mercoledì 15 aprile 2020

Edoardo AGNELLI


Era stato eletto alla presidenza del Football Club Juventus – scrive il sommo Caminiti – dall’assemblea generale ordinaria del 24 luglio 1923 per l’annata sportiva 1923-24. Presidente: Agnelli avv. cav. Edoardo (per acclamazione), Craveri avv. Enrico, vice presidente; Zambelli Sandro, Collino Mario segretari; Scamoni avv. Antonio, cassiere; Vaudetti Amedeo economo; Ajmone-Marsan Sandro, Levi Cadetto, Monateri geom. Piero, Mondino dottor Achille, Pallavicino march. Ico, Turin Giorgio consiglieri; Daprà dott. Francesco, Levi Nino, Maffiotti Silvio, revisori dei conti. Commissione d’accettazione: Girardi dott. Piero, Besozzi avv. Angelo, Castoldi dott. Filippo, Durante prof. Domenico, Ferraris rag. Pio.
Rampollo di una famiglia che moltiplicava i propri beni al servizio del paese, Edoardo veniva considerato di un carattere affatto moderno rispetto al padre Giovanni fondatore della Fiat, uomo piuttosto rigido che si rabboniva quando vedeva la nuora e finalmente si decideva a mettersi a tavola coi nipoti imbronciati e già pronti a ridere nella magione torinese dai lunghi corridoi e le stanze fredde e severe.
Con Edoardo, la Juventus si configura società-guida del caldo italiano; si organizza, esprime un discorso amoroso perciò possessivo nei rapporti con i calciatori; comincia il tempo dei mecenati, ma anche dei dirigenti (Mazzonis), la potenza della Fiat che ha fatto di Torino la città della speranza in un momento assai travagliato della vita del paese (Benito Mussolini presidente del consiglio viaggia in Fiat limousine) è la potenza della Juventus che al campionato aspira con i diritti della classe.
Non è facile, per il momento; l’impegno dei dirigenti si corona alfine in una formazione abbastanza valida, il secondo scudetto arriva ufficialmente il 22 agosto 1926: Alba-Juventus 0-5, a Roma è un’esibizione scintillante: tre goal di Pastore, uno di Munerati, uno di Hirzer; nelle due partite della finalissima, l’Alba ha incassato 12 goal mettendone a segno appena uno. La Juventus ha perso da pochi giorni il suo patetico allenatore Jeno Karoly, stroncato da un infarto alla vigilia del terzo match consecutivo col Bologna (2-1 a Bologna, 0-0 a Torino, 2-1 a Milano), la sfida che aveva risolto il campionato.
Edoardo si diverte. Egli riceve le Patronesse Promotrici – solo quelle belle – nella sede di Via Carlo Alberto 45, 1° piano, dove oggi è il Cinema Corso, ride civettuolo, acconsente con voce carezzevole su argomenti della vita mondana; firma ogni documento che gli viene sottoposto; ascolta con un sorrisino le confidenze del vice presidente avvocato Enrico Craveri; finge indignazione alle scappatelle di Hirzer ed approva le multe ed i provvedimenti disciplinari; piuttosto portato a premiare, ad approvare, ad applaudire, Edoardo rappresenta, dietro la sua scrivania, inappuntabile con cravatta e fazzoletto bianco al taschino della giacca, l’emblema della nascente potenza della Juventus.
Non si intende specialmente di calcio, coltiva le due passioni della famiglia e del ruvido generoso papà: automobilismo e aviazione. Di questo è orgoglioso, come lo è dei figlioli, che crescono turbolenti tra capricci di ogni genere. Gli Agnelli esprimono distacco dall’aristocrazia titolata ma non dalla realtà politica e sociale del paese. Il senatore Giovanni è vecchio, ha fatto tanto ed aspetta di vedere all’opera gli eredi; ha acconsentito al fascismo per dovere e opportunismo. La Fiat ha staccato gli ormeggi e naviga nel futuro, garantita dal proprio lavoro che ha una dimensione affatto nuova. E la Juventus squadra è stata patrocinata dagli Agnelli al servizio del futuro: perché il calcio aiuta il lavoro e attiva il progresso e il benessere con il sogno dell’automobile.
È lo stesso presidente ad occuparsi e preoccuparsi dello spettacolo. Vuole saper tutto: l’avvocato Craveri con voce stentorea lo tiene aggiornato ma non è soddisfatto finché della squadra non si occuperà Mazzonis. Frequenta la sede e uno per uno gli vengono presentati i giocatori più importanti con i quali si intrattiene ed ai quali regala smeraldi e orologi d’oro. Gli piace il carattere di Combi e ne parla entusiasta a Scamoni, il cassiere, un omino allampanato che cerca di farsi coraggio con un virile paio di baffi.
La Juventus società di questi anni non è più tra sogno e realtà, non è più dilettantistica, è professionistica anche per opporsi al Torino proletario, con il suo gioco garibaldino al quale dà praticità l’euclideo Baloncieri e fantasia lo sprecone Libonatti.
