lunedì 11 maggio 2020

Juan Pablo SORIN


C’è anche una faccia da bambino dentro la nuova Juventus – racconta Maurizio Crosetti sul “Guerin Sportivo” del 2-8 agosto 1995 –. E la faccia di Pablo Sorin, 19 anni, argentino, semi-sconosciuto ma non turista per caso nel nostro calcio. Faccia da bimbo, però il cuore è forte e lo sguardo pure: due occhi che puntano lontano. Se gli chiedete chi è l’italiano che preferisce non dirà Baggio, non dirà Signori, non dirà Baresi. Dirà Cesare Pavese («Le poesie più dei romanzi»), dirà Pier Paolo Pasolini. Se lo chiamate per un’intervista risponderà «Vengo subito», poi appoggerà sul comodino la storia della letteratura italiana che usa per allenarsi con la nostra lingua e magari col nostro modo di pensare. Il suo preparatore atletico non è Ventrone; è Moravia. Perché lui fa la ginnastica del cervello.
Ragazzo di buona famiglia (padre architetto, madre assistente sociale, promessa sposa quasi laureata in educazione fisica), Pablo Sorin non appartiene alla categoria dei giovani calciatori doberman, disposti ad azzannare pur di arrivare. È un tipo tranquillo, e al tempo stesso deciso: «Sono qui per giocare, spero di diventare un titolare della Juventus, la maglia bianconera è un grande onore ma da sola non basta». Non è vero che a 19 anni è più facile sedersi in tribuna. Non è vero che ci si consola meglio. «Un anno fa non avevo neppure esordito nella Serie A argentina. In dieci mesi ho vinto un campionato e un Mondiale Under 20, sono stato convocato in Nazionale da Passarella e ora sono un giocatore della Juve. Incredibile. Però non mi fermo qui, non ho ancora combinato niente».
Lo manda Sivori, ultimo argentino in bianconero prima di lui. Ci scommettono in tanti, perché Pablo Sorin è un calciatore moderno, un jolly difensivo eclettico. Impostato originariamente come terzino sinistro (guarda caso il ruolo ancora scoperto nella Juve), sa far bene anche il centrale. Nelle prime uscite bianconere ha impressionato per tempismo e senso della posizione, ma anche per disinvoltura e carattere. Ha pure segnato, perché è un difensore che ama spingersi in avanti, soprattutto sui calci piazzati. «Daniel Passarella mi ha regalato molti consigli per avere successo in Italia, nel campionato più difficile del mondo. Mi ha detto di dare sempre il massimo, anche in allenamento, anche nelle partitelle. E mi ha detto di spedire il pallone in tribuna, se mi sembra giusto». C’è grande sincerità nelle parole del giovane argentino, proposte in un italiano già ricco di sfumature. Il piccolo sconosciuto ha personalità, e pure qualche sponsor. Lippi e Ravanelli sono stati i primi a parlar bene di lui: «Sarà una delle sorprese di quest’anno» dice l’attaccante, che con Sorin divide la camera. «Fabrizio è un personaggio positivo, mi sta insegnando un sacco di cose»: un corso intensivo di calcio, anche se Sorin sembra uno di quelli che imparano anche da soli.
La sua carriera è una freccia, un lampo. A nove anni portava già addosso la maglietta dell’Argentinos Juniors, che si è tolto solo per indossare quella della Juve. Ha esordito in prima squadra nel settembre del ‘94 poi è stata un’ascesa continua. Esperienze, vittorie, sogni: tutto condensato in una manciata di mesi. Ha un fisico robusto ma abbastanza minuto per un difensore, per uno specialista del calcio iper-atletico di oggi. I suoi 65 chili di peso, distribuiti in un metro e 73 di altezza, invitano alla cautela che occorre usare con ogni giocatore in fase di sviluppo. «Non bisogna esagerare con i carichi» dice Ventrone, «perché si possono provocare danni anche seri. È invece molto importante insegnare la corretta impostazione di ogni esercizio, con un programma di lavoro quanto mai personalizzato».
Nella full metal Juve, c’è chi tratta con riguardo un patrimonio non solo tecnico, un investimento per il futuro. O per il presente? Perché, in teoria, Pablo Sorin è il quarto straniero della Juventus, ma in pratica potrebbe scalare presto qualche posizione. Di intoccabile c’è soltanto Sousa, forse Jugovic. Per gli altri ruoli la lotta è apertissima, e l’argentino con la faccia da bimbo potrebbe sfruttare la sua duttilità. C’è da occupare la fascia sinistra, per esempio, quella che avrebbe dovuto essere presidiata da Andrea Fortunato: «Conosco la sua terribile storia, e se davvero prenderò il suo posto cercherò di farlo in modo speciale. Perché quel numero è un peso, un dovere». Sa usare anche parole importanti, il ragazzo di Baires. Come quelle che dedica a Diego Maradona: «Secondo qualcuno, lui è stato un esempio sbagliato, un male per i giovani. Io penso invece che bisogna perdonare gli errori e capire. Maradona è stato un genio, ha dato felicità a un popolo. Ha sbagliato, credo abbia pagato: ora la speranza di ogni argentino è rivederlo in campo. Senza rancore».
Faccia da bimbo ha ottima memoria: «Ricordo quando la Juventus affrontò l’Argentinos Juniors in Coppa Intercontinentale. Guardai quella magnifica partita insieme a mio padre, ricordo i colpi di Borghi e le invenzioni di Michel Platini. Avevo appena nove anni. Se qualcuno, quel giorno, mi avesse detto che avrei giocato in entrambe le squadre impegnate a Tokyo, gli avrei dato del matto». Invece è successo, tutto alla velocità della luce. Sarà per questo senso di fretta, sarà per questa frenesia che Pablo Sorin adesso chiede una tregua, un time-out della carriera. Dov’è arrivato, vuole restare. E poi raccontare: «Dopo il liceo mi sono iscritto alla facoltà di giornalismo. E qualcosa di simile alla letteratura. Per questo mi piace». Alla stampa italiana il compito di non fargli cambiare idea.
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Juanpi per gli amici, sa che l’occasione offertagli dalla Juventus è importantissima: «Questo treno passa soltanto una volta nella vita, se a 19 o 30 anni non conta: l’importante è non lasciarlo sfilare via senza agganciarsi a un vagone... Ho parlato con Vialli e Ferrara, so che loro mi daranno una mano. Così tutto sarà più facile».
Ma la sua avventura in bianconero non sarà fortunata; Juanpi, infatti, scenderà in campo solamente per 4 volte, senza disputare mai una partita intera. Deluso, ritornerà in patria, vestendo la mitica casacca del River Plate.

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