sabato 18 maggio 2024

Patrice EVRA


Patrice Evra è un nuovo calciatore del Marsiglia – si legge sulla pagina Facebook de “La maglia della Juve” del 27 gennaio 2017 – la società e gli ex compagni di squadra lo hanno salutato in queste ore anche attraverso i social (fra qualche anno, un tweet sostituirà definitivamente una stretta di mano: o no?). Arruolato da Madama per poco più di un milione di sterline nel luglio del 2014, Patrice parte piano per poi crescere di rendimento gara dopo gara.
Non è più quello dei migliori anni allo United, quando nel ruolo aveva pochissimi rivali al mondo, ma pur con pochi slanci è un elemento affidabile. Non perde occasione per manifestare il suo amore per la Juve, l’attaccamento ai colori bianconeri, l’apprezzamento verso il calcio italiano.
Sembra uno cresciuto nelle giovanili della Vecchia Signora. Allegri, durante la scorsa stagione, lo manda in campo spesso e volentieri nonostante la concorrenza del neoacquisto Alex Sandro. In coppia con Cuadrado, perché il tecnico bianconero non prevede due terzini di spinta contemporaneamente in campo. È fra quelli che, dopo la sconfitta con il Sassuolo, contribuiscono alla rinascita della squadra: rinascita tecnica, tattica, soprattutto psicologica.
A Monaco, contro il Bayern, la Juve esce dalla Champions League: a pochi secondi dal 90’, con i bianconeri in vantaggio per 2–1, Evra si trova fra i piedi un pallone che scotta: non rilancia, prova a gestirlo in proprio. I Bullen recuperano e vanno in goal, creando le basi per il passaggio del turno. La Juventus passa da una qualificazione storica a un’eliminazione bruciante. Al francese, quell’errore verrà puntualmente rinfacciato, ironizzando sulla sua eccessiva attenzione alla comunicazione. Quando vinci puoi tutto, quando perdi no: antico adagio.
L’ultima avventura di Patrice in maglia bianconera comincia in tono minore: Alex Sandro si ritaglia un posto da titolare fisso. L’eterno ragazzo di Dakar viene gettato nella mischia dal trainer livornese in Supercoppa, quando l’omologo brasiliano deve abbandonare il campo per infortunio. Il nostro vacilla, e Suso, al suo cospetto, diventa più grande di quello che è.
Dopo quell’incontro, qualcosa si rompe. Se non c’è Alex, stiamo a vedere se Asamoah si è finalmente svincolato dai guai fisici. E qualora il ghanese non riuscisse a giocare due partite consecutive di buon livello? Aspettiamo Mattiello, il ragazzo prima o poi dovrà interrompere la sua relazione con la malasorte.
Con la maglia della Juve, Patrice Evra ha collezionato ottantadue presenze condite da tre reti. Fra qualche anno, i sostenitori della Vecchia non ricorderanno il suo nome con un sorriso carico di nostalgia. L’impressione è questa.


