, al 57’ fa tripletta con un calcio di rigore. E sono 185. Inizia la festa.
A fine gara i complimenti si sprecano. Dirigenti, amici, giornalisti e il suo allenatore, Fabio Capello: «Ha vissuto una serata davvero straordinaria. Ha superato Boniperti ed è entrato nella leggenda. Ha raggiunto questo traguardo con grande merito per quello che ha fatto negli anni e per l’impegno costante che dimostra ogni giorno. È un giocatore che in campo da sempre tutto. In questo momento è in ottima forma, farà un grande girone di ritorno e arriverà ai Mondiali in grandissima condizione».
Juventus.com, che gli dedica una splendida “splash page” e uno speciale dedicato alla sua straordinaria carriera, fa numeri da record, il suo sito personale è tempestato di messaggi da tutto il mondo. Cresce l’entusiasmo durante l’attesa della festa, organizzata dalla società per la domenica successiva, nel pre-partita di Juventus-Reggina. Sul maxischermo dello stadio Delle Alpi è proiettato un video con tutti i goal del nostro capitano, la curva intanto espone uno striscione gigante: «183 Alessandro Del Piero imperatore bianconero».
Alessandro esce qualche minuto prima dell’inizio del riscaldamento. È emozionato, va sotto la sua curva che anche questa volta gli dimostra tutto l’affetto con cui lo ha accompagnato in ogni momento della sua straordinaria carriera. Poi comincia la celebrazione ufficiale. Pochi minuti prima dell’inizio della partita entrano in campo undici ragazzini che indossano le maghe delle squadre a cui Alessandro ha segnato i goal più importanti, dal River Plate alla Fiorentina, passando per Milan, Inter, Real Madrid e Borussia Dortmund.
Intanto è proiettata la coinvolgente “splash page” del sito ufficiale e, vicino al palco allestito a metà campo, è esposto un altro striscione: «Alessandro Del Piero 183 goal, una sola maglia, unico nella storia».
Il capitano sale sul palco accompagnato dal presidente Franzo Grande Stevens che gli consegna la targa con tutti i suoi goal: «Ringrazio la società e i tifosi per come mi hanno festeggiato», dice Alessandro, che corona poi una giornata indimenticabile firmando la vittoria sulla Reggina con un’altra perla, un sinistro imparabile.
«È per me un motivo di grande orgoglio far parte della storia della Juventus. Ringrazio la società, i miei allenatori e i compagni di oggi e di ieri che mi hanno permesso di raggiungere questo straordinario traguardo. Se devo essere sincero in questo momento non riesco neanche ancora a rendermene conto, con il passare del tempo questa sensazione sarà ancora più forte, ne sono certo. Oggi, infatti, sono preso dall’agonismo, dall’attualità, non è ancora il momento di ricordare goal fatti e trofei vinti, sarà qualcosa che guarderò con un occhio diverso fra qualche anno. Ora lo vivo come uno stupendo traguardo conquistato, ma al tempo stesso come una tappa importante di un lungo viaggio».
Il resto è storia recente: il secondo scudetto targato Capello, il favoloso mondiale tedesco, lo splendido goal ai padroni di casa e la grande emozione di sollevare la Coppa del Mondo, lo scandalo di Calciopoli e la scelta di rimanere alla Juventus anche in Serie B. Nel campionato cadetto, la Juventus e Ale sono assoluti protagonisti; la squadra bianconera conquista la promozione con tre giornate di anticipo e Del Piero vince la classifica dei cannonieri, con venti reti.
«Nel dramma (sportivo, naturalmente) di giocare in Serie B, è stato un anno bellissimo. Certo, per me e per la Juventus, rappresentavano un’assurdità, rispetto alla storia che abbiamo disegnato assieme. Però, io l’ho vissuta bene, affrontandolo in maniera pulita ed entusiasta. Alla base dei risultati che abbiamo ottenuto, c’è questa disponibilità da parte di tutti; e il bilancio sentimentale per me è positivo. L’anno di Serie B ce l’ho dentro, sotto forma di orgoglio; io e i miei compagni abbiamo compiuto un’impresa quasi gloriosa, anche appassionante nella sua dinamica, nell’aver recuperato lo svantaggio della penalizzazione».
La Juventus ritorna in serie A e conquista un ottimo terzo posto; Ale è nuovamente in testa alla classifica dei cannonieri, davanti al compagno di squadra Trézéguet. Solamente Paolo Rossi era riuscito nell’impresa di vincere la classifica cannonieri di Serie B e di Serie A consecutivamente: «Io capocannoniere, per la seconda volta consecutiva, per la prima volta in serie A. Se lo avessi immaginato all’inizio della stagione avrei scommesso che, arrivato in cima alla classifica, il primo pensiero sarebbe stato: “Io ve l’avevo detto...”, rivolto a chi non ci credeva, a chi non ci ha mai creduto. Ma quando ho raggiunto davvero questo traguardo, mi sono reso conto che la prima cosa che ho pensato, in realtà, è stata: “Voi me l’avevate detto...”, rivolto a chi, invece, ha creduto in me. A chi ci ha sempre creduto. A chi non ha mai smesso di incitarmi. A chi ha tifato per me, a chi ha lavorato con me. Tutti voi me l’avevate detto, sì, e me lo sono detto anch’io. E, alla fine, ho segnato ventuno goal in campionato, ventiquattro complessivi nella stagione».
