venerdì 17 aprile 2020

Remo GIORDANETTI


Oltre mezzo secolo di calcio, sempre a respirare aria juventina – scrive Fabio Vergnano nel 1986 su “La storia della Juventus” di Perucca, Romeo e Colombero – Remo Giordanetti merita senza dubbio il Premio fedeltà ed un ricordo particolare nella storia della Juventus. Qualche dato significativo: socio dal 1929, consigliere dal 1948, vicepresidente dal 1958.
È senza dubbio il dirigente calcistico italiano più decorato. Ha vinto tutto: campionati e coppe, in Italia ed all’estero. Davanti a lui sono sfilate intere generazioni di calciatori, presidenti ed allenatori. La sua memoria è lucida, della Juventus potrebbe scrivere una storia tutta sua.
Giordanetti è un perfetto uomo-Juventus e forse proprio per questo è rimasto tanti anni ai vertici della società. Modesto, riservato, ha uno stile bonipertiano, preferisce restare nell’ombra, lasciando che siano gli altri a parlare. Eppure è stato ed è tuttora un dirigente di primo piano. Consigliere di Lega nel 1958, quindi consigliere federale, da alcuni anni Giordanetti non ha più cariche ufficiali, ma spesso rappresenta Boniperti alle riunioni tra società. Nella Juventus, oltreché vicepresidente, è anche responsabile del settore giovanile, carica che ricopre con autentica passione. Fino a qualche anno fa dedicava gran parte del suo tempo alla Juventus. Ora la sua giornata è tutta bianconera, da quando il lavoro non lo obbliga più a restare lontano dalla sede sociale. In quasi tutte le trasferte è vicino al presidente, con la sua presenza ancora giovanile e soprattutto carica di entusiasmo. Guarda il calcio con gli occhi di chi sa tutto ed ha visto tutto. Un calcio che si è profondamente trasformato nelle sue strutture, che lascia sempre meno spazio al sentimento ed all’improvvisazione. «Una volta i giocatori erano trattati dai dirigenti», ricorda amaramente Giordanettí «e tra galantuomini gli accordi erano facili». Già, bei tempi, in cui si viveva un calcio meno assillante, con impegni meno incalzanti. Bastava un allenamento alla settimana e poi via, in campo per la partita.
Per lunghi anni, durante la presidenza dei fratelli Agnelli e poi con Catella, Giordanetti si è occupato della campagna acquisti juventina. Erano noti i suoi silenzi, le su risposte evasive, diciamo pure le sue bugie dette per depistare i curiosi. Ci vorrebbero colonne di testo per ricordare tutte le vicende che hanno costellato i suoi lunghi anni di dirigenza. Giordanetti su tutti ricorda, con grande rammarico, gli acquisti sfumati di Meroni e Riva. Il primo era già bianconero, ma una sollevazione del popolo granata fece sfumare tutto; il secondo veniva trattato puntualmente ogni anno, con un rituale scontato, che si sapeva non sarebbe servito a nulla, perché Riva da Cagliari non si voleva muovere. E Benito Sarti? Divenne juventino per caso: l’obiettivo di partenza era Bernasconi, poi le trattative con i dirigenti liguri portarono all’acquisto del biondo terzino. Giordanetti trattò personalmente l’ingaggio di Nestor Combin, segnalato alla Juventus da Giulio Cappelli. Andò a prelevare il giocatore a Lione in gran segreto, ma al suo arrivo a Porta Nuova si trovò davanti í giornalisti.
Ma tornando indietro negli anni, Giordanetti ama ricordare altri due nomi prestigiosi per la storia della Juventus. Fu lui a caldeggiare l’acquisto di Muccinelli, giovane ala della Biellese, che si presentò al presidente Dusio in calzoncini corti come uno scolaretto e fu ancora Giordanetti ad accompagnare aTorino, quarant’anni fa, un certo Giampiero Boniperti, attaccante del Momo, che si presentò al provino a suon di gol e venne messo subito in squadra a furor di popolo. E le delusioni? Mezzo secolo di calcio non può aver riservato solo momenti piacevoli. La Juve, carica di scudetti e di coppe, ha attraversato anni bui. Ricorda Giordanetti: «Si partiva sapendo già che la stagione non avrebbe portato nulla di buono. Siamo sempre stati e siamo realisti, noi della Juve».


