domenica 17 maggio 2020

Giulio DRAGO



6 aprile 1994, la Nazionale di Arrigo Sacchi sta preparandosi per affrontare il Mondiale americano. A Coverciano quel giorno, affronta in amichevole il Pontedera allenata da tal Francesco D’Arrigo, convinto sacchiano. Il risultato è clamoroso: gli azzurri vengono sconfitti per 2-1, con i toscani addirittura in vantaggio per 2-0 grazie alle reti di Matteo Rossi e Aglietti. Massaro mitiga (si fa per dire) la figuraccia della Nazionale.
«Sacchi mi chiese di giocare come la Norvegia, avversario che avrebbero trovato al mondiale: pressing asfissiante e raddoppi continui. Non era un problema: giocavamo sempre così – la voce di Francesco D’Arrigo brilla d’orgoglio – un evento forse irripetibile: una squadra di C2 che vince contro la Nazionale. Meritatamente, aggiungerei». 
A difendere la porta della compagine toscana c’era Giulio Drago, classe 1962, con un passato juventino. Infatti, pur non avendo mai la soddisfazione di scendere in campo, crescerà alla scuola di Zoff dal 1980 al 1983 prima di essere ceduto alla Cremonese.
Dopo i grigiorossi, un veloce passaggio nell’Atalanta di Mondonico. Quindi Empoli (con i toscani esordirà in serie A), Bari, Triestina. E infine Pontedera, dove terminerà la sua carriera nel 1999.


MASSIMO BURZIO, “HURRÀ JUVENTUS” MARZO 1982
Senz’altro tutti coloro che amano il calcio avranno ben chiaro nella mente il ricordo delle partite giocate, nell’infanzia o nell’adolescenza, magari in un prato vicino a casa, con le porte fatte con i cappotti ammonticchiati l’uno sull’altro. E senza dubbio ognuno di noi rammenterà il volto di colui che, pur recalcitrante, veniva obbligato a stare in porta, perché meno dotato, tra tutti, a livello tecnico. In quel caso, dunque, portieri si diveniva forzatamente. Ma non per tutti valeva e vale questa regola: difatti, per loro e nostra fortuna, esistono uomini che nascono portieri. Personaggi che vivono e scelgono, con amore e passione, il ruolo più difficile, più scomodo, tra tutti gli undici d’una squadra. Quindi vi sono alcuni che per predestinazione, qualità e caratteristiche, hanno la maglia numero uno già incisa nell’epidermide e nel cuore.
Giulio Drago, aitante portiere della Primavera, è uno di questi «homines portieres». Esponenti, «i portieri costituzionali», d’una razza che va estinguendosi, ma che vive ancora nella speranza che da un Drago nasca uno Zoff.
Giulio, come giudichi te stesso, calcisticamente parlando? «Credo che nonostante certi problemi dell’anno scorso, la riconferma avuta da parte della Juventus, quale portiere della Primavera, risponda già in parte alla domanda. Non mi sento comunque un arrivato, o troppo sicuro di me stesso. Nel ruolo che rivesto in campo è pericolosissimo sopravvalutarsi, «montarsi la testa». Bisogna saper soffrire, aver voglia di imparare e di ascoltare i consigli dei tecnici. E dato che l‘anno passato ero un poco incerto nelle «uscite», oggi, pur essendo militare e mancando da Torino per cinque giorni su sette, sto curando molto gli esercizi necessari a migliorare questo mio punto debole».
Ti ispiri a qualcuno in particolare? Cosa rappresenta Dino Zoff, per te? «Chiaramente è a lui che guardo, cercando di conoscere sempre meglio la sua splendida arte. Come dicevo prima, sto prestando servizio militare e quindi mi alleno al «Combi» soltanto il venerdì, con la prima squadra. Così ho modo di lavorare accanto a Dino, sotto la guida del signor Bizzotto, e di osservare da vicino la naturalezza di questo campione. Credimi – aggiunge Drago – su Zoff, sul suo modo di intendere il ruolo, dovrebbero scrivere un libro! Servirebbe a tutti, portieri o aspiranti tali».
Ma non ti spaventa la mole d’un personaggio leggendario, qual’è il portiere della Nazionale? Non temi che la gente faccia dei confronti tra te e lui? «Non si può paragonare nessuno a Zoff – s’accalora il buon Giulio – raffrontare uno come lui a uno come me, sarebbe irriverente. Però con Dino si può solo andare d’accordo, ha tante e tali qualità umane! E poi è dai grandi campioni che si impara, non dai mediocri.
Quali sono le tue aspirazioni professionali? «Diciamo che a vent’anni devi cominciare a guardare al futuro e alle sue incognite. Non si può sempre e solo vivere spensieratamente. E in questo periodo che uno inizia a considerare il foot-ball come una professione. Anche se ho già giocato nell’Aosta, seppure nei campionati minori, i miei obiettivi, i miei desideri, vanno verso una meta ben precisa. Vorrei arrivare, come tutti del resto, alla serie A e possibilmente nella Juventus. Ma sarà una cosa durissima, in tutti i sensi».
E se per caso non dovessi, come si dice, «sfondare»? «Avrei comunque vissuto, qui al settore giovanile, anni stupendi ed esperienze importanti. Quando vesti la maglia bianconera, non ti insegnano soltanto a giocare al calcio, ti fanno capire, anche, come devi comportarti nella vita».
Sei molto giovane, non ti pesa la vita dello «sportivo»? «Avere regolarità negli orari, nell’alimentazione, nelle attività extra calcistiche, è per me una cosa normalissima. E poi, fa parte del gioco. Non puoi essere un atleta e contemporaneamente fare la vita del michelàccio. A parte il fatto che, nei limiti della norma, non sono affatto diverso dagli altri ragazzi della mia età. Pur essendo un calciatore, nessuno mi impedisce di avere degli amici, di uscire con loro, di ascoltare della buona musica. Tutto sta, poi, a sapersi fermare, gestire, nel momento e nel modo giusto».
Quindi il giovane giocatore non è una specie di «recluso», costretto dagli eventi a mangiare pane e calcio? «Non direi assolutamente! Nella vita si deve scegliere, si deve capire, come e quando è necessario maturare».
E davvero, Giulio Drago ci pare un ragazzo maturo e intelligente. Un personaggio dal carattere gioviale ma riflessivo, allegro ma responsabile. Augurargli una luminosa carriera sarebbe sin troppo facile; fargli invece notare come molto in lui già riveli doti e qualità di campione, ci pare doveroso. Allora, arrivederci in serie A!

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