Arrivò nella Juve che aveva Sivori – racconta Vladimiro Caminiti – e non voleva avere altro. Sivori rese difficile la vita anche a questo talento della scorribanda e del gol estroso, volendo servizi a puntino sul piede matricolato. Bruno lo mando spesso a quel paese e perciò la Juve lo tenne due campionati e poi lo scambiò utilmente con il Milan. Ala di un tempo quasi antico, magro spiritato e con gambette nerborute, aveva ogni qualità, scatto da fermo, furbizia a tonnellate, una qual certa potenza di tiro.
GIANNI GIACONE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’OTTOBRE 1972
In questa sfilza di profili di bianconeri degli anni sessanta siamo andati (e stiamo andando) un tantino a casaccio, e l’ordine cronologico va spesso a farsi friggere. Del resto, non si tratta mica di articoli di storia, ci mancherebbe altro, ci basta ricordare nomi a volte prestigiosi a volte meno che negli ultimi anni sono stati più o meno a lungo bianconeri.
Uno di questi, prestigioso assai, a dire il vero, è Bruno Mora; chi non si ricorda di lui, è l’ala destra dello scudetto numero dodici e della relativa Coppitalia, della Coppa dei Campioni dell’anno dopo e del quasi concomitante disastro della Nazionale «made in Cile» e poi subito dopo, ma guarda un po’ del Milan campione d’Europa. Basterebbe l’esposizione sommaria di un simile «curriculum» per spiegare il tipo: un fior di campione, che alla Juve, nei due anni in cui ci è stato, ha dato sempre ottime prove di sé, e che è stato ceduto esclusivamente per ragioni tecniche, vale a dire serviva il grosso nome in difesa e per questo si sacrificò il grosso nome dell’attacco: arrivò in cambio Salvadore, mica l’ultimo pivello della pelota, come dire che la Juve non ci perse proprio nulla, anzi. Ma abbiamo corso davvero troppo, per raccontare il Mora juventino bisogna andare con molta più calma. E tornare indietro, naturalmente, di quanto è sufficiente per trovarlo già campione affermato.
Novembre ‘59, Bruno ha ventidue anni e gioca in blucerchiato, ma è già «sorvegliato» speciale dagli osservatori delle «grandi». Un grandissimo inizio di torneo gli vale il posto in Nazionale, all’ala destra: Italia-Ungheria, a Firenze, uno a uno, è una passerella di juventini e di futuri juventini. Già, perché di fronte ad un simile iradiddio la società bianconera decide immediatamente di passare all’offensiva per assicurarselo, nonostante la concorrenza sia numerosa e agguerrita.
Così l’anno dopo, per Mora è già Juventus, anche se per vederlo in campo con i colori bianconeri bisogna aspettare un po’. Il debutto ufficiale è rinviato a novembre: a quel punto la Juve è già saldamente in vetta alla classifica, ma le cose non vanno poi tanto lisce come l’anno precedente, la concorrenza si è fatta più forte e anche più astuta, è milanese nelle due specie. L’Inter ha Suarez e il conducador H.H., entrambi freschi di Spagna, e ci ha pure un inglesino pepato e biondiccio al centro dell’attacco, Hitchens si chiama costui, e subito la platea di San Siro è per lui. Il Milan invece ha soffiato alla concorrenza il tesoro della provincia mandrogna, il baby Rivera che a diciassette anni già imperversa, anche se ancora parla poco e con strascichi dialettali.
È proprio il Milan viene a guastare la festa di Mora alla «prima» in bianconero, il 6 novembre ‘60. Al Comunale infreddolito ma stracolmo finisce quattro a tre per il diavolo, primo tempo due a zero, non è vero che la Juve ha giocato male, men che mai è vero che Mora non c’è, il ragazzo fa una gran partita e subito conquista i tifosi, anche quelli dal palato più fino. È suo uno dei tre gol bianconeri, la Juve perde la partita ma non fa drammi, anche se era importantissimo vincere, perché trova un fuoriclasse in più da aggiungere alla lista. Che è lunga alquanto, e persino esaltante. Sono per l’ultima volta insieme Charles, Sivori e Boniperti, in difesa l’anziano e saggio Cervato comanda all’antica una difesa di pilastri, d’accordo che ci sono anche i ragazzini che scalpitano, ma la Juve scudettata sarà ancora quella dei vecchi o presunti tali.
