sabato 15 febbraio 2020

Nicola CARICOLA


Fino a poco tempo fa cantava «Non ho l’età» – scrive Marco Montanari sul “Guerin Sportivo” del 6 luglio 1983 –, ma lo faceva più per timidezza che per altro. Adesso il motivetto è cambiato, va di moda «Non voglio perderti», una canzone che negli spogliatoi della Juventus si sente a tanto tempo, da sempre. Il calciatore-cantante in questione è Nicola Caricola, di Bari, l’ultimo «sfizio» di Madama. Le Signore, si sa, sono capricciose, vogliono sempre il meglio. E Nicola, nel suo campo, è il meglio o quasi.
Vent’anni, fisico scattante, titolare della Nazionale Juniores prima e della Under 21 poi, quest’anno ha conosciuto l’onta della retrocessione in Serie C col suo Bari. Ma – a detta di tutti – lui dal naufragio si è salvato. «Continua a fare il tuo dovere, mi diceva il presidente Matarrese, e vedrai che sarai ripagato di tutto. Ecco, adesso ho la prova che seminando bene si raccoglie sempre, anche se per me si è trattato di un raccolto particolarmente... abbondante». Nicola è fatto così: modesto, serio, onesto. Soprattutto onesto. Con se stesso e con gli altri. «Pensa che Radice non mi ha fatto giocare l’ultima partita, quando eravamo retrocessi matematicamente, perché temeva che non ne avessi voglia. Io invece avrei fatto di tutto per giocare ancora davanti a quel meraviglioso pubblico che mi ha sempre voluto bene e che si trova in Serie C solo per colpa nostra».
Nicola è nato a Bari il 13 febbraio 1963. Il padre è autista dell’Amet, la madre casalinga. Ha cinque fratelli, lui è il più piccolo della famiglia. A proposito dei fratelli, una curiosità: tre di loro hanno tentato la via del calcio. «La palla di cuoio per noi Caricola è una specie di droga. Michele fa il vigile urbano ma è tesserato per il Carovigno, una squadra che gioca in Promozione; Marcello gioca nel Noci (Prima Categoria); Carmine ha disputato l’ultimo campionato di Serie C1 col Piacenza. Poi ci sono io. E, visti i risultati, sembra proprio che gli ultimi siano davvero i primi...». Il rione Madonnella, quello che vide i primi calci di Nicola, è un grande serbatoio di talenti calcistici. «Gli ultimi in ordine di tempo a venir fuori dai vicoli della Madonnella siamo stati io e Tavarilli, sai, quel ragazzo che andava fortissimo e che poi ha conosciuto tante traversie».
Ma la prima, vera squadra fu il Triggiano, la formazione di un paesino a pochi chilometri da Earl. «Fu mio fratello Carmine a fare entrare il sottoscritto e Tavarilli nel Triggiano. Era il 1973 e giocavo da centravanti. Poi, due anni dopo, mio padre si trasferì a Japigia, uno dei quartieri più popolari della città. Naturalmente il trasloco riguardò anche me, così dovetti cambiare maglia e passai allo Japigia. Cambiando casa, pensai bene di cambiare anche ruolo: da centravanti ad ala sinistra. Così volle il mio allenatore Benedetto, che mi ebbe in cura per un anno. Successivamente fui tesserato dalla Rossano e, al termine di quella stagione, feci un provino per l’Inter a Cassano Murge. Inutile dire che i selezionatori nerazzurri non mi ritennero all’altezza e il sogno svanì». Il resto è cronaca: due anni alla Liberty Bari («Dove passai a centrocampo, tanto per gradire…») e quindi il trasferimento al Bari, la trafila nelle giovanili e, nel campionato 1981-82, il debutto in prima squadra. Come stopper. Il cammino del gambero (nel senso di ruolo) era terminato.
A chi devi qualcosa?
«Sul piano calcistico devo molto a Catuzzi, che prima ancora di essere un ottimo allenatore era un grande amico. Con lui, nella Primavera del Bari, cominciai a giocare da difensore, e fu grazie a quest’ultimo spostamento che ebbi modo di mettermi in mostra, tanto da vincere nella stagione 1980-81 il Torneo di Montecarlo con la Nazionale Juniores e la coppa Italia Primavera col Bari».
Nazionale Juniores 1980-81: c’era Bergomi, c’era Evani, c’era Galderisi, per non parlare di Icardi, Bertoneri, Righetti, Bolis e altri che sono diventati protagonisti dei maggiori campionati…
«Infatti, la concorrenza era tanta ed io fui chiamato a sostituire Bergomi solo per qualche minuto. Ma che gioia quando “Nanu” Galderisi, il capitano, levò il trofeo al cielo».