La nuova stagione non comincia bene per i colori bianconeri; nonostante la qualificazione per la Champions League, la squadra stenta e Ranieri è messo sotto accusa. Sarà proprio Ale, con un patto d’acciaio con i propri compagni, a salvare l’allenatore romano e a far rinascere la Juventus. Con due grandissime prestazioni contro il Real Madrid, Del Piero e compagni portano la compagine juventina a qualificarsi per gli ottavi di finale della massima competizione europea. Decisiva è la vittoria al Santiago Bernabéu; era dal 1962 che la Juventus non usciva vittoriosa dallo stadio delle “Merengues”. Del Piero è assoluto protagonista di questa prestigiosissima vittoria, segnando entrambi le reti juventine; la prima con un siluro precisissimo di sinistro dal limite dell’area e la seconda con un perfetto calcio di punizione.
A cinque minuti dalla fine, Ale è sostituito da De Ceglie e riceve la standing ovation dall’ammirato pubblico madrileno, al quale dedica un inchino: «Giuro che non l’avevo studiato. È successo all’improvviso; vedo che Ranieri prepara un cambio e gli chiedo di uscire, perché cinque minuti prima avevo preso una botta al tendine. Mi tolgo dal braccio la fascia e sento il pubblico che comincia ad applaudirmi. Ho camminato per venti metri a una spanna da terra per quell’omaggio, mi è venuto spontaneo inchinarmi a ringraziare come fanno gli attori, perché il Bernabéu è un grande teatro, il più grande del calcio. Quando ci stai dentro percepisci che ci è passata la storia».
Il 10 maggio 2009, a San Siro contro il Milan nella partita terminata 1-1, entra a venti minuti dalla fine, giocando così la sua seicentesima presenza con la maglia della Juventus, record assoluto. Una settimana dopo, il 17 maggio, con 397 presenze in Serie A in maglia bianconera, eguaglia il mito di Gaetano Scirea. Il 24 maggio, nella partita vinta 3-0 contro il Siena, realizza una doppietta e l’assist per Marchisio, arrivando così a quota ventuno reti stagionali di cui: otto su punizione, nove su azione, quattro su rigore. Il 31 maggio gli è consegnato allo stadio Olimpico di Torino il Pallone d’argento, come riconoscimento al calciatore più corretto del 2008-09.
A causa di un infortunio muscolare alla coscia sinistra, provocato da una botta alla schiena rimediata in allenamento a metà agosto, è costretto a saltare le prime sei partite della nuova stagione. Debutta in campionato il 27 settembre 2009 in casa con il Bologna, entrando in campo nei minuti finali e tagliando il traguardo di 400 presenze in serie A. Si infortuna di nuovo il primo ottobre provocandosi, in allenamento, una distrazione muscolare di primo-secondo grado alla coscia sinistra, la stessa del precedente infortunio.
Durante l’attesa per il ritorno in campo presenta il suo nuovo sito ufficiale e, il 12 novembre 2009, riceve il Premio Internazionale Sport e Civiltà - Ambasciatore dello Sport. Torna in campo il 22 novembre con l’Udinese nella vittoria per 1-0 accolto da continue ovazioni dei propri tifosi. Dopo diverse panchine, torna al goal agli ottavi di Coppa Italia col Napoli il 13 gennaio 2010, segnando una doppietta decisiva per il passaggio del turno. Segna il primo gol stagionale in campionato nella sconfitta con la Roma all’Olimpico di Torino con un gran sinistro al volo sul palo opposto da posizione defilata. La domenica successiva la Juventus pareggia con la Lazio e Del Piero trasforma il rigore dell’1-0 procurato da lui stesso, è il primo goal con in panchina Zaccheroni.
Il 14 febbraio 2010 trascina la Juventus nella vittoria per 3-2 sul Genoa, siglando una doppietta che vale la prima vittoria per Zaccheroni; nella stessa partita totalizza la presenza numero 445, superando Giampiero Boniperti: «Una giornata da ricordare, cominciata con l’applauso che il pubblico dell’Olimpico mi ha tributato quando il vicedirettore generale Roberto Bettega mi ha consegnato la maglia con il numero 445 e la targa celebrativa. Mi ha fatto molto piacere ricevere quell’applauso prima dell’inizio della partita, in un momento in cui i tifosi avevano poco da festeggiare visto il momento difficile, con la vittoria che mancava dal 6 gennaio. Sono andati oltre la delusione. Sono felice di essere riuscito a ripagarli a fine partita. Con questa partita ho superato nella classifica delle presenze in campionato Giampiero Boniperti, ecco perché è un traguardo così importante. Ancora una volta la mia carriera si intreccia con quella del Presidente che mi ha portato alla Juventus, l’uomo che ha fatto la storia di questo club in campo e poi in società. L’ho sentito poco tempo fa, abbiamo scherzato sulle partite: lui ha giocato le sue 444 tutte in serie A, io invece tra le mie 445 ne ho anche trentuno in Serie B. Ma a parte gli scherzi, per quello che hanno significato nella mia carriera e per la Juve, quelle presenze in B sono motivo di vanto! Sono molto soddisfatto di avere celebrato un’occasione come questa con una vittoria che abbiamo inseguito fino all’ultimo, fortemente voluta, cercata con determinazione e orgoglio, capacità di soffrire e rimontare come mai avevamo fatto in questa stagione. Ci voleva proprio. È stato bello segnare una doppietta davanti alla mia famiglia, che ha esultato con me in tribuna. Che giornata!»