Mora, comunque, è arrivato proprio in tempo, la Juve d’ora innanzi avrà sempre bisogno di lui: a cominciare dai traversoni pennellati per la zucca in quota di John-il-buono o per il calzettone srotolato di Omar-il-cabezon, Bruno diventa subito protagonista. Intanto Cervato gli cede sempre più spesso l’incarico di tirare i rigori, la qual cosa si rivela quell’anno di non infima importanza: per fermare Sivori e soci le difese si catenacciano a più non possono e a volte pure picchiano sodo, si studiano trucchetti di ogni tipo, ma non sempre gli arbitri abboccano, e così i tiri dal dischetto fischiati a favore dei bianconeri diventano frequenti, e si fa cospicuo il gruzzolo di reti dell’ex-sampdoriano. Dieci reti segna quell’anno Mora, e non sono poche in assoluto, diventano addirittura tantissime se si pensa alla terribile concorrenza che Bruno si ritrova in casa. È un anno più che positivo, per la Juve, inizialmente timorosa di non potere fare il bis, e per la sua ala destra in cerca di consacrazione definitiva nel campionato del Centenario. Che è campionato ricco di cose da ricordare. Prendiamo a caso, sennò non la finiremmo più.
5 febbraio ‘61, Juventus batte Udinese cinque a uno, gioco scintillante, grande Sivori autore di una succulenta tripletta, e bravissimo Mora, il miglior Mora dall’esordio di novembre, due gol e tantissimi spunti di classe cristallina. Sette giorni più tardi, all’Olimpico, i bianconeri liquidano la Lazio per quattro a uno; tra i marcatori l’ex-sampdoriano, la cui sventola chiude il conto con i biancazzurri. Bologna, 26 marzo: è la partita-sorpasso dei bianconeri, preceduti prima di un punto dall’Inter, che quel giorno si sfascia nel Derby della Madonnina. La Juve invece tira innanzi, i rossoblu vedono e non vedono Sivori mattatore, grandi applausi per la ritrovata protagonista del campionato che ha un Mora sempre più bravo, il suggello al quattro a due finale è ancora suo, dal dischetto. 14 maggio, l’Atalanta lotta e rincorre la Juve passata in vantaggio con capitan Boniperti, ma Bruno colpisce secco e due volte, un’altra doppietta, la seconda da quando è juventino.
5 giugno, esultano i fans della Vecchia Signora, è il giorno dello scudetto matematico, manca ancora la partita-recupero con l’Inter, ma le radioline portano al Comunale le confortanti notizie di Catania, dove i nerazzurri staccati di due punti perdono secco dagli etnei, e la Juve, ormai campione, non infierisce sul pericolante Bari; è pareggio, il gol juventino, dal dischetto, non può essere che di Mora.
Alleluja, dunque; ma l’anno dopo le cose non vanno poi così bene, mica sempre è festa, il ‘60-61 è stato addirittura magico per Mora, che è tornato in nazionale a Napoli contro l’Austria, nella partita d’addio di Boniperti. Il ‘61-62 andrà di gran lunga peggio, epperò di Mora sentiremo parlare ancora bene, talvolta benissimo, per almeno due terzi del torneo. A Genova, per esempio, Sampdoria-Juventus due a tre, Bruno si veste da «ex» terribile e fa la festa ai sampdoriani: sue tutte e tre le reti del successo bianconero. Il resto va avanti alla meno peggio, alla stracca talvolta.
In campionato ci si distrae sovente, con la scusa che c’è di mezzo la Coppa dei Campioni, e magari ne vale la pena. Anche qui Mora fa cose egregie, segnando tra l’altro contro i greci del Panathinaikos e contro gli jugoslavi del Partizan Belgrado: contro questi ultimi, in quella che è stata forse la più bella prestazione bianconera in Coppa dei Campioni (clamoroso 5-0 inflitto a Soskic e compagni) Bruno realizza una doppietta. Ma la strada è sbarrata anche qui, contro l’ancora irraggiungibile Real Madrid si mette di mezzo anche la sfortuna, e l’avventura europea si conclude mestamente ai quarti di finale.
