giovedì 25 ottobre 2012

Mario FRUSTALUPI

Nasce a Orvieto il 12 settembre 1942, da una famiglia numerosa composta da otto figli, cinque femmine e tre maschi. Mariolino, come è soprannominato in famiglia e tra gli amici per il suo fisico mingherlino, a sei anni è già un idolo e spesso i militari lo chiamano per fare numero. Entra nella squadra dell’oratorio e poi comincia a giocare in quella della sua città, l’Orvietana. Tifoso interista, da piccolo si presenta ad un provino per la Lazio. È piccolo di statura (1,66 m. per 66 kg.), poco rappresentativo e con un fisico striminzito. Alla fine della prova l’allenatore Bernardini gli dice: «Ragazzo mio, tu non vai. Sei troppo piccolo, fragile. Ripassa, per favore».

Frustalupi avrà modo di farlo ricredere più avanti, quando lo ritroverà come allenatore a Genova. Lo stesso gli dirà poco tempo dopo l’allenatore del Milan Gipo Viani. A sedici anni e mezzo, dopo un provino di 20 minuti sul campetto di Cornigliano, viene invece preso dalla Sampdoria.
Dopo tutta la trafila nel campionato Primavera e De Martino e dopo una parentesi nel 1962 all’Empoli in Serie C per farsi le ossa, nel 1963 torna sotto la Lanterna. Vince con la Sampdoria il Torneo di Viareggio dove si mette in luce.
Un mese dopo debutta in prima squadra contro il Torino, 4-2, segnando un goal. Gioca otto stagioni consecutive con la Sampdoria, in questo periodo conosce la moglie Carla mentre assiste ad una gara di sci. Nell’estate 1970 viene richiesto da Juventus, Milan ed Inter: quest’ultima riesce ad aggiudicarselo. 
Con i neroazzurri di Invernizzi non è un anno del tutto felice, gioca 18 partite, deve fronteggiarsi con l’ombra di Mariolino Corso, siede in panchina e rimugina gli umori neri dell’escluso. Perché è un talento che non si impone ma vien fuori alla distanza, ha bisogno di soffrire la vittoria, di scucchiaiarla a fatica dalle avversità della vita. È ciò che gli offrirà la Lazio. L’Inter nell’estate del 1972 lo cede ai biancocelesti in cambio di Massa e di un conguaglio di 400 milioni di Lire.
Frustalupi arriva alla Lazio all’età di trentadue anni ed al posto dell’idolo Massa, tanto basta ai tifosi per accoglierlo freddamente.
«È vecchio, verrà qui a svernare per poi attaccare gli scarpini al chiodo», dicono i sostenitori biancocelesti infuriati con il presidente Lenzini e molto diffidenti. L’unica cosa che piace ai sostenitori laziali è il suo cognome, che nella rivalità cittadina è tutto un programma. Dopo il ritiro a Pievepelago va ad alloggiare temporaneamente alla pensione Paisello ai Parioli. 
La nuova squadra non gira, lui gioca male e non si adatta ai nuovi schemi scontrandosi spesso con Re Cecconi a centrocampo. Si sente un pesce fuor d’acqua, si trova a disagio con i nuovi compagni e non ne condivide certe idee nonché la passione per le pistole. Le prestazioni in Coppa Italia aumentano le critiche e anche l’allenatore è messo in discussione ed a rischio esonero. Frustalupi non lega con nessun clan, va avanti per la sua strada cercando di uscire dal tunnel prima dell’inizio del campionato per dimostrare all’Inter, ma anche a se stesso, che può ancora avere un ruolo da protagonista. 
Per capirne meglio il carattere si riporta quanto confessa al giornalista Franco Melli: «I giocatori di calcio, i cosiddetti eroi della domenica, sono in realtà eterni bambini, bisognosi di sentirsi importanti, indispensabili, scrutati con attenzione e con affetto. Anch’io, a forza di stare nel giro, ho assorbito in parte i principali difetti della categoria. A Milano, in panchina, mi annoiavo. È brutto guardare giocare gli altri, i coetanei, i più giovani, i più anziani. È triste sentirsi esclusi: il mondo ti crolla addosso nell’istante in cui il tecnico comunica la formazione senza scandire il cognome che vorresti. Non dare retta a chi assicura d’aver sempre atteso con santa pazienza il proprio turno. le riserve, in qualsiasi organico, si sentono dannati all’inferno, reprobi prigionieri dell’iniquità. Semmai, dal lunedì fino al sabato, io riuscivo a non portare rancore ai miei giudici occasionali dell’Inter. Cercavo altri interessi, invitavo a casa gli amici, mi imponevo di dimenticare il responso della maledetta domenica».