Edoardo capisce che gli interessi della Fiat passano pure dai piedi di questi tipotti dalle robuste cosce che alla domenica fanno ammattire i suoi operai. Bisogna rinforzare la squadra perché nasca l’invitto squadron, tuona Craveri; Edoardo sorride. La Juventus ha un portiere di classe in Giampiero Combi; ha il maestrino Rosetta che sfoggia precisione e stile negli intercettamenti; ma qualcosa dalla metà campo in su è farraginoso. Bisogna rinnovare. Cevenini III è impagabile per i suoi scherzetti con il pallone, è l’unico che fa ammattire Combi in allenamento, ma è troppo matto e logoro. Libonatti e Baloncieri del Torino giocano a memoria e segnano una valanga di goal.
La domenica, il calcio scopre e conquista; c’è il Bologna «che tremare il mondo fa». Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio è divenuto il bolognese Leandro Arpinati, fedelissimo del Duce al quale non si genuflette; volendo conservare la propria autonomia e, forse, aspirando intimamente a succedergli. Nel settembre del ‘29, Arpinati è, dopo il Duce, come sottosegretario di Stato agli Interni, il secondo uomo politico italiano. Dal ‘27 è il proprietario del quotidiano «Resto del Carlino» di Bologna, lasciatogli proprio da Edoardo Agnelli che gli ha fatto dono della maggioranza delle azioni. In realtà, Arpinati coi suoi modi rozzi ma leali, cercando di opporsi alla esplosiva dittatura, piace ad Edoardo, che si rende conto degli infiniti pericoli che corre il paese verso i prodigiosi ideali della romanità.
Per Edoardo, un modo di arricchire la pace, la liberalità, la vita del popolo, è la squadra di calcio: nell’estate del ‘29, in Riviera, conosce un messere tutto muscoli, che beve whisky ma non fuma, uno scozzese di Edimburgo, ex calciatore nei Rangers, mediano e mezz’ala che si definisce insegnante mondiale di football e di golf. Ambedue queste cose interessano Edoardo, passa un mese passa un altro e il mister viene presentato all’assemblea dei soci come allenatore della prima squadra per la stagione 1929-30.
È giunto il momento del terzo scudetto?
Bisogna avere pazienza, nel calcio non si improvvisa, la Juve del primo campionato a girone unico vinto dall’Ambrosiana di balilla Meazza, ha quasi tutto, ma non tutto; intanto, Aitken piace ad Edoardo ma non a Mazzonis e ai giocatori: il sistema inglese del mister fa a pugni con il metodo italico, dei Rosetta e Caligaris all’occorrenza micragnosi attaccabrighe, i quali si organizzano secondo istinto e non vogliono correre più del necessario.
È già una bella Juventus, a parte le polemiche sulla tattica, ha un trio di difesa, con Combi Rosetta e Caligaris, che teme pochi confronti, una mediana adamantina con Varglien I e l’ungherese Viola, il quale ad un giornalista che lo accusava in un articolo, di scarsa serietà atletica, gridò (traduco): «Scribacchino, sappi che io vivo la mia vita solo per il calcio!». Ha i Sanero, Caudera, Zanni e il pisano Merciai dal lungo naso. Ed ha la carta di Viareggio sugli oriundi dalla sua, come è vero che all’ala sinistra gioca il fenomenale Raimundo Orsi detto Mumo, e lo spettacolo può cominciare, anche Edoardo è attratto, questo gaglioffo segna direttamente dalla bandierina del corner, ha tanta gloria argentina alle spalle, quando sbarca a Genova, si vede un gran cappotto e nient’altro, ma dentro il cappotto sta il prodigio, due occhi di topo che ha fame e due guance smunte. Provvederà l’Italia fascista a rimpinzare Orsi come un pascià. Edoardo, intanto, gli accorda centomila lire di ingaggio, otto mila lire di stipendio mensile e gli regala una Fin 509. In pochi giorni, Raimundo riemerge dalla desolazione. Lo stadio si riempie per lui.
L’alessandrino Carcano viene ad allenare la squadra ormai matura per il terzo scudetto, il primo della serie di cinque, che si collega ad Edoardo mecenate. Bisogna fare presto, Edoardo non vivrà molto, non ha tempo da perdere. I suoi figli crescono fantasiosi, Susanna, Gianni, Umbertino, sono ragazzi innamorati del mondo. 1930-31, girone unico a diciotto squadre, Agnelli assiste a quasi tutte le partite, nel barone Giovanni Mazzonis, uno dei ragazzi del D’Azeglio, che è successo all’avvocato Craveri come vice presidente, ha il collaboratore agguerrito nel regolamento, l’animatore della pattuglia, dalla grande personalità, suo ideale rappresentante. La Juventus di Combi, Rosetta, Caligaris, Varglien II, Varglien I, Barale, Munerati, Cesarini, Vecchina, Ferraris, Orsi ed anche di Mazzonis, sfreccia con 55 punti, a 51 è rimasta la Roma ed a 48, lontano, il Bologna.