Il 14 marzo 2010 segna il goal numero 300 nella sua carriera e successivamente il 301° anche se la Juventus pareggia 3-3 contro il Siena dopo essere passata in vantaggio di tre goal in dieci minuti. Diventa, così, il quinto italiano di sempre a raggiungere questo traguardo dopo Meazza, Piola, Roberto Baggio e Inzaghi, tutti giocatori che in passato hanno giocato nella Juventus. Il pessimo campionato della Juventus e tutti i guai fisici che ha dovuto sopportare non gli permettono di partecipare al suo quarto Mondiale, traguardo al quale teneva in modo particolare.
Comincia la stagione numero diciassette in maglia bianconera. Il 17 ottobre 2010 Del Piero infrange l’ennesimo record della sua leggendaria carriera: contro il Lecce, il capitano bianconero realizza un bellissimo goal di sinistro e raggiunge Giampiero Boniperti a quota 178 goal in Serie A con la maglia della Juventus.
Al termine della gara, Ale commenta questo straordinario traguardo: «È un’ulteriore soddisfazione personale, chiaramente, per il legame con questi colori e con questa squadra. È un vanto, un orgoglio. Le dediche speciali io reputo sempre che siano per le persone che comunque lavorano con me, per la mia famiglia e tutte le persone che mi stanno molto vicine. E poi che sia di buon auspicio per la nostra stagione, perché ne abbiamo bisogno».
Il 20 marzo 2011, segna un goal favoloso contro il Brescia: Ale parte palla al piede da centrocampo, salta un difensore e conclude con un tiro a giro nell’angolino basso. È la rete della vittoria bianconera. Il 5 maggio rinnova di un anno il suo contratto con la società bianconera: percepirà un milione di Euro più bonus. Termina la stagione 2010-11 con undici reti e sei assist che lo rendono il miglior marcatore stagionale della Juventus per la nona volta in carriera.
La stagione successiva è l’ultima di Del Piero in bianconero. Ci sono importanti novità alla Juventus: il suo vecchio compagno di squadra Antonio Conte è il nuovo tecnico della squadra e c’è il debutto del nuovo meraviglioso Juventus Stadium. Nella serata dell’inaugurazione dello stadio, Ale si presenta con Giampiero Boniperti accanto alla mitica panchina sulla quale, nel lontano 1897, fu fondata la Juventus.
Il 24 gennaio 2012 realizza la sua prima marcatura stagionale nel nuovo stadio nel 3-0 ai quarti di finale di Coppa Italia contro la Roma, con un classico goal alla Del Piero. Va a segno anche nella semifinale di ritorno a Torino contro il Milan firmando il goal dell’1-0. Il 25 marzo allo Juventus Stadium sigla il suo primo goal stagionale in campionato nel 2-0 sull’Inter, dopo uno splendido scambio con Vidal. L’11 aprile, dopo essere subentrato a Vučinić nei minuti finali della sfida contro la Lazio, festeggia la 700ª partita con la Juventus segnando su punizione il goal della vittoria. Il 6 maggio 2012 conquista lo scudetto numero otto con una giornata d’anticipo, nella partita giocata a Trieste contro il Cagliari vinta 2-0, favorita anche dalla vittoria dell’Inter contro il Milan per 4-2.
Il 13 maggio 2012 disputa la sua ultima partita in campionato con la maglia della Juventus, contro l’Atalanta, segnando il 289° goal della sua carriera bianconera. Il capitano della Juventus esce dal campo al 57’, acclamato dai tifosi in lacrime per più di dieci minuti, cosa mai successa in nessun campo di calcio. Il 20 maggio 2012, nella sfortunata finale di Coppa Italia contro il Napoli, la Juventus scende in campo con un distintivo speciale sulla maglia per celebrare l’ultima partita in bianconero del suo numero dieci.
Il significato di essere maturato in una società come la Juventus, che in tutto il mondo è presa ad esempio: «È stato più che importante, è stato fondamentale. La mia storia personale, il mio percorso di calciatore sono maturati nell’ambiente bianconero, profondamente influenzato dallo stile e dal carisma di personaggi come l’avvocato Gianni Agnelli, Chiusano, ora Grande Stevens, e poi Bettega, Giraudo e Moggi. In particolare, voglio dedicare un pensiero alla figura del dottor Umberto, sempre molto vicino a me personalmente e alla squadra. La sua era una presenza discreta eppure molto attenta, incisiva, un vero punto di riferimento per tutti. Ripenso spesso al gruppo fantastico della prima Juventus di Lippi. Quel gruppo era straordinario, ha permesso a noi giovani di crescere e tutti assieme abbiamo conquistato le vittorie più straordinarie. In pochi anni abbiamo fatto cose strepitose, compresa la vittoria della Champions League, finalmente, visto che prima di noi era stata vinta una volta sola, ma era stata macchiata dalla tragedia dell’Heysel. Era come una maledizione e noi l’abbiamo sfatata. Quelli sono stati gli anni della mia vera crescita e di questo ringrazio Marcello Lippi e i compagni di allora».
Il cambiamento rispetto al giovanissimo Del Piero: «Cambiato poco, maturato tanto. Ritengo, infatti, che tutto quello che ero prima dei diciotto anni sia stato una base fondamentale per creare la persona che sono adesso».