GIACOMO SCUTIERO, DA JUVENTIBUS.COM DEL 10 GENNAIO 2017
Non sappiamo se Allegri ha fatto quel che fece due anni e mezzo fa Van Gaal: chiamare Evra per convincerlo, per tentare la trattenuta. All’epoca dell’addio ai Red Devils, Patrice è corteggiato anche dall’Inter, in barba ai media che gli destinavano “ex giocatore” e “rincalzo” a più non posso; viene da due stagioni nel suo Manchester United con ottantasette gare all’attivo e ottantotto minuti medi in campo per ogni gettone di presenza, nella seconda delle due stagioni è ancora il primo difensore della squadra per recuperi palla. Più titolare di così... Tanto da meritarsi appieno dal club il bonus fedeltà di due milioni di euro, a fronte di otto anni di onorato servizio. Fatto il cappello, vado sul personale.
Quando penso a Evra, il primo attributo che balena è avveduto. Paradossale per tutti quelli che gli danno del fesso quando a diciassette anni sceglie Marsala (ventisette presenze e sei reti in una stagione) e la Serie C invece dello stage al nobile Torino. Se Patrice Evra sbarca a Torino, molto del merito pare sia di Antonio Conte: «Mi volle a tutti i costi». Conte, che dopo pochi giorni scappa dal ritiro per far posto ad Allegri. Finisce comunque nel pezzo di “Tuttosport”: dopo tre mesi di Juve, «Evra non decolla e alla società costa otto milioni annui... Meglio Padoin». A proposito di giornali, il francese è uno dei pochi esempi di calciatore che rilascia interviste franche e interessanti. Dopo Juve–Monaco, quarti di quella Champions goduta fino alla finale, confessa di aver «percepito molta ansia nei compagni (la squadra sbaglia una montagna di passaggi)». Arriva Berlino e lui non vuole sentire ragioni sul Barcellona imbattibile: «Chi pensa questo, lo dica al mister e stia fuori».
Dunque, preteso da Conte e innamorato di Allegri. Descrive Max come un tecnico raro, perché capace di inventare sempre qualcosa che fa la differenza. La lode più sperticata fa riferimento al dopo Dortmund: «Tutte le cose che illustrò sul Borussia le ho riviste in campo. Incredibile, non mi era mai capitato con un allenatore». Lui, che allenatore sarà, Ferguson et orbis dicunt. Sir Alex conosce bene il calciatore e l’uomo: «Sa parlare alle persone, ha carisma nel trasmettere la sua passione agli altri». Trasporto che a Torino assimila da capitan Buffon: «Vinciamo comunque»; titubava per lo shock post Conte, lui cui era andata malino con Moyes a Manchester. Assimila bene il nostro, perché uno dei più netti colpi d’orgoglio post Sassuolo (Juve quindicesima in classifica) è roba sua. Insomma, ragazzi, normale buttare un campionato così? Con tutto il rispetto per Fiorentina, Inter (in testa in quel momento)...
La seconda stagione è di alto livello, benché il leitmotiv fu, è e sarà il mancato calcio al pallone di Monaco di Baviera. Gli ultimi giorni del 2015 scrissi che Alex Sandro avrebbe dovuto “sopportarlo”, perché Zio Pat performava da ventenne con la saggezza del quarantenne (e aggiunsi che, però, il titolare dell’anno successivo sarebbe stato senz’altro il brasiliano: la parabola era sotto gli occhi di tutti). Avveduto, ho scritto. E concentrato. E professionista. Qualità ben rappresentate dalle immagini.
Di Evra conservo tante cose belle, quasi esclusivamente quelle belle. E comunque pregne, intrise di significato. Trascendendo dalle cose di campo, non si può dimenticare l’endorsement al calcio italiano: «Chi lo critica, spero venga a giocare qui. In Inghilterra si fa boxe, qui c’è intelligenza e talento». Come sarà impossibile scordare il suo turbato possesso palla al contempo dell’attentato a Parigi. La partenza nel mercato di gennaio è un fulmine a ciel sereno: non pronosticabile, non spiegabile se non a posteriori. Sapremo. Per ora viviamo nella coscienza che la sua esibizione 2016–17 non è congrua a quella 2015–16. Ciò non cancella il biennio e la carriera tutta. E la persona, semplicemente meravigliosa.

Il suo saluto: «Per dire la verità non è stata una scelta facile. Infatti, sono andato via ed io stesso non me lo aspettavo. Quando sono arrivato dopo l’Europeo sono arrivato molto carico e con tanto entusiasmo. Infatti, avevo fatto dei video nei quali dicevo: “Dobbiamo vincere la Champions”. E veramente era questo il mio obiettivo. Quando abbiamo iniziato la stagione la prima partita non ho giocato, la seconda partita non ho giocato, la terza non ho giocato... E siccome sono uno molto educato e non mi piace litigare con nessuno ho solo detto al mister: “Ho voglia di giocare”. È lui mi ha detto: “Pat non ti preoccupare che c’è la Champions”. Allora alla fine anche i miei compagni mi prendevano in giro e mi dicevano che ero un uomo da Champions. Però una partita al mese e a me non mi conveniva più. Dopo le vacanze e la sosta di una settimana lì ho sentito che non ero più felice. La gente può dire che è una scelta egoista. Però preferisco essere onesto con me stesso e andare via. Invece che arrivare all’allenamento e non essere concentrato e non essere al massimo per la Juve. Io ho detto: “Alla Juve devi essere al 100% e se sei solo al 90% non basta”. Io sono fatto così. E infatti per non fare questo alla Juve, perché rispetto tanto tutto quello che mi hanno dato (perché infatti faccio questa intervista perché voglio ringraziare delle persone come Marotta, Paratici, il presidente Agnelli e Pavel Nedved) è veramente una società di gentleman. Perché hanno capito e mi hanno lasciato andare. Erano anche loro amareggiati, però alla fine mi hanno capito e hanno capito che con Pat o sei al 100% o se no lo perdiamo. Allegri? Io per il mister ho una grande stima. Infatti, mi ha fatto un po’ male quando la gente ha detto che sono andato via per colpa di Allegri. Abbiamo parlato e lui per me è un grande allenatore e me lo ha dimostrato due anni fa contro il Borussia Dortmund. Aveva fatto una presentazione della partita che quando sono arrivato a Dortmund, era la prima volta che mi succedeva, che tutto quello che lui aveva detto l’ho rivisto il giorno della partita. È uno molto positivo, non gli piace lo stress. Lo vedo bene in Inghilterra, perché io ho sempre detto che in Inghilterra mancano di disciplina tattica. Per questo un allenatore italiano è fondamentale. Lo abbiamo visto con Ranieri e adesso con Conte. Secondo me il Chelsea vincerà il campionato. Se va il mister non vedo perché non dovrebbe fare bene». 

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