Da Catuzzi a Radice: differenze?
«Tante. Radice non è mai riuscito a creare uno spirito di squadra, anche se ovviamente le sue qualità di tecnico non si discutono».
C’è chi dice che il Bari non ha dato tutto proprio per il cambio di tecnico...
«Lo escludo. Tutti noi eravamo legati a Catuzzi, è vero, ma attribuire la nostra retrocessione a questo mi sembra un po’ troppo, non trovi?».
Dal Bari miracolo al Bari retrocesso: cos’è successo?
«È andato tutto storto, i rigori sbagliati, i pali che respingevano tutti i nostri tiri. Insomma, come una maledizione, credimi».
Ha influito anche il duplice incarico di Matarrese, presidente del Bari e della Lega al tempo stesso?
«No, semmai questo fatto ci stimolava a dare ancora di più, volevamo essere degni di giocare nella squadra del presidente della Lega».
Dell’interessamento juventino si parlava già da tanto tempo, ma tu continuavi a negare, a dire che non era ancora giunto il momento...
«Guarda che quella era la pura verità. Il presidente mi aveva detto che la Juventus mi stava seguendo con attenzione e quindi poteva anche succedere che a fine stagione... Al tempo stesso, però, mi disse di non pensarci perché a volte uno si illude e poi resta con un pugno di mosche in mano».
Cosa significa la Juventus per un giovane calciatore?
«Quello che significa per un bancario la presidenza della Banca d’Italia. La Juve ti affascina, ti prende tutto senza che tu te ne accorga. È una grande mamma o un’abile amante, dipende dai punti di vista».
Racconta il tuo arrivo a Torino.
«Niente di speciale, se vuoi sapere delle accoglienze. La Juve ha uno stile, i tifosi juventini sono figli di questo stile. E poi scusa: loro sono abituati ad applaudire Platini. Rossi, Scirea, Boniek, Gentile, Cabrini, Tardelli, vuoi che si emozionino per Nicola Caricola?».
Dicono che i tuoi nuovi compagni di squadra ti abbiano accolto bene...
«Cos’è, la faccenda dei clan? Alla Juventus, per quanto ho potuto vedere, esiste un solo clan: quello della... Juventus. Il resto è frutto della fantasia di chi non ama questa squadra solo per il fatto che sa dove vuole arrivare e ci arriva».
Quest’anno, però...
«Un’annata storta può capitare a tutti, sempre che un secondo posto in campionato, la finale di Coppa dei Campioni e la vittoria in Coppa Italia rappresentino un bilancio in rosso».
E l’anno prossimo?
«In che senso?».
Nel senso della Juve...
«Bè, l’anno prossimo è chiaro che gli obiettivi saranno quelli di sempre, vale a dire campionato, Coppa Italia e Coppa delle Coppe».
E nel senso di Caricola?
«Sono appena arrivato, non so ancora niente, al limite neppure se resterò in bianconero. Quindi...».
Hai la possibilità di fare avverare un tuo desiderio. Cosa chiedi?
«Ripassa quando ne avrò a disposizione almeno dieci...».
Cosa chiedi alla vita?
«Di poter restare quello che sono, un ragazzo come tanti altri con la fortuna di lavorare divertendomi».
È difficile vivere nel mondo del calcio?
«Diventa difficile se pensi a quello che ti toglie e non a quello che ti dà».
E cosa dà?
«La possibilità di guadagnare bene, di girare il mondo, di conoscere tanta gente nuova. Cose insomma che facendo il vigile urbano (tanto per chiamare in causa mio fratello Michele) non puoi avere».
E cosa toglie?
«Un pizzico di libertà personale, qualche divertimento, la domenica al mare o in montagna con la ragazza. Tutte cose, comunque, alle quali non è difficile rinunciare».
Chi è Caricola fuori campo?
«Te l’ho detto prima: un ragazzo come tutti gli altri. Insomma la musica, il cinema, qualche buon libro, gli amici...».
E la ragazza.
«Già. Luana. La donna ha sempre un ruolo importantissimo nella vita di un uomo, ma non puoi immaginare quanto conti in quella di un calciatore. Quando una partita va male, quando sei criticato e senti di non meritare queste critiche, solo lei può aiutarti».
Quindi niente programmi immediati...
«No, uno ce l’ho: andare in Sardegna con Luana a godermi qualche giorno di ferie. Sai, questo il calcio non lo toglie mica...».