C’è un goal che ha un significato particolare: «Quello che ho segnato a Bari il 18 febbraio 2001, pochi giorni dopo la scomparsa di mio padre; è stato il momento peggiore della mia vita, come un risveglio che non capivo, sentirsi ancora profondamente figlio e non capire il motivo per cui doverci rinunciare. Ma tutti i goal sono emozionanti, anche se sono le punizioni che mi danno maggiore soddisfazione. Poi, ricordo con piacere anche i tre goal di tacco; uno, purtroppo, inutile nella finale contro il Borussia Dortmund, uno in casa con il Siena e uno con il Torino. Ma, ce n’è uno che ricordo con piacere, perché fu proprio un bel goal, anche se fu annullato, perché ci diedero la partita vinta a tavolino. Era la stagione 1994-95, giocavamo a Sofia, in Coppa Uefa contro il CSKA. Perdemmo 3-2, ma i bulgari mandarono in campo un giocatore squalificato, quindi il risultato fu invalidato. Lo ricordo benissimo; su un lancio in profondità, mi porto avanti il pallone di tacco destro, evitando l’avversario e faccio un pallonetto che scavalca il portiere in uscita».
Ma non sono soltanto i goal che fanno di un calciatore un mito. Ci sono tante altre cose, compreso l’aspetto umano. Lasciare il segno, dunque, come ha fatto e come sta facendo, sempre con quel qualcosa in più degli altri, che è privilegio di pochi.
«Non è solo la quantità di reti o di presenze che lascia il segno, queste sono cose importanti e significative, ma non sono le uniche. Si lascia il segno in tanti modi, anche per quello che dai a livello umano. Faccio un esempio; Gianluca Vialli è stato pochi anni in bianconero, ma ha fatto cose eccezionali, ha vissuto un momento esaltante ed è ricordato con grandissimo affetto. I tifosi hanno sempre visto in me il giocatore che non molla; la faccia l’ho sempre messa e questo alla gente piace. Per me, è stata una scelta naturale, molto juventina; io gioco per vincere, per divertirmi e per fare divertire. Senza il sostegno di chi ti vuole bene, tutto ciò non sarebbe possibile. È pesante essere una star in certe occasioni: quando arriva uno all’aeroporto e ti fa il ganascino. O quando sei al ristorante e ti tirano una foto sul piatto per l’autografo dicendo “dai, firma che non è neanche per me”. Poi, viene il giorno in cui capisci che c’è sempre qualcuno più Del Piero di te: a me è successo quando ho conosciuto Bono. Ero paralizzato dall’emozione, non riuscii neanche a parlargli. Poi siamo diventati amici. Dopo Chelsea-Juve è sceso negli spogliatoi assieme agli U2: Tiago e Molinaro erano impietriti. Se non intervengo io, non gli stringono neppure la mano».
Rimanere attaccato alle proprie origini: «Credo sia rimasto molto del mio essere veneto, nonostante siano tanti anni che vivo a Torino. Noi di Conegliano siamo timidi, concreti, rispettosi, molto lavoratori, abbastanza silenziosi, comunque non ciarlieri; tendiamo a lavorare a testa bassa, guardiamo la terra, sappiamo che il bello della vita salirà da lì, è come se lo aspettassimo giorno per giorno, per proteggerlo. Queste caratteristiche mi sono rimaste tutte, credo di essere sempre profondamente veneto. Anzi, di Conegliano».
Come recita il titolo di un suo libro: “Semplicemente Alessandro Del Piero”.
DA “ LA REPUBBLICA” DEL DICEMBRE 2010
A Vinovo, quando finiscono le colonne e il ruminare ferroso dei tir e comincia una strada dal nome senza battesimo, Débouché, una strada che sembra andare da nessuna parte, c’è un prato dove si allena Alessandro Del Piero. Per guardarlo si sale sul tetto piatto di un edificio prefabbricato, uno spiazzo da cecchini, sopra un posto chiamato “Mondo Juve”, una specie di Luna Park senza le giostre. È un lunedì pomeriggio e si gela. Sul terreno corrono i ragazzi della Primavera, della prima squadra ci sono soltanto i tre portieri, un paio di riserve e lui, il capitano. Più tardi dirà, offrendomi un bicchiere di the. «Volevo fare un po’ di palla. Vedi, ho sempre dato molta importanza al mio piede sinistro. Ci lavoro da quando avevo nove anni, incoraggiato dal mio primo maestro, Umberto Prestia. Il mio piede destro è più sensibile e preciso, è quello delle punizioni. Il sinistro è più potente».
In campo l’esercizio è questo: i giocator i stanno in fila indiana a una trentina di metri dalla porta con un pallone tra le mani, lo lanciano a un preparatore che glielo restituisce facendolo rimbalzare sul prato. Loro devono calciarlo al volo. Del Piero compie sedici ripetizioni e fa nove goal, tra questi un pallonetto di destro con tocco sotto il cuoio e un sinistro violento che riprende il precedente destro respinto dall’incrocio dei pali. Nessuno in Italia calcia come lui. Qualcuno ha detto: è un robot. Quando abitava nel centro di Torino, ogni mattina entrava in un piccolo bar di via Carlo Alberto. Jeans, giubbotto di pelle, cappellino calato sugli occhi. Ordinava una spremuta. La beveva al banco, le spalle all’ingresso. Gentile e lontano. Un singolarista. «Un timido diventato diffidente. Non credo che un rapporto professionale, un incontro, un’amicizia debbano per forza trasformarsi in una seduta di psicanalisi. Avevo tredici anni quando sono andato da San Vendemiano a Padova. Ero solo, ero un bambino di campagna costretto a lasciare la famiglia per inseguire un pallone. Padova mi sembrava una città enorme. Mi mozzò il respiro».
