GIUSEPPE GATTINO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL NOVEMBRE 2010
Le belle storie, diceva un grande scrittore americano, si raccontano da sole. E quella di Milos Krasić è davvero una bella storia. Venticinque anni compiuti il primo novembre (anniversario della Juventus, bella coincidenza), una Coppa Uefa, due campionati, quattro coppe e tre supercoppe di Russia nel CSKA Mosca, il posto fisso nella nazionale serba e un sogno perseguito con tenacia: giocare nella Juventus. Oggi che quel sogno è una felice realtà la storia di Milos sembra ancora più bella e ancora più facile da raccontare. La rapidità con cui si è inserito in squadra e la forza con cui ha conquistato gli juventini lasciano pensare che il ragazzo di Kosovska Mitrovica sia destinato a far parlare di sé ancora per molto tempo.
– Milos ti aspettavi un inizio così devastante?
«Sinceramente no. Sapevo di arrivare in una grande squadra, con tanti giocatori importanti, però non potevo sperare di cominciare così. Ma se mi sono inserito in fretta e bene non è solo per merito mio: devo ringraziare i compagni, l’allenatore e i dirigenti, che mi hanno messo nelle condizioni per esprimermi al meglio. E poi la gente: che mi ha sostenuto in modo straordinario ancora prima di scendere in campo».
– C’è da chiedersi se ci sia un segreto di questo tuo primo periodo in bianconero, perché è difficile ricordare un giocatore straniero che si sia inserito così bene e così in fretta nella Juve.
«No, non c’è nessun segreto. È tutto molto semplice: lavoro tanto, mi impegno in allenamento e ho voglia di giocare. In campo metto tutto me stesso, in ogni pallone che tocco. D’altronde so di essere stato scelto per rinforzare la squadra e che l’investimento su di me è stato importante. Cerco solo di restituire alla Juventus la fiducia che mi ha dato».
– Quello che ha colpito subito di te e che ti ha fatto apprezzare dai tifosi, prima ancora che scendessi in campo, è stata la voglia di venire a Torino e di indossare questa maglia. Sappiamo che hai anche rinunciato a una parte dell’ingaggio pur di venire alla Juve...
«C’erano altre richieste, è vero. Ma a me interessava solo venire qui. È anche vero che ho rinunciato a una parte dei soldi che avrei guadagnato per agevolare l’accordo tra Juve e CSKA, ma sono convinto che ne valesse la pena e sono contento di aver fatto questa scelta. Per realizzare i propri sogni ci vuole determinazione».
– Hai voluto la Juventus più di ogni altra cosa, in un momento in cui non ti mancavano le proposte di altri club. Ma che cosa significava per te questa squadra?
«La Juventus è la più grande società italiana. È una squadra che ha vinto tantissimi titoli e che ha l’ambizione e i mezzi per vincere tutto: in Italia e in Europa. La Juventus, poi, è la squadra dove gioca Alessandro Del Piero, un calciatore che sono felice di aver conosciuto, con cui è bello giocare e dal quale penso di poter imparare tanto».
– Dalle aspettative alla realtà: la Juve è come te l’aspettavi?
«Sì, è proprio come la immaginavo: un grande club, con un grande pubblico, una grande organizzazione che nasce da una società seria, che ha tradizione e passione. Qui c’è tutto per mettere noi giocatori nelle condizioni per dare il massimo. È un sogno, il mio sogno. E voglio viverlo fino in fondo».
– Tu volevi la Juve, i tifosi vogliono battere l’Inter. Che cosa hai provato a giocare il “derby d’Italia” a San Siro?
«È stata una grande partita, giocata in un’atmosfera fantastica: non vedevo l’ora di scendere in campo e di giocare contro l’Inter. Abbiamo giocato bene e ce l’abbiamo messa tutta per vincere. Un’esperienza straordinaria».