Intelligentemente, Maestrelli opera alcune modifiche, arretrando Re Cecconi ed affidando la regia del gioco a lui, e la Lazio comincia a giocare con disinvoltura affrontando le grandi squadre da pari a pari. Frustalupi fa capire al pubblico laziale, presto ricredutosi su di lui, di avere i piedi ed il cervello del grande giocatore.
Il campionato 1972/73 vede i biancocelesti giocare un calcio divino e letale per le avversarie. I laziali vanno addirittura in testa e, seppure con un piccolo calo nella parte centrale del campionato, infilano 8 vittorie consecutive. 
Frustalupi è sempre tra i migliori, non salta una gara ed è addirittura osservato per la Nazionale, anche se chiuso da mostri sacri come Mazzola e Rivera. Bernardini, futuro Commissario Tecnico della Nazionale, disse: «Frustalupi è un giocatore che usa piedi e cervello o meglio cervello e piedi, e che quindi non deve faticare tanto a giocare, perché è intelligente».
La Lazio sfiora lo scudetto, perduto negli ultimi minuti dell’ultima giornata di campionato. Frustalupi è ormai un idolo dei tifosi, che ne apprezzano la serietà e la visione di gioco che in campo illuminano la squadra. Segna anche due reti.
L’anno seguente, quando tutti non davano i biancocelesti tra i favoriti, la Lazio conquista il suo primo scudetto. Frustalupi è la mente del gioco della squadra, trascina alla vittoria i biancocelesti  in molti occasioni. È sempre presente ed esce dal campo ogni volta esausto dopo aver dato tutto sé stesso nella gara: in campo infatti sa prendersi tutte le responsabilità, contro chiunque. Diviene Campione d’Italia da grande protagonista ad un’età dove molti suoi colleghi hanno già da tempo preso il viale del tramonto.
Mario Corso dopo lo scudetto afferma: «Quando Frustalupi venne ingaggiato dalla Lazio, io ho sostenuto che quello sarebbe stato, a lungo andare, il più importante colpo del mercato. Adesso credo che siano tutti a darmi ragione. Ma io non sono un indovino, sono uno che il calcio lo conosce abbastanza per poter definire Frustalupi un campione».
Dal suo canto Frustalupi si diceva invece «contento di non essere un campione, un bambino prodigio alla Rivera o alla Mazzola. Loro hanno dovuto difendere per anni una reputazione da fuoriclasse. È difficile e logorante. Io sono cresciuto piano piano ed ho avuto meno stress. Durerò molto più a lungo».
Aveva sempre voglia di scherzare, anche con i tifosi al campo d’allenamento: «Ridete oggi che piangerete domenica», diceva loro.
Nei rapporti interni aveva carisma e non si intrometteva nelle faide tra clan di quella squadra di uomini scalmanati e spesso, grazie alla sua capacità di sdrammatizzare, era colui che spegneva i contrasti con la sua consueta ironia.
L’anno seguente, la Lazio, dopo un’iniziale partenza lanciata, si perde, anche per via della malattia dell’allenatore che sconvolge gli equilibri della squadra. Lenzini, mal consigliato, prese l’allenatore Corsini che l’obbligò a stravolgere la squadra dando a Frustalupi il benservito ritenendolo ormai un calciatore al tramonto.
Frustalupi va al Cesena, una provinciale al suo secondo anno nella massima serie, in cambio di Ammoniaci e Brignani. Una decisione decisamente contrastata da Maestrelli ed un grosso errore che costerà caro alla Lazio e farà la fortuna del Cesena. Grazie proprio a Frustalupi, Cera e Rognoni ed all’allenatore Marchioro, il Cesena si piazza al sesto posto, conquistando così una storica qualificazione in Coppa Uefa. La Lazio invece riuscirà a salvarsi soltanto all’ultima giornata di campionato.