Lo stesso giorno in cui la Juventus, facendo 1-1 a Livorno, sancisce il suo terzo scudetto, in Spagna le elezioni vengono vinte dai repubblicani socialisti.
A New York è stato inaugurato il grattacielo più alto del mondo: l’Empire State Building di 381 metri. In Italia, le grandi manovre aeree chiamano la gente sulle tegole dei palazzi, nuvole di finti gas tossici calano sulle città, si fanno le grandi manovre della pazzia. Al Teatro Comunale di Bologna, il 14 maggio, il maestro Toscanini è aggredito da tre giovinastri in camicia nera e schiaffeggiato, perché si rifiuta di fare eseguire l’inno nazionalfascista. Guidati dal loro Duce, gli italiani hanno scoperto la grandezza monumentale e rapsodica della patria ed hanno perso la testa.
La squadra nomata Juventus consola gli italiani.
Il quotidiano torinese «La Stampa» dedica alla Juventus parole gonfie di retorica.
«Anni ha durato la fatica per costruire la squadra classica e per darle una fisionomia tecnica. Si gettarono le basi della sua inquadratura nel 1928; si lavorò con amore e tenacia attorno all’organismo nel 1929 e nel 1930, ma non fu che nel 1931 che esso poteva esser compiuto saldo e snello nella sua struttura, pronto e temprato ad ogni attacco».
Sembra un bollettino di guerra, ma è lo stile che il Duce del fascismo esige, anche le scritte sui muri delle case sono egualmente risonanti. E risuonano i cantieri e si prepara l’immancabile guerra e siamo tutti orgogliosi di essere italiani ed anche gioiosi: «da allora la bella creazione dei dirigenti, affidata alle sapienti mani di Carcano, crebbe in potenza, resisté in qualche reparto al peso degli anni, si rinfrescò e ringiovanì in altro, e sempre tenne una linea agonistica e tecnica sul campo che da folle ed avversari dovunque le conquistò simpatia ed ammirazione».
Tutto ciò è anche vero, ma bisogna intendersi. Non c’è niente di leggendario, semmai è grandezza di uomini, maggiore arte dei giocatori con la maglia bianconera. Intanto, bisogna smentire la sapienza calcistica delle mani di quel bravuomo di Carlo Carcano l’allenatore. Si dice che fossero mani sapienti in manipolazioni diverse. In verità, la Juventus ha un mecenate la cui guida è lieta e virtuosa, uomo sopra la mischia, sportivo in senso eccentrico, eccentrico la sua parte, un carattere cavalleresco di chi crede nella bontà, un idealista con sangue plebeo nelle vene.
La Juve vince e comincia a galoppare nei miti di una stampa oltremodo bugiarda.
Il fascismo detta ordini, amministra direttamente i giornali, Emilio Colombo e Cesare Fanti, tra i promotori del giornalismo sportivo in Italia lasciano indignati il consiglio d’amministrazione della «Gazzetta dello Sport» nel 1927. Presidente del consiglio d’amministrazione del quotidiano rosa diventa il fratello del ministro Finzi.
Lo sport è vita, giovinezza e libertà, i giornalisti sportivi fioriscono. Il presidente della Juventus ama l’aviazione e frequenta con assiduità quel bellissimo guascone di Arturo Ferrarin, l’asso di guerra. Gli anni sono passati, è il luglio del 1935.
Giorgio V da un quarto di secolo è re d’Inghilterra. Nel suo viso affilato e macerato balena il dramma di Amleto. Enrico Comici scala le grandi montagne. Il Duce del fascismo dichiara guerra all’Etiopia e i legionari d’Italia passano il confine eritreo. La Società delle Nazioni dichiara l’Italia stato aggressore e il 18 novembre decreta sanzioni economiche contro l’Italia per fronteggiare le quali l’impareggiabile romagnolo si appella al popolo. I nostri padri salgono l’Altare della Patria e vi depongono anelli e catenine d’oro. È una generale corsa all’impoverimento vibrante di ingenui sdegni che ineluttabilmente trascinano verso l’abisso.
Edoardo non vede tutto questo, non vedrà i bombardieri americani radere al suolo la sua bella Torino.
Niente succede per caso. La ridente amicizia con Ferrarin è segnata da un crudele destino. Edoardo a tavola con i ragazzi si dichiarava fiero del suo hobby: «Su un aereo Fiat, e Ferrarin pilota, sono pronto a volare da qualsiasi parte».
Gianni rideva, Susanna non parlava.
Il primo mecenate del calcio muore stupidamente, la morte è la cosa più stupida come negazione della vita.
L’aereo, un monoplano leggero come una libellula, un Savoia Marchetti, aveva appena ammarato nel porto di Genova. Un grosso tronco di legno vagante improvvisamente lo colpì ad un fianco e lo rovesciò.
Edoardo stava in piedi, per il contraccolpo cadde contro l’elica che gli scoperchiò la testa.

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