– Per te quella partita è stata anche l’occasione per incontrare il capitano della tua nazionale. Che rapporto hai con Stanković e che cosa ti ha detto della tua scelta?
«Dejan mi ha aiutato nei primi giorni in Italia e mi ha fatto i complimenti per l’inizio di campionato. Anche lui ha notato i progressi della Juventus e mi ha detto che a Milano ci rispettano molto perché si sono accorti che siamo un bel gruppo, in grado di dare filo da torcere a tutti. Per il resto con lui ho il rapporto che si ha con il proprio capitano di Nazionale, di stima e amicizia».
– Ti conoscevamo come uomo di fascia, capace di saltare l’uomo e arrivare facilmente al cross. Non ci aspettavamo i gol, che invece sembrano arrivare più facilmente del previsto. L’impressione di molti è che tu sia un attaccante aggiunto più che un centrocampista.
«Sono un centrocampista, non ho dubbi. Ovviamente, sono molto contento di aver segnato, ma il mio mestiere è far segnare gli altri. Non è retorica: mi interessa che la squadra funzioni e il mio obiettivo personale è mettere gli attaccanti nelle condizioni di fare gol. Se poi mi capita di buttarla dentro, meglio».
– Delneri è un allenatore che chiede ai giocatori la massima diligenza tattica. Che impressione hai avuto in questi primi mesi di lavoro?
«È vero, il mister ci chiede di dedicare la massima attenzione alla tattica, al modo di stare in campo e ai movimenti senza palla. Lo sapevo, perché seguivo il calcio italiano e perché prima di arrivare a Torino mi ero documentato. In ogni caso con lui mi trovo benissimo: il suo sistema di gioco è perfetto per le mie caratteristiche e non è cambiato molto rispetto a come giocavo a Mosca o in Nazionale».
– A proposito di Nazionale: la scorsa estate hai giocato il Mondiale. Al di là dell’esito negativo per la Serbia, che esperienza è stata?
«È stato un grande spettacolo: il Mondiale è il posto dove tutti vorrebbero essere. È stata un’esperienza umana e professionale importante, che mi ha permesso di confrontarmi con grandi campioni in un contesto unico. Dal punto di vista del risultato la delusione è stata pesante, perché sono convinto che la Serbia avesse le carte in regola per fare meglio. Ci è mancata un po’ di fortuna e, alla fine, non abbiamo passato il turno per un gol di scarto, in un girone impegnativo che comprendeva Australia, Germania e Ghana».
– In Sud Africa la delusione è stata solo sportiva. A Genova, invece, tu e i tuoi compagni avete vissuto un episodio particolarmente triste del calcio europeo. Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
«Quella notte sono tornato a Torino con un sentimento di strazio nel cuore. Come tutti i miei compagni, volevo solo giocare una bella partita in uno stadio pieno di gente entusiasta. Volevamo vivere uno spettacolo di sport. E invece...».
– Ti aspettavi che potessero accadere fatti del genere?
«No, non me l’aspettavo io e non se l’aspettavano nemmeno i miei compagni. In ogni caso, secondo me non c’è nessuna relazione tra quegli episodi e il calcio. Purtroppo noi giocatori non eravamo in grado di fermare quella gente: ci abbiamo provato, invitandoli alla calma, ma come si è visto è stato del tutto inutile».
– Pensi che quegli incidenti possano alimentare un’immagine negativa del tuo Paese in Europa, e in Italia in particolare?
«Certo non è stata una buona pubblicità per la Serbia. Ma si è trattato di un fatto isolato: non ricordo episodi analoghi in occasione di partite della nostra Nazionale e sono sicuro che se gli italiani verranno in Serbia a sostenere gli azzurri non si ripeteranno altri episodi del genere. Il nostro è un paese moderno e ospitale, che non può essere rappresentato dalla gente che a Genova ha impedito che giocassimo la partita».
– Dal tuo arrivo hai calamitato l’attenzione dei media: te lo immaginavi?