Intanto, il campionato finisce a rotoli, la squadra si squaglia letteralmente al primo sole primaverile, a tutti viene meno la concentrazione, qualcuno perde anche il controllo dei nervi. Mora, in particolare, precipita dal suo piedistallo di campione: una pesante squalifica dopo gli incidenti di Juve-Sampdoria (squalifica che tocca anche a Sivori e Leoncini) gli impedisce pure di chiudere il torneo. Qualcuno lo definisce in crisi, e critica l’operato dei tecnici azzurri che lo convocano per l’avventura mondiale in Cile. Ma proprio qui Mora smentisce clamorosamente i suoi denigratori: l’Italia combina poco e si fa estromettere ingenuamente dai padroni di casa, ma nel disastro, tra i pochi che si salvano c’è senza dubbio lui. Lo riconoscono i giornalisti internazionali del mondiale cileno, chiamati a compilare le classifiche dei migliori per ogni ruolo; tra le ali destre Mora è piazzato al terzo posto, dopo il grandissimo Garrincha e il russo Metreveli.
E allora perché venderlo, un simile campione? Giusta domanda, ma ci sono valutazioni tecniche precise, lo abbiamo detto in apertura; e poi i dirigenti juventini ottengono di avere in cambio Salvadore, che nelle stesse classifiche mondiali è tra i migliori tre centromediani, insieme al brasiliano Mauro e al cecoslovacco Populhar. E che volete di più, magari si rimpiange di non aver potuto far venire Salvadore riconfermando Mora.
La storia di Bruno in rossonero è recente, sono cose di ieri: sarà ancora azzurro e campione d’Europa a Wembley, e se le sue imprese sembrano tanto lontane, questo, una volta tanto, non dipende assolutamente da lui, ma solo dalla sfortuna. Il gravissimo incidente al ginocchio, alla vigilia del ‘66, lo taglia fuori dal grande giro nel pieno della forma, e rende difficoltoso il pieno recupero sul piano fisico quanto su quello psicologico. Senza quel duro colpo i suoi gol sarebbero certo più vicini nel tempo, e non lo relegherebbero, forse, a campione dei soli anni sessanta...
ANGELO CAROLI
Era un gaudente che faceva bene il professionista, senza rinunce specifiche e giungendo al vertice della carriera attraverso la Sampdoria, la Juventus e il Milan, vincendo coppe e scudetti e arrivando alla Nazionale. Aveva la faccia sfrontata degli scugnizzi a cui si deve perdonare tutto, un muse simpatico che lo poneva al centro delle attenzioni femminili. Esprimeva quel modo inconfondibile di essere estroverso, tipico degli emiliani (era nato a Parma il 29 marzo del 1937), con un sorriso appena accennato, da regalare a tutti. Era la disperazione di Umberto Agnelli, il quale capiva le esigenze esistenziali di un giovane calciatore, ma pretendeva che allo svago si ponesse un limite. Bruno girava per la città illuminata dai lampioni alla guida di una spider rossa in cerca di avventure. Attribuiva quell’irrequietezza all’insonnia. Il dottor Umberto fingeva di credergli e sorrideva. Pare che in un periodo in cui la squadra non girava al massimo gli avesse messo alle costole una persona di fiducia, un controllore speciale. Bruno fu sorpreso, una notte, mentre usciva da un portone che non era quello di casa sua. Si giustificò chinando il capo e facendo saettare nel buio i suoi occhi volpini: «Ho ritrovato una vecchia parente», disse. La donna non era vecchia e nemmeno una parente. Fu multato. Ma Bruno si faceva perdonare poiché in campo era un generoso. In luglio venne con me a Viareggio, fu una vacanza divertente, dividemmo una camera molto grande, a Villa Ridosso. La sera uscivamo sempre con ragazze diverse. Rientravamo in albergo a notte fonda. Io ero stravolto dalla stanchezza, sentivo solo il bisogno di dormire. Lui cambiava camicia e si rituffava, allegro, nella notte, all’inseguimento costante di chimere. Aveva una spinta emotiva straordinaria, che distribuiva alla squadra con generosa partecipazione. Il giorno 10 novembre del 1986 mi arrivò la notizia della sua morte. Un male incurabile lo aveva strappato alla vita. Fui attanagliato da un’angoscia improvvisa. L’ho pianto a lungo, come lo hanno pianto gli amici bianconeri che avevano diviso con lui stagioni indimenticabili.