Lo sistemarono in un appartamento assieme ad altri quattordici ragazzi. Ogni due o tre settimane c’era chi se ne andava, chi arrivava. Adolescenti pieni di storie differenti che non osavano raccontarsi, o forse non c’era il tempo per farlo. «È stata un’esperienza dura e formativa, con gli anni il calcio mi ha dato sicurezza. E mi ha condotto dentro la solitudine. Sembro un paraculo, sono un introverso. Trascorro spesso quattro giorni la settimana con i compagni. Ventiquattro ore su ventiquattro. Alla fine voglio vedere altre persone. Vado a cercare chi mi è mancato».
Bigatto, Rosetta, Monti, Varglien, Rava, Parola, Boniperti, Sivori, Castano, Salvadore, Furino, Scirea, Brio, Tacconi, Baggio, Vialli, Conte. Sono stati i capitani della Juventus. Alessandro Del Piero è il diciottesimo. Lo è diventato nel 2001. Nello stesso anno ha perso il padre, Gino. «La sua scomparsa mi ha reso più forte, so che dovrò fare i conti con il destino e che potrà dipendere da come tiro i dadi. Gli ostacoli si sono abbassati. Parlo ogni giorno con mio padre. Ho cercato di conservare in me la sua parte migliore. Se n’è andato in un momento difficile della mia carriera. Avevo i soldi per fare tutto, non ho potuto fare nulla. Papà era silenzioso, concreto, leale. Al paese sono andato a parlare con chi lo aveva conosciuto per conoscerlo a mia volta meglio attraverso i loro racconti. Mi porto dentro rimpianti. Le parole che non sono riuscito a dirgli, il tempo che non gli ho riservato, i sorrisi e il pudore che non ho saputo interpretare».
Che cosa comporta essere il capitano? «Essere educato, essere un esempio, essere un riferimento. Lo so, può sembrare una frase scontata. Il capitano regola la vita di una squadra. Ci sono rospi da ingoiare, bisogna imparare ad accettare una sostituzione, a mostrarsi ogni tanto altruista. Non è una questione di giovani e vecchi, né di intelligenza. Oggi non esistono giocatori stupidi. Mi è successo di bussare alla porta di un compagno per cercare di tranquillizzarlo, ci sono stati ragazzi che sono venuti a cercarmi per confidarmi un problema, una sconfitta privata, un dolore. Con altri ho litigato sul campo e fuori, senza mai fare depositare il rancore. Nel 2005 avevamo una squadra con nove capitani. Ho giocato con campioni dal carisma superiore al mio. Penso a Cannavaro, Buffon, Thuram, Vieira, Emerson, Nedved, Peruzzi, Deschamps, Zidane, Van der Sar, Di Livio, Montero. Padroni degli spogliatoi, fratelli in partita. Ho affrontato decine di volte un altro capitano storico, Francesco Totti. Siamo agli opposti. Io quasi un torinese compassato, lui un romano sanguigno. Francesco non verrebbe mai tra questi inverni, io non mi sono mai neppure domandato se riuscirei ad amare Roma. Ci sentiamo al telefono, qualche sms dopo l’ultima Juve-Roma. Mi viene da ridere. Mi ha fatto i complimenti. Ero entrato al decimo del secondo tempo e non avevo combinato granché. So di incarnare un simbolo. La battaglia contro la violenza e il razzismo sarà lunga perché non basta sbattere fuori dagli stadi teppisti, delinquenti e idioti. Vanno educati i ragazzi, le famiglie, la scuola, la società, la politica. Ero un bambino di undici anni quando avvenne la strage dell’Heysel. Quella notte rappresentò per l’Inghilterra una linea di demarcazione tra il prima e il dopo del Paese, non solo del calcio. Serve un confine morale anche all’Italia. Quando non vedrò più padri che insegnano al figlio di sette o otto anni tenuto per mano come s’insulta l’arbitro, un giocatore della squadra avversaria o il tifoso del seggiolino accanto, allora comincerò a sperare che le cose possano cambiare. Sono immagini tristi, mi fanno vergognare. A quindici anni, quando stavo in mezzo ai grandi con indole da spaccone, facevo il bulletto pure io, ma da solo, sotto lo sguardo severo di mia madre Bruna, mi pisciavo addosso».
Sonia è la moglie. Tobias ha tre anni, Dorotea uno e mezzo. Tra pochi mesi nascerà il terzo figlio. Non hanno voluto sapere se maschio o femmina. Del Piero aveva una Ferrari nera, l’ha venduta. La vita plasma anche gli spazi, i posti a sedere. «Sono un padre mammone, cambio i pannolini, passo notti insonni, serate in cucina. Ho imparato da ragazzo, soprattutto pasta e riso. Il mio futuro è qui. Torino. Ci sono sbarcato a diciotto anni, tremavo davanti alle sue strade larghe e squadrate, alla sua cupezza, alla sua fatica operaia. Ma avrei accettato di dormire anche in una baracca. Oggi è una città trasformata, possiede una dimensione umana e un profumo internazionale. In queste ultime settimane ha ospitato uno dopo gli altri gli U2, Lady Gaga, Shakira. Montagne bellissime, il mare vicino. Oggi mi voglio godere ciò che mi sono guadagnato».