«Sapevo che in Italia il calcio è un fenomeno seguitissimo e immaginavo che giocando alla Juve i giornalisti si sarebbero occupati di me. È inevitabile e la cosa non mi dà problemi, anzi: fa parte del mio lavoro ed è giusto che i giornalisti facciano il loro».
– Veniamo agli affetti: da pochi giorni la tua famiglia ti ha raggiunto a Torino e puoi goderti la piccola Mila.
«Sì, sono arrivate mia figlia Mila, nata alla fine di settembre, e mia moglie Miriana: con lei ci siamo conosciuti a Novi Sad, la sua città, durante un torneo di calcetto. Io ho vissuto e giocato a lungo a Novi Sad, dove sono ancora iscritto alla facoltà di Management dello sport. Non so se riuscirò a finire gli studi, ma sarei felice di farcela».
– Alla Juve hai l’esempio di Giorgio Chiellini: si è appena laureato.
«Complimenti a Giorgio, cercherò di imitarlo».
– Facciamo un passo indietro: che cosa ti hanno lasciato i cinque anni trascorsi a Mosca?
«Nel periodo trascorso al CSKA mi sono tolto grandi soddisfazioni sportive, in un calcio che sta crescendo e in un campionato sempre più competitivo: ho vinto quattro campionati e una Coppa Uefa. Successi che vogliono dire molto e che mi legheranno sempre a Mosca. Per quanto riguarda la città e la sua gente, mi rimarranno sempre nel cuore: una bellissima esperienza, che penso potrà aiutarmi anche qui a Torino a dare il meglio di me».
– Che cos’è l’Italia per un ragazzo serbo della tua età?
«Un grande paese, aperto, con tanta cultura e ricco di umanità. La gente è accogliente, ti fa sentire il suo affetto. Torino, poi, mi ha stupito per la bellezza e per l’ospitalità che non immaginavo. E poi da voi si mangia bene: sono goloso di pasta, cucinata in qualunque modo».
– Milos Krasić fuori campo: musica, cinema, playstation. E poi?
«E poi calcio. Per quanto riguarda la musica ascolto soprattutto cantanti serbi, Raznatović o Goran Bregović, che forse da voi è il nostro artista più apprezzato. Al cinema mi piacciono soprattutto i thriller, ma anche i film di Kusturica. In ogni caso non ho molti hobby: penso al calcio e provo a portare avanti gli studi».
– Milos, tu vieni da una terra che negli ultimi vent’anni ha vissuto conflitti terribili. Che segni ti hanno lasciato quelle vicende?
«Per fortuna nessuno: durante la guerra ero piccolo e ricordo poco di quei giorni. Certo, ne parlo con i miei genitori e mi auguro che non si ripetano quelle situazioni. Oggi la Serbia è uno stato giovane, in crescita, e credo che per i giovani ci possano essere buone prospettive. Dobbiamo lavorare tutti insieme in questo senso».
Il debutto avviene il 29 agosto a Bari. Due settimane più tardi, nella partita casalinga contro la Sampdoria, fornisce l’assist per il gol di Marchisio. Si ripete anche sette giorni dopo a Udine, mandando in rete prima Quagliarella e poi Marchisio. Ribattezzato immediatamente dai tifosi bianconeri Furia Serba (per via della sua zazzera bionda che ricorda tanto Pavel Nedved), Krasić è imprendibile per qualsiasi difensore avversario. La sua velocità e il suo dribbling secco, infatti, lo trasformano in un’arma devastante per la squadra di Delneri.
Il 26 settembre, realizza una tripletta nella partita casalinga vinta col Cagliari. «Siamo un grandissimo gruppo, giochiamo l’uno per l’altro e questa è la nostra forza. Per me segnare 3 gol ha rappresentato una grandissima emozione», confessa Milos. «Krasić come Nedved? – dichiara Delneri – Mah, io non voglio essere dipendente da nessuno, voglio che la Juve diventi squadra. Lui è un componente importante, ma è uno del gruppo». Anche a Chiellini piace il nuovo Nedved: «La capigliatura lo fa sembrare Pavel e i paragoni si sprecano, ma Milos ha caratteristiche diverse. Si è integrato alla grande, speriamo continui così perché sta facendo una bella differenza».