E così Nicola Caricola di Bari saluta la compagnia e va a preparare i bagagli. C’è da mettersi in ordine per la prossima stagione. La Juventus per lui è come Sanremo per il «vero» Nicola di Bari. Con la certezza che non canterà una sola estate...

L’esordio in bianconero è con il botto: 11 settembre ‘83, la Juventus affonda l’Ascoli sotto una valanga di gol (7-0) e Nicola se la cava molto bene. È una stagione molto positiva, per lui e per la Juventus, la quale si aggiudica il campionato e la Coppa Coppe. E nella partita decisiva per lo scudetto, allo Stadio Olimpico contro la Roma, Caricola ha l’occasione di entrare nella storia. La partita è incanalata sullo 0-0 quando Nicola, subentrato a Platini, è smarcato solo davanti al portiere giallorosso Tancredi: è l’occasione della sua vita, il gol significherebbe scudetto sicuro con tante giornate di anticipo. Nicola chiude gli occhi e tira: la sua “ciabattata”, però, è sbilenca e termina a lato. Poco male, la Juventus vincerà ugualmente lo scudetto, ma un’occasione simile non gli capiterà mai più, tanto è vero che terminerà la sua carriera bianconera senza aver mai realizzato una sola rete.
La stagione successiva è meno felice: la Juventus ha acquistato Pioli dal Parma e gli spazi si riducono. La società punta molto sull’ex parmense, ritenuto la prima riserva difensiva e per Nicola sono molte le partite vissute da spettatore. Sarà così anche nelle due sfide con il Liverpool, che portano nella bacheca juventina la Supercoppa Europea e la Coppa Campioni. Ma il ragazzo barese non si abbatte: «In questa squadra c’è soltanto da imparare. Anche stando fuori puoi capire come si deve giocare al calcio. La Juventus è un’università del calcio, dove i professori sono anche dei cari amici. Perciò di più non puoi e non devi chiedere».
Il campionato 1985-86 è ancora peggiore; solamente 9 presenze e uno scudetto conquistato da comparsa. La stagione successiva vede Rino Marchesi alla guida della Juventus. Trapattoni è passato all’Inter e lascia la sua pesante eredità al tecnico ex comasco. Sarà una delusione completa: eliminata molto presto dalla Coppa Campioni, mai in lotta per lo scudetto, la squadra bianconera deve anche salutare la sua stella più fulgida, Michel Platini, che decide di abbandonare il calcio. Paradossalmente, per Nicola è una stagione ottima: grazie a qualche infortunio (Cabrini e Scirea su tutti) scende in campo per ben 28 volte, confermando la sua duttilità. Marchesi, infatti, lo schiera in tutti i ruoli difensivi, anche in quello di libero nonostante la concorrenza di Favero e del nuovo acquisto Soldà.
«Ho ventitré anni e tanta strada da poter percorrere davanti a me. Ho capito che alla Juventus bisogna saper aspettare, con pazienza e serietà, senza mai alzare la voce. Se vali, presto o tardi conoscerai la definitiva consacrazione. Ed io penso a quanti giovani vorrebbero essere al mio posto. No, ho messo da parte qualsiasi malinconia: e della Juve anch’io, presto, sarò parte fondamentale. Quando si è giovani non si è mai battuti o rassegnati. La Juventus è, per me, come un’università. Ora sono un allievo, vicino (spero) alla laurea. Domani toccherà a me prendere per mano altri ragazzi. Il problema è capire che una società così difficilmente la puoi trovare. Questo è un ambiente perfetto, dove “avere stile” non è una frase fatta ma un autentico abito morale... Devi dare per avere: con il sacrificio, l’umiltà, la classe. A ventitré anni mi sono tolto già diverse soddisfazioni: nei primi tre campionati ho disputato tante partite, dando il mio contributo alle varie conquiste juventine in giro per il mondo... Credetemi, si è importanti in panchina. Lavori, sudi, soffri anche fuori dall’evento agonistico. E non puoi mai deconcentrarti. In qualsiasi momento Marchesi può urlarti: “Cambiati, entri tu...”. E in quei minuti devi dare il massimo».
Invece, termina qui l’avventura bianconera di Nicola. Si trasferisce a Genova, sponda rossoblù: rimarrà nel Grifone per ben 7 stagioni, diventandone una bandiera. Nel 1996, emigra negli Stati Uniti, per giocare nella squadra del New York Metrostars, insieme a Roberto Donadoni. L’anno successivo decide di abbandonare il calcio e di rientrare in Italia.

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