Uno di questi, prestigioso assai, a dire il vero, è Bruno Mora; chi non si ricorda di lui, è l’ala destra dello scudetto numero dodici e della relativa Coppitalia, della Coppa dei Campioni dell’anno dopo e del quasi concomitante disastro della Nazionale «made in Cile» e poi subito dopo, ma guarda un po’ del Milan campione d’Europa. Basterebbe l’esposizione sommaria di un simile «curriculum» per spiegare il tipo: un fior di campione, che alla Juve, nei due anni in cui ci è stato, ha dato sempre ottime prove di sé, e che è stato ceduto esclusivamente per ragioni tecniche, vale a dire serviva il grosso nome in difesa e per questo si sacrificò il grosso nome dell’attacco: arrivò in cambio Salvadore, mica l’ultimo pivello della pelota, come dire che la Juve non ci perse proprio nulla, anzi. Ma abbiamo corso davvero troppo, per raccontare il Mora juventino bisogna andare con molta più calma. E tornare indietro, naturalmente, di quanto è sufficiente per trovarlo già campione affermato.
Novembre ‘59, Bruno ha ventidue anni e gioca in blucerchiato, ma è già «sorvegliato» speciale dagli osservatori delle «grandi». Un grandissimo inizio di torneo gli vale il posto in Nazionale, all’ala destra: Italia-Ungheria, a Firenze, uno a uno, è una passerella di juventini e di futuri juventini. Già, perché di fronte ad un simile iradiddio la società bianconera decide immediatamente di passare all’offensiva per assicurarselo, nonostante la concorrenza sia numerosa e agguerrita.
Così l’anno dopo, per Mora è già Juventus, anche se per vederlo in campo con i colori bianconeri bisogna aspettare un po’. Il debutto ufficiale è rinviato a novembre: a quel punto la Juve è già saldamente in vetta alla classifica, ma le cose non vanno poi tanto lisce come l’anno precedente, la concorrenza si è fatta più forte e anche più astuta, è milanese nelle due specie. L’Inter ha Suarez e il conducador H.H., entrambi freschi di Spagna, e ci ha pure un inglesino pepato e biondiccio al centro dell’attacco, Hitchens si chiama costui, e subito la platea di San Siro è per lui. Il Milan invece ha soffiato alla concorrenza il tesoro della provincia mandrogna, il baby Rivera che a diciassette anni già imperversa, anche se ancora parla poco e con strascichi dialettali.
È proprio il Milan viene a guastare la festa di Mora alla «prima» in bianconero, il 6 novembre ‘60. Al Comunale infreddolito ma stracolmo finisce quattro a tre per il diavolo, primo tempo due a zero, non è vero che la Juve ha giocato male, men che mai è vero che Mora non c’è, il ragazzo fa una gran partita e subito conquista i tifosi, anche quelli dal palato più fino. È suo uno dei tre gol bianconeri, la Juve perde la partita ma non fa drammi, anche se era importantissimo vincere, perché trova un fuoriclasse in più da aggiungere alla lista. Che è lunga alquanto, e persino esaltante. Sono per l’ultima volta insieme Charles, Sivori e Boniperti, in difesa l’anziano e saggio Cervato comanda all’antica una difesa di pilastri, d’accordo che ci sono anche i ragazzini che scalpitano, ma la Juve scudettata sarà ancora quella dei vecchi o presunti tali.
Mora, comunque, è arrivato proprio in tempo, la Juve d’ora innanzi avrà sempre bisogno di lui: a cominciare dai traversoni pennellati per la zucca in quota di John-il-buono o per il calzettone srotolato di Omar-il-cabezon, Bruno diventa subito protagonista. Intanto Cervato gli cede sempre più spesso l’incarico di tirare i rigori, la qual cosa si rivela quell’anno di non infima importanza: per fermare Sivori e soci le difese si catenacciano a più non possono e a volte pure picchiano sodo, si studiano trucchetti di ogni tipo, ma non sempre gli arbitri abboccano, e così i tiri dal dischetto fischiati a favore dei bianconeri diventano frequenti, e si fa cospicuo il gruzzolo di reti dell’ex-sampdoriano. Dieci reti segna quell’anno Mora, e non sono poche in assoluto, diventano addirittura tantissime se si pensa alla terribile concorrenza che Bruno si ritrova in casa. È un anno più che positivo, per la Juve, inizialmente timorosa di non potere fare il bis, e per la sua ala destra in cerca di consacrazione definitiva nel campionato del Centenario. Che è campionato ricco di cose da ricordare. Prendiamo a caso, sennò non la finiremmo più.