Meno di un mese dopo, il 21 ottobre, entra in campo nel secondo tempo durante la trasferta di Europa League contro il Salisburgo segnando, su assist di De Ceglie, il primo gol nelle coppe europee con la maglia bianconera. Tutto sembra andare per il meglio, la Juventus ha trovato il top-player che le può permettere il salto di qualità, ma il destino è in agguato. Il 24 ottobre, nella trasferta di Bologna, a circa metà del primo tempo, il serbo si procura un rigore (che sarà poi sbagliato da Iaquinta). Il giudice sportivo ritiene che si tratti di simulazione e lo squalifica due giornate per condotta antisportiva.
È la svolta negativa: da questo momento per gli arbitri è un simulatore! Sintomatica è la partita casalinga contro l’Udinese: due fallacci da rosso diretto ai suoi danni, commessi dai difensori friulani, sono completamente ignorati dall’arbitro! «Sono distrutto», racconta agli amici che lo sentono e vedono assai provato da questa vicenda. Anche i compagni, a partire da Del Piero, raccontano di un Milos demoralizzato al pensiero che possa circolare un’opinione sbagliata di lui.
Il 4 novembre, nella partita casalinga di Europa League contro il Salisburgo, si procura uno stiramento al muscolo della coscia sinistra. Ritorna in campo a diciassette giorni dall’infortunio, realizzando il gol del 2-0 nella vittoria in trasferta sul Genoa del 21 novembre e causando l’autorete del vantaggio bianconero.
Il momento di gloria massimo per Krasić è il 12 dicembre: la Juventus affronta la Lazio, all’Olimpico di Torino. La squadra bianconera ha assolutamente necessità dei tre punti, ma l’avversario è molto ostico. Chiellini porta in vantaggio la Juventus dopo soli due minuti di gioco, ma l’entusiasmo dura poco perché Zarate riesce a pareggiare poco dopo. A pochi secondi dal termine della contesa, Milos recupera un pallone servitogli da Sissoko, salta netto un paio di avversari e riesce a infilare il pallone nella porta laziale, grazie anche alla complicità del portiere Muslera.
Paradossalmente, questo gol anziché rilanciare il serbo, ne decreta il suo canto del cigno. Da quel momento, Krasić subisce un’involuzione vertiginosa e, del magnifico e devastante giocatore della prima parte del campionato, non rimane che il ricordo. Termina la sua prima stagione in bianconero con 41 presenze e 9 gol.
In estate arriva Antonio Conte sulla panchina bianconera. Il mister leccese schiera, inizialmente, la squadra con il 4-2-4, modulo che dovrebbe esaltare le capacità e le caratteristiche di Krasić. Invece, il giocatore risponde con prestazione altamente imbarazzanti e Conte non può fare altro che accantonare la Furia Serba, in chiare difficoltà sia dal punto di vista tattico che mentale. Trova il suo primo e unico gol in occasione di Catania-Juve, complice un errore del portiere Andujar.
Il 2 agosto 2012 è definitivamente ceduto alla squadra turca del Fenerbahçe. «Ho iniziato bene alla Juventus, abbiamo giocato una bella annata. Per me è stata una stagione buona, poi non voglio tornare su vecchi discorsi con Conte: è un allenatore perfetto, è il numero uno. Alla Juventus, però è cambiato tutto la seconda stagione e nel 3-5-2 non mi trovavo, forse anche per colpa mia. Quando non si gioca si dà sempre colpa all’allenatore ma voglio assumermi anche le mie responsabilità. Quando un giocatore si allena bene, allora gioca; se non giocavo, evidentemente c’è stato qualche motivo».
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