VLADIMIRO CAMINITI
Nella Juventus, Giordanetti è cresciuto senza cambiare, restando Giordanetti. Un dosato passo a seguire i magnati della società, a servire con loro la sua stessa passione. Uomo morigerato. Otto del mattino in fabbrica, otto della sera pronto a posare la testa sul cuscino. La Juventus come grande hobby, dove spremere qualità insospettate, di organizzatore e stratega, di malizioso conoscitore dell’animo umano.
I dirigenti vanno e vengono ed anche Giordanetti è passato di moda. Fino all’avvento di Boniperti è stato il factotum discreto della situazione tecnica, acquistava e vendeva, informatissimo informava i suoi magnati e dialogava al telefono con i giornalisti più potenti della piazza. Amicissimo di Gualtiero Zanetti dalla fervida mente politica si è eclissato praticamente assieme a lui con quelle interminabili telefonate. «Se debbo dire da quando sono juventino mi confondo...».
Sono nella bella casa del commendatore. «Ragazzo vedevo Karoly nel trenino che da Leumann mi portava a Torino per la scuola. Ed uno dei primi che conobbi fu Zambelli perché si direbbe che Zambelli nella Juve c’è stato sempre. Uomini di valore la Juventus ne ha avuti e ne ha tanti. Ad esempio, l’avvocato Tonino Scamoni è stato uno dei primi arbitri internazionali, segretario per molti anni della società, ed altri amici miei come Besozzi, o Schiapparelli, o l’ambasciatore Daneo di Briccherasio, e Guido Marchi, Giuseppe Grabbi, nazionale ai tempi del famoso 0-4 di Genova contro l’Austria, quando c’era Costa portiere, e Piero Gili, vecchissimo giocatore, l’ultimo dei dilettanti, e il notaio Giriodi e Rosetta, Maccagno, De Gasperi, ed Umberto Maggioli, Ettore Berra, Rangone, e Cocito, tutti questi sono stati amici miei perché amici della Juventus... La Juventus è piena di grandi personaggi: l’avvocato Craveri, il geometra Monateri, furono grandissimi, l’avvocato Tapparone, e Piero Dusio morto in Argentina, e il barone Mazzonis...».
«La Juventus di una volta... Oggi è cambiata, non le pare?»
«E chi può dirlo?! Per me non è cambiata. C’era anche Nino Levi, fratello di Cadetto Levi che ha portato nella Juventus Martino, Sivori, Recagni, c’è stato il fascismo, poi la guerra...».
«Ma questo inglese William Chalmers che allenò la Juventus nel ‘48-’49 che tipo era?»
«È stato con noi poco più di un anno. Era allampanato con due baffettini, istruttore atletico, direi un chiacchierone, si figuri che una delle sue frasi preferite era questa: di Mazzola in Inghilterra ce ne sono una dozzina. Detestava Muccinelli ed allenava Sentimenti IV perfino in treno...».
«Secondo lei gli allenatori sono determinanti per il successo di una squadra?»
«Debbono stare al posto che loro compete. Nessuno può negare che sia stato importante Carcano per la Juventus dei cinque scudetti, ma nessuno può negare, guardandolo con gli occhi dei tempi moderni, che fosse il classico praticone. Nella Juventus del ‘49-’50 fu realmente importante Carver, succeduto proprio a Chalmers, che se ne dovette andare perché non voleva compenetrarsi dei nostri sistemi e partecipare veramente alla vita della società. C’entrò anche la moglie. Lui era un inglese troppo d’un pezzo, ma fu uno dei creatori della Juventus che vinse l’ottavo scudetto. Però quella Juventus aveva giornate così radiose alle quali succedevano alcune così strane che si deve dire che prima di tutto la volle il presidente Gianni Agnelli coi suoi acquisti tutti indovinati, e poi il destino. Era un calcio diverso, fatto dai fuoriclasse. Essi andavano in campo e si divertivano. Divertendosi battevano tutti. E mi divertivo di più anche io, e ci divertivamo più di oggi, insomma il calcio in cui furoreggiavano questi stranieri era un divertimento collettivo... Gli allenatori comunque sono importanti. E nella Juventus hanno sempre potuto lavorare. Io ricordo con piacere Sarosi, bellissimo personaggio, un po’ troppo didattico e signore, "Ma non sa che mio marito è il Toscanini del calcio?", mi diceva sua moglie al telefono. Ma noi non siamo la Scala, risposi una volta io. E poi Puppo, l’allenatore del trapasso, fatto in casa, come i Garzena, Emoli, Dell’Omodarme, un filosofo era, era stato tanti anni in Cina, niente lo poteva turbare. Tutto avveniva perché era scritto...».

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