Un’altra vita, da Harry Potter a Sun Tzu, passando attraverso Faletti. I libri lo hanno aiutato a parlare pulito, a cercare sinonimi. «Sono diventato un curioso della psicologia. Ho da poco terminato di leggere “L’Arte della guerra e Lo Zen” e “Il tiro con l’arco” di Eugen Herrigel. Mi piace l’idea di focalizzare filosoficamente un gesto. La linea che unisce tiratore, freccia e bersaglio. Vedi, quando segni un goal, mentre aspetti che il pallone ti cada sul piede o ti arrivi rasoterra e poi lo calci, fai tutto in un momento di trance, dentro un vuoto della mente. Vorrei riuscire a fermare il pensiero che regge questo mistero, o almeno quella scheggia di pensiero che ti fa organizzare il gesto, le tre perle della collana: tiratore-freccia-bersaglio. Ho segnato goal bellissimi, ne ho sbagliati di clamorosi. Sono stato un fenomeno e una pippa. Papà teneva i taccuini delle partite. Formazione, risultato, marcatori. Io mai. Da qualche parte qualcuno ha scritto che un artigiano non smette di costruire un tavolo solo perché la moglie lo ha lasciato. Il giorno dopo i disastri m i sono sveglia to, mi sono vestito ed ho ricominciato. È stato così dopo la finale europea persa nel 2000. Sbagliai due goal facili, la Francia vinse in quei maledetti dieci secondi. Chiesi scusa a Zoff. Il giorno dopo ricominciai. Nel 2006 sono diventato Campione del Mondo, non ricordo nemmeno più se ho giocato e quanto ho giocato prima della semifinale. So che in quella partita straordinaria contro la Germania ho siglato il 2-0 con un goal bellissimo e in finale ho calciato uno dei rigori decisivi. Vincere è la sola cosa che conta, se non ci fossi riuscito sarei stato un grido spezzato».
Gli dico: Agnelli. Che ti fa venire in mente? «Torino, la Fiat, la Juventus. L’Avvocato, il Dottore, Andrea. Incontrai l’Avvocato per la prima volta a diciannove anni, non si accorse neppure di me. Al di là delle sue battute famose, ricordo due episodi. Il 16 marzo 1994, dopo che il Cagliari ci eliminò dalla Coppa Uefa, si presentò nel ritiro di Villar Perosa con un ritaglio di giornale in mano e mi disse: “Senta Del Piero, qui scrivono che siete dei brocchi, dimostri che non è vero”. La domenica affrontammo in campionato il Parma che aveva superato l’Ajax e vincemmo 4-0. Segnai tre goal. Un’altra volta al Delle Alpi, prima di un Juventus-Milan, mi chiamò al telefono mentre facevo il riscaldamento. Mi vennero a prendere, mi portarono nel sottopassaggio. Poche parole, pochi secondi: “Come sta? Giochi bene, mi raccomando”. Perdemmo 1-0».
Quasi trentasette anni, una vita di rincorse, di rigori, di palloni messi sotto l’incrocio dei pali, eppure c’è ancora chi aspetta la sua punizione perfetta. Lui sta dentro la sua pelle di incompleto come un babà, protetto da una lista di record che riempie una pagina di Wikipedia. L’ultimo lo ha battuto senza muovere un muscolo, accomodato sulla panchina dello stadio di Marassi all’ora di pranzo.
È diventato il giocatore con la più lunga militanza in maglia bianconera: diciassette anni, due mesi e nove giorni. «Non mi sento vecchio. Dentro sono molto, molto giovane. Certo, cambiano interessi e obiettivi. Non ho paure, le scaccio. Non so se sono coraggioso, prima bisognerebbe capire che cos’è il coraggio. A otto anni una macchina mi centrò in pieno mentre uscivo in bici dal cancello di casa. Era il secondo giorno di scuola. La mamma mi caricò sull’auto della vicina, una vecchia Dyane, mi stringeva tra le braccia e piangeva, io staccavo pelle e carne insanguinata dalla fronte e le mormoravo: “guarda, non mi sono fatto niente”. Kronos un giorno decreterà la mia fine. Ma il prossimo anno giocherò ancora. Nella Juventus, se la società mi rinnoverà il contratto, altrimenti da qualche altra parte, ma sempre in Italia. Dopo dovrò riorganizzarmi la vita. Non farò l’allenatore».
Chissà se un miliardario, che ha avuto in sorte di diventare tale restando un Peter Pan col pallone incollato al piede, coltiva ancora dei sogni. «Sì, forse sì. Quello che faccio non è un lavoro. Il lavoro era quello di mio padre, elettricista. Guadagno molto. Voglio che i miei cari stiano bene. Investo, compro case. Arrivo da una famiglia nella quale si guardava anche alle cento Lire. Da ragazzino sognavo di avere due soldi in più per potermi permettere un paio di scarpe nuove, una giacca a vento, la bicicletta con il cambio. Oggi di sogni ne ho tre: che i miei bimbi crescano in salute, vincere ancora qualcosa nella Juve, tornare ad arrampicarmi nella campagna di San Vendemiano su un ciliegio alto sei metri. In punta le ciliegie prendevano un sole stupendo, erano dolcissime. Ci salivo di nascosto. Lassù ho avuto un po’ di paura, ma sono stato felice. Dopo, è stata solo fortuna».
L’ho visto volare leggero come un angelo, quando aveva la faccia da putto. L’ho visto inventare un tiro che è diventato solo il suo e lanciarsi tra i grandi ancora ragazzo. L’ho visto segnare con la sua squadra soprattutto nelle partite che contavano, negli scontri diretti, nelle finali in giro per il mondo.
L’ho visto arrabbiarsi e digrignare i denti se c’era un principio da difendere e chinare la testa se il suo bene non era quello dei compagni. L’ho visto lottare contro gli egoismi, anche contro i suoi, perché crescendo ha capito cosa voglia dire il gruppo. L’ho visto parlare di valori e comportarsi di conseguenza.
L’ho visto inciampare e poi cadere. L’ho seguito mentre si rialzava a fatica. L’ho visto lottare contro allenatori e mal di pancia nervosi. L’ho visto amare la maglia azzurra e non riuscire a farlo capire. Poi l’ho visto portarci a Berlino.