Nella provincia romagnola, Frustalupi sembra rinato per l’ennesima volta. Gioca a livelli eccelsi, incantando le platee e divenendo un idolo anche per i tifosi bianconeri. Prima della gara di ritorno contro i biancocelesti è al centro di uno spiacevole episodio che per poco non costa caro alla Lazio. Infatti i dirigenti laziali, prima dell’incontro, ingenuamente vogliono saldare delle pendenze con lui ed Oddi riguardanti le stagioni trascorse in biancoceleste. La faccenda viene scambiata per un tentativo di illecito e finisce sotto l’occhio del ciclone.
Fortunatamente la Procura Federale capisce che si trattava solo di soldi arretrati ed assolve tutti, ma la leggerezza poteva costare il deferimento al giocatore e la retrocessione a tavolino ai laziali. Purtroppo nella stagione 1976/77 il miracolo non si ripete ed i romagnoli, fanalino di coda della classifica retrocedono tra i cadetti.
Il Cesena decide di cederlo nell’ottobre del 1977 alla Pistoiese. Alla vigilia del suo esordio però ha un incidente muscolare ed, amareggiato e consapevole di non poter giocare per diversi mesi, si presenta dal presidente Melani per ringraziarlo della fiducia e rescindere il contratto con la motivazione che i soldi voleva guadagnarseli. Alla fine però, sulla fiducia rinnovata del Presidente, resta e con gli “Arancioni”, alla terza stagione, conquista la prima storica promozione in serie A per i toscani.
E così il buon vecchio Frusta si ritrova a trentasette anni, da capitano, a giocare in serie A la stagione 1980/81 e ritrova la sua terza giovinezza. Un altro miracolo nel carniere del nonnetto Mario, che saluta il calcio inaugurando gli anni ottanta alla guida degli “Arancioni”, assieme a Rognoni e Lippi, siglando la sua ultima rete della carriera in Pistoiese-Avellino 2-1.
La squadra retrocede subito, ma lui è sempre tra i migliori in campo. Soltanto un giorno, in una partita contro il Catanzaro, lui, così mite e dal carattere accomodante, perde le staffe: prima di un calcio di punizione si mette a contare i passi che dividono il pallone dalla barriera, litiga con l’arbitro e viene espulso rimediando 6 giornate di squalifica dal Giudice Sportivo. A questo punto capisce che la sua carriera è finita e si ritira.
Continua però a vivere nel mondo del calcio e lavora nella società toscana come dirigente ed osservatore. Si mette a insegnare calcio ai giovani ed allena la squadra Primavera giocando spesso con i ragazzi nelle partite di allenamento. L’allenatore della prima squadra, Riccomini, lo vorrebbe reinserire in rosa, ma lui resiste alla tentazione. Dopo quell’esperienza sulla panchina prova ad allontanarsi dal calcio e a dedicarsi all’altra sua grande passione, le auto.
Apre una concessionaria Lancia nella zona industriale di Pistoia, a Sant’Agostino. Poi si butta nel campo delle assicurazioni ma capisce presto di non essere un uomo da scrivania. Eppure alla fine torna alla Pistoiese, che dopo il fallimento si chiama Nuova Pistoiese, per finire proprio dietro ad una scrivania. Diviene infatti il presidente della squadra toscana ma già dopo un anno, stufo di giacca e cravatta, si riavvicina al campo da gioco come direttore sportivo.
Il 14 aprile 1990, mentre raggiungeva la famiglia in vacanza per la Pasqua a bordo della sua Lancia Thema, perse la vita in un tragico incidente stradale presso Ovada. La dinamica non fu mai chiarita, forse il guidatore della Golf che lo travolse perse il controllo dell’auto per la pioggia o per evitare un’altra auto o nel tentare una manovra spericolata: ad ogni modo quel veicolo finì sulla carreggiata opposta schiantandosi contro la Lancia di Mario.
Assieme a lui perirono altre quattro persone, la famiglia Crivellari a bordo della Golf. Ci vollero ore per estrarlo dalle lamiere della sua auto andata in fiamme dopo l’urto. Fu un trauma per tutti i suoi amici e compagni di carriera che lo avevano sempre stimato ed apprezzato oltre che per la giovane moglie rimasta vedova con due bambini.
Un altro pezzo di quella Lazio del primo scudetto che se ne andava come per una maledizione.


tratto da: http://www.storiedicalcio.altervista.org/index.html

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