5 febbraio ‘61, Juventus batte Udinese cinque a uno, gioco scintillante, grande Sivori autore di una succulenta tripletta, e bravissimo Mora, il miglior Mora dall’esordio di novembre, due gol e tantissimi spunti di classe cristallina. Sette giorni più tardi, all’Olimpico, i bianconeri liquidano la Lazio per quattro a uno; tra i marcatori l’ex-sampdoriano, la cui sventola chiude il conto con i biancazzurri. Bologna, 26 marzo: è la partita-sorpasso dei bianconeri, preceduti prima di un punto dall’Inter, che quel giorno si sfascia nel Derby della Madonnina. La Juve invece tira innanzi, i rossoblu vedono e non vedono Sivori mattatore, grandi applausi per la ritrovata protagonista del campionato che ha un Mora sempre più bravo, il suggello al quattro a due finale è ancora suo, dal dischetto. 14 maggio, l’Atalanta lotta e rincorre la Juve passata in vantaggio con capitan Boniperti, ma Bruno colpisce secco e due volte, un’altra doppietta, la seconda da quando è juventino.
5 giugno, esultano i fans della Vecchia Signora, è il giorno dello scudetto matematico, manca ancora la partita-recupero con l’Inter, ma le radioline portano al Comunale le confortanti notizie di Catania, dove i nerazzurri staccati di due punti perdono secco dagli etnei, e la Juve, ormai campione, non infierisce sul pericolante Bari; è pareggio, il gol juventino, dal dischetto, non può essere che di Mora.
Alleluja, dunque; ma l’anno dopo le cose non vanno poi così bene, mica sempre è festa, il ‘60-61 è stato addirittura magico per Mora, che è tornato in nazionale a Napoli contro l’Austria, nella partita d’addio di Boniperti. Il ‘61-62 andrà di gran lunga peggio, epperò di Mora sentiremo parlare ancora bene, talvolta benissimo, per almeno due terzi del torneo. A Genova, per esempio, Sampdoria-Juventus due a tre, Bruno si veste da «ex» terribile e fa la festa ai sampdoriani: sue tutte e tre le reti del successo bianconero. Il resto va avanti alla meno peggio, alla stracca talvolta.
In campionato ci si distrae sovente, con la scusa che c’è di mezzo la Coppa dei Campioni, e magari ne vale la pena. Anche qui Mora fa cose egregie, segnando tra l’altro contro i greci del Panathinaikos e contro gli jugoslavi del Partizan Belgrado: contro questi ultimi, in quella che è stata forse la più bella prestazione bianconera in Coppa dei Campioni (clamoroso 5-0 inflitto a Soskic e compagni) Bruno realizza una doppietta. Ma la strada è sbarrata anche qui, contro l’ancora irraggiungibile Real Madrid si mette di mezzo anche la sfortuna, e l’avventura europea si conclude mestamente ai quarti di finale.
Intanto, il campionato finisce a rotoli, la squadra si squaglia letteralmente al primo sole primaverile, a tutti viene meno la concentrazione, qualcuno perde anche il controllo dei nervi. Mora, in particolare, precipita dal suo piedistallo di campione: una pesante squalifica dopo gli incidenti di Juve-Sampdoria (squalifica che tocca anche a Sivori e Leoncini) gli impedisce pure di chiudere il torneo. Qualcuno lo definisce in crisi, e critica l’operato dei tecnici azzurri che lo convocano per l’avventura mondiale in Cile. Ma proprio qui Mora smentisce clamorosamente i suoi denigratori: l’Italia combina poco e si fa estromettere ingenuamente dai padroni di casa, ma nel disastro, tra i pochi che si salvano c’è senza dubbio lui. Lo riconoscono i giornalisti internazionali del mondiale cileno, chiamati a compilare le classifiche dei migliori per ogni ruolo; tra le ali destre Mora è piazzato al terzo posto, dopo il grandissimo Garrincha e il russo Metreveli.