L’ho visto capire che le cose cambiano, modificare il gioco, segnare undici goal di seguito su rigore, se il rigore poteva essere il massimo da dare alla squadra in quel momento. L’ho visto adattarsi dove non voleva, sacrificarsi facendolo ricordare. L’ho visto umile e l’ho visto presuntuoso. L’ho visto soffrire quando ha sbagliato. L’ho visto uscire in smoking bianco, immacolato, da una discarica.
Non l’ho visto mollare, mai. Non ho mai letto di lui sui giornali degli scandali. Ieri sera l’ho guardato mentre si sedeva in panchina, con il broncio di chi vuole giocare. L’ho visto applaudire i compagni per i goal che segnavano, esultare per la squadra. L’ho visto entrare in campo senza riscaldamento, lui che non è più un ragazzino. L’ho visto strillare al ragazzo che parlava troppo, perché ci vuole rispetto. L’ho visto segnare una punizione da artista e un rigore da ragioniere. Sono contento di aver visto Alex Del Piero fare tutte queste cose. Alex Del Piero è un bell’esempio per i miei figli.
25 MAGGIO 2012: L’ULTIMA CONFERENZA STAMPA, DA TUTTOJUVE.COM
Questa settimana in cui ho svuotato gli armadietti che sensazioni mi lascia? Sono felice di vivere tra le nuvole in questo periodo. È un modo colorito per descrivere un po’ la mia sensazione, dove non c’è ancora la totale presa di coscienza di tutto quello che sta accadendo, nel senso che non mi metto a riflettere al 100% su quello che è stato. Ho vissuto però al 100% tutto quello che è successo, che abbiamo costruito assieme. Quindi vincere uno scudetto è stato la massima espressione per me, perché sapete quanto io ami vincere. Quindi la prima cosa. Di lì a poco, poi, è arrivato un saluto a Torino che mi ha messo i brividi. Io non smetterò mai di ringraziare chi ha voluto dedicarmi... il rapporto che si è creato con i miei tifosi.
Quello che si è creato quest’anno, in questi anni, non sarà certamente scalfito minimamente dal nostro futuro, dalle nostre strade che si dividono. Quindi vorrei ricordare tutto ciò con grande gioia, anche perché è stato un anno faticoso, difficile, ma tremendamente bello.
Io i miei tifosi continuo a messaggiarli ogni giorno. Devo ripetere quello che ho detto prima: quello che si è creato non verrà scalfito da niente, per quanto mi riguarda. Quello che mi hanno regalato a livello di affetto, di amore, di riconoscenza e di tutto il resto, è se (se non la più bella) una delle mie coppe più belle. Quindi mi è piaciuto ricordare con una battuta che con l’Atalanta ho festeggiato sia la vittoria dello scudetto, che un altro scudetto per me, perché quello che è successo in campo è stato davvero incredibilmente bello.
Se c’è stato un momento quest’anno in cui ho pensato di poter chiudere la carriera alla Juve? No, per un semplice motivo: che quando ero bambino non sognavo di terminare la carriera con la Juventus, sognavo di vincere con la Juventus, con la Nazionale o con qualunque squadra fossi schierato. Quindi sono felice che i miei sogni di bambino siano stati convogliati verso questo e non verso i finali, gli addii o altro. Quindi non ho mai pensato intensamente a quella che può essere la fine di un rapporto. Non mi sono mai preoccupato di questo. Mi sono preoccupato fortunatamente di altro, anche quest’anno, di aiutare la mia squadra a vincere e basta.
Che tipo di peso avrà il giocatore che prenderà la mia maglia numero dieci? Mi auguro il meno possibile. Mi auguro che chi la porterà possa intraprendere una carriera qui gloriosa, come la mia, se non di più. Io ho fatto ed ho avuto talmente tanto da questa maglia, che auguro a tutti di poter fare e intraprendere un’esperienza tale. Ed è uno dei motivi per cui quando mi chiesero fin dalla prima volta se pensavo che la mia maglia fosse ritirata, visto che avevo battuto tutti i record, ho detto assolutamente no. Non vedo proprio il perché. Perché credo che qualsiasi giocatore rimanga negli occhi e nel cuore della gente, al di là del fatto che la sua maglia sia ritirata o meno. Non vedo il ritirare la maglia come un gesto di questo genere. E soprattutto penso che non bisogna togliere il sogno di nessun bambino o ragazzo di poter indossare quella maglia. Quindi con questi pensieri auguro a chi lo farà, di fare bene, di fare per la Juventus meglio di me. Ma farlo con le proprie caratteristiche, con le proprie qualità, senza pensare a chi l’ha indossata prima.
Come sarà il mio rapporto con la Juve da tifoso? Non ho idea. Di sicuro sarà, dopo il risultato del San Vendemiano, sarà il primo risultato che chiederò. No... (ride)... sarà ovviamente il primo risultato che chiederò; seguirò da vicino l’evolversi dei ragazzi con cui ho stretto profonde amicizie, con cui ho condiviso lacrime di ogni genere, con cui ho condiviso delle esperienze uniche nella mia storia calcistica.