E allora perché venderlo, un simile campione? Giusta domanda, ma ci sono valutazioni tecniche precise, lo abbiamo detto in apertura; e poi i dirigenti juventini ottengono di avere in cambio Salvadore, che nelle stesse classifiche mondiali è tra i migliori tre centromediani, insieme al brasiliano Mauro e al cecoslovacco Populhar. E che volete di più, magari si rimpiange di non aver potuto far venire Salvadore riconfermando Mora.
La storia di Bruno in rossonero è recente, sono cose di ieri: sarà ancora azzurro e campione d’Europa a Wembley, e se le sue imprese sembrano tanto lontane, questo, una volta tanto, non dipende assolutamente da lui, ma solo dalla sfortuna. Il gravissimo incidente al ginocchio, alla vigilia del ‘66, lo taglia fuori dal grande giro nel pieno della forma, e rende difficoltoso il pieno recupero sul piano fisico quanto su quello psicologico. Senza quel duro colpo i suoi gol sarebbero certo più vicini nel tempo, e non lo relegherebbero, forse, a campione dei soli anni sessanta...
ANGELO CAROLI
Era un gaudente che faceva bene il professionista, senza rinunce specifiche e giungendo al vertice della carriera attraverso la Sampdoria, la Juventus e il Milan, vincendo coppe e scudetti e arrivando alla Nazionale. Aveva la faccia sfrontata degli scugnizzi a cui si deve perdonare tutto, un muse simpatico che lo poneva al centro delle attenzioni femminili. Esprimeva quel modo inconfondibile di essere estroverso, tipico degli emiliani (era nato a Parma il 29 marzo del 1937), con un sorriso appena accennato, da regalare a tutti. Era la disperazione di Umberto Agnelli, il quale capiva le esigenze esistenziali di un giovane calciatore, ma pretendeva che allo svago si ponesse un limite. Bruno girava per la città illuminata dai lampioni alla guida di una spider rossa in cerca di avventure. Attribuiva quell’irrequietezza all’insonnia. Il dottor Umberto fingeva di credergli e sorrideva. Pare che in un periodo in cui la squadra non girava al massimo gli avesse messo alle costole una persona di fiducia, un controllore speciale. Bruno fu sorpreso, una notte, mentre usciva da un portone che non era quello di casa sua. Si giustificò chinando il capo e facendo saettare nel buio i suoi occhi volpini: «Ho ritrovato una vecchia parente», disse. La donna non era vecchia e nemmeno una parente. Fu multato. Ma Bruno si faceva perdonare poiché in campo era un generoso. In luglio venne con me a Viareggio, fu una vacanza divertente, dividemmo una camera molto grande, a Villa Ridosso. La sera uscivamo sempre con ragazze diverse. Rientravamo in albergo a notte fonda. Io ero stravolto dalla stanchezza, sentivo solo il bisogno di dormire. Lui cambiava camicia e si rituffava, allegro, nella notte, all’inseguimento costante di chimere. Aveva una spinta emotiva straordinaria, che distribuiva alla squadra con generosa partecipazione. Il giorno 10 novembre del 1986 mi arrivò la notizia della sua morte. Un male incurabile lo aveva strappato alla vita. Fui attanagliato da un’angoscia improvvisa. L’ho pianto a lungo, come lo hanno pianto gli amici bianconeri che avevano diviso con lui stagioni indimenticabili.
sei un grande Bidescu... i miei più sentiti complimenti ;)
RispondiEliminastefano
sono io che ringrazio te per avermi letto ...
RispondiEliminaSono un tifoso dell'inter, ormai ben più che cinquantenne, e ho visto giocare Mora col Milan a San Siro. Il suo pezzo è riuscito a interessarmi e a commuovermi, anche se, ripeto, ho il cuore nerazzurro! Complimenti!
RispondiEliminaGrazie dei complimenti, Nichi. E continua a seguirmi!
RispondiEliminaanonimo-- penso che il grande bruno mora sia stato una delle piu' grandi ale destre italiane di tutti i tempi ---grazie bruno---
RispondiEliminaDi bruno Mora mi ha parlato Giacomo Raffone giovane promessa che giocava nelle giovanili del Milan… Giacomo mi ha detto che Mora era di una umiltà unica e spesso se
RispondiEliminalo portava in giro per Milano con la sua porsche e Nils Liedholm allora
allenatore al
primo anno
delle giovanili rimproverava il Raffone perché facevano tardi la sera
a cena