Con alcuni di essi ho vinto il Mondiale ed ho giocato la Serie B, quindi è stato qualcosa di incredibile e non so quante volte sia capitato nella storia del calcio. Vincere il Mondiale e l’anno dopo giocare in Serie B, e soprattutto avere accanto dei personaggi. Ed è anche uno dei motivi per i quali questo scudetto, chi c’era all’epoca, l’ha sentito ancora più profondo. Ovviamente con loro, con tutti quei ragazzi che ho conosciuto quest’anno, con i quali ho avuto un rapporto veramente splendido, avrò modo ancora di sentirli, di guardare le loro partite con estremo affetto, facendo il tifo per loro. Non vedo minimamente altra soluzione, se non questo.
Se la mia famiglia mi seguirà? La mia famiglia, con i tempi e con i modi che vedremo, mi seguirà sicuramente e verrà con me, senza ombra di dubbio. Proposte dall’Italia? Dall’Italia, ringrazio chi si è fatto sentire, già più di una volta. A tutti ho detto la stessa cosa: li ho ringraziati, ma ovviamente per tutta una serie di cose che non ha senso sottolineare, il mio futuro in Italia non può essere con un’altra squadra. Mi sembra una cosa giusta, che rientra in quelli che sono i miei principi, quindi sarà sicuramente un’esperienza all’estero.
Porta chiusa o socchiusa per un futuro da dirigente? I discorsi sul dirigente sono usciti solo sui giornali, io non ne ho mai parlato. Io ho sempre parlato di un Del Piero calciatore. Con chiunque mi ha chiamato, ho parlato come calciatore non come dirigente. Quindi non siamo neanche arrivati a quella porta. Se c’è speranza di rivedermi in società con un altro ruolo? Ci sono troppi “se”, troppe cose da... ripeto... non ho mai, né da una parte, né dall’altra, pensato a questo, ci poniamo una domanda su un qualcosa veramente di futuristico, ma troppo futuristico, quindi... per me di futuristico oggi c’è solo il rap... non certamente questo argomento.
Se dopo la gara con l’Atalanta ho pensato che avrei potuto smettere all’apice assoluto? Prima non potevo pensarlo, perché non era previsto. Io ho saluto, sono andato a sedermi e poi sono dovuto uscire di nuovo... e sono felice di quello che è successo. Quando lo facevo, il mio primo pensiero, non so perché, era quello di cercare di non piangere. Non so perché, ci sono stati due-tre momenti veramente toccanti ed emozionanti, quindi la commozione, il momento di per sé, ho cercato di viverlo in maniera veramente totale, perché sentivo che quello che stava accadendo era qualcosa di anormale, di unico, io l’ho vissuto così ed anche da quelli che sono stati i vostri commenti, la vostra storia calcistica, è stato ed è così.
Io sono felice di aver sempre, in ogni momento, dato alla mia squadra, che negli ultimi diciannove anni è stata la Juventus, tutto quello che potevo dare. Forse anche di più. Detto ciò, io mi porto via questa felicità e non voglio portarmi via nient’altro. I pensieri che riguardano il passato o altre cose non li faccio entrare, non m’interessano.
2 commenti:
Che dire... un articolo stupendo, un giocatore unico.
Quando lo stile diventa persona: è Del Piero. Quando signoriltà, intelletto e bellezza le ritrovi nel talento: il risultato è Del Piero. Quando la parola è pronta e conveniente e furba e ironica e intelligente e distinta e attraente e garbata e nobile per voce di natura: il risultato è Del Piero. Quando il pallone o da fermo o sopito con dolcezza è lanciato parabolico nell’angolo alto opposto a quello di tiro: è Del Piero. E quando ciò accade a ripetizione in Coppa dei Campioni: il risultato è Del Piero. Quando un calcio piazzato diventa più facile di un rigore: lo è solo per Del Piero. Quando ne ricordi il più grande esecutore pur lontano dal portiere e di potenza straordinaria: egli è Del Piero. Se la Juve è campione del mondo: lo è per Del Piero. Quando una squisitezza di piatto imbambola il portiere e ti apre le porte all’ultima gara di un Mondiale e poi lo vinci anche per suo rigore perfetto: il risultato è ancora Del Piero. Quando tu vedi un repertorio completo di ogni prodezza balistica e gol da cineteca: hai visto Del Piero cioè chi ti colpisce accarezzando il pallone. E quando aspetti il ritorno di Godot per un gravissimo infortunio al ginocchio: aspetti Del Piero. Ogni squadra di calcio ricorda un mito e una leggenda o una bandiera con un simbolo e pare molto improbabile che uno del genere deponga lo scettro della storia e del comando. Eppure il galantuomo Boniperti lo depone orgoglioso e volentieri nelle mani di quel ragazzino minuto dal volto signorile che ebbe i natali a Conegliano veneto il 9 di novembre del 1974. Raccontano che papà Gino con pazienza amorevole dopo lunghi giorni di lavoro puntava i fari della macchina per illuminare Sandrino che gioiva con i trastulli di un pallone. Raccontano di un fanciullo che palleggia in casa guardando in alto un gran poster di Platini e dicendo: “pure io indosserò la maglia numero 10 e fuori dai pantaloncini”. Era modestia innocente o un sogno di bambino: nemmeno l’ombra della vanagloria. Mamma Bruna Furlan ama ripetere che Sandrino preferisce sempre tacere quando altri proferiscono discorsi logorroici. Del Piero è troppo intelligente per cadere nella facile e stupida esibizione: quella effimera e provvisoria. Il ragazzino è ponderato e raccolto: mai procurato un problema. L’unica paura fu quando ritorna da scuola e attraversa la strada senza guardare una macchina che lo spinge. Sandrino cade e per l’urto violento finisce in ospedale: esami radiografici e per grazia divina risultati negativi. Pinturicchio torna a dipingere capolavori e nessuno lo ferma più.
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