20 ottobre 1949 – Stadio Comunale di Torino
JUVENTUS-VENEZIA 1-0
Juventus: Viola; Bertuccelli e Manente; Mari, Parola e Piccinini; Muccinelli, Vivolo, Boniperti. Hansen e Praest. Allenatore: Carver.
Venezia: Griffanti; Ferron e Pischianz; Massagrande, Lucchi e Leduc; Vaccari, Nicolitch, Degano, Venturi e Renosto. Allenatore: Fiorentini.
Arbitro: Coppolone di Bari.
Marcatore: Parola al 18’.
Finita in modo tragico l’epopea del Grande Torino, il campionato ritorna a essere equilibrato e combattuto come prima della guerra. In panchina, esonerato Chalmers, arriva un altro britannico: Jesse Carver. Viene descritto come un dittatore, ma i risultati arrivano. A Torino approda il danese Præst, un’ala spilungona dalle grandi doti offensive; dall’Argentina Rinaldo Martino, detto Zampa di Velluto per la sua grande tecnica. E poi Mari, Bertuccelli, Piccinini e il portiere Viola: una vera ricostruzione. L’intelaiatura della squadra è di grande livello e conosce solamente un momento di grande difficoltà, quando il Milan seppellisce al Comunale la Juventus con ben sette reti. I bianconeri, però, traggono da questa batosta la spinta definitiva per la conquista del titolo, che arriva con cinque punti proprio sulla truppa rossonera, guidata dal mitico GRE-NO-LI.
ETTORE BERRA, DA “LA STAMPA” DEL 21 OTTOBRE 1949
Sembrava un boccone tanto facile. Non s’era detto che la Juventus se ne stava placidamente alla finestra a vedere quello che facevano i suoi avversari? Ma a un certo punto ha dovuto invece ritirarsi precipitosamente dal suo comodo punto d’osservazione e pensare ai casi propri! Il Venezia che sapeva di dover perdere, giuocava sbrigliato, senza preoccupazioni né smarrimenti e finiva col diventare più molesto del previsto. Di ogni squadra non si ha mai una valutazione esatta, generalmente essa ci appare come la fa l’avversario e ieri la Juventus, svogliata dapprima e farraginosa dopo, sembrava proprio che lavorasse per dare un po’ di coraggio al derelitto Venezia.
A partita finita s’è potuto misurare l’importanza assunta da quell’unico goal astutamente segnato da Parola al 18.o minuto su calcio di punizione da una ventina di metri. La palla passò alla sinistra dello sbarramento a circa mezzo metro da terra e su di una direzione non casuale. Grufanti la vide, polche il tiro non era nemmeno forte, ma giudicò che andasse fuori dai pali e la lasciò andare. Fu l’unica papera sua, ma bastò. Né il Venezia poté ricuperare, né la Juventus riuscì più a passare.
Mantenendo tre soli uomini all’attacco, la squadra ospite faceva argine, vigilando attentamente sui più pericolosi dei bianconeri i quali, da parte loro, più fantasiosi che ordinati, saettavano in tutte le direzioni tranne quella buona e tiravano in tutte le direzioni tranne quella giusta. Muccinelli e Praest s’erano scambiati di posto, lo fanno sovente, senza che una seria ragione tattica lo giustifichi. È anche un po’ una questione di moda. Una volta, guai a lasciare il proprio posto, ma ora a starci sempre. E le squadre non recitano più ma improvvisano, ciò che richiede un estro pressoché sconosciuto alla quasi totalità delle nostre compagini.
Verso la mezz’ora si azzoppò Muccinelli, duramente toccato da Massagrande. Lo portarono fuori del campo e rientrò dopo qualche minuto zoppicante. Fece poco per il resto del primo tempo ma all’inizio della ripresa ridiede a Praest il posto che gli aveva occupa to e riprese il proprio. Il giuoco continuò a ritmo di tamburo che è un ritmo che inebria ma che evidentemente non lascia veder chiaro. La Juventus, voleva vincere la tenace resistenza degli avversari ma il Venezia doveva però aver capito che i bianconeri stavano sbandandosi.
Nella ripresa, infatti, la pressione juventina non aumentò, apparivano anzi vuoti pericolosi nella squadra, il sistema di controllare non più un determinato avversario ma una prestabilita zona, che è alla base della nuova scuola tattica di cui si dovrà un giorno parlare a fondo, è pericoloso perché facilmente porta a un giuoco arbitrario. Sta di fatto che fu possibile vedere, più di una volta, anche tre neroverdi del tutto liberi in un raggio d’una quindicina di metri. Il Venezia prese animo, aveva spostato Degano all’ala e sfrecciava contrattacchi che avevano il solo difetto di mancare di rincalzi. Non riuscì a piazzare nemmeno un tiro degno di questo nome ma turbò la manovra avversaria, contribuì ad aumentarne la frammentarietà e poté persino, verso la fine, far venire agli spettatori il brivido del pareggio.
Aumentarono nell’ultima fase i guai della Juventus. Parola si contuse al piede in uno scontro con Vaccari e passò, zoppicante lui pure, all’estrema sinistra; dalla parte opposta, Muccinelli sempre dolorante s’era scambiato, per qualche minuto di posto con Bertuccelli ed è in questo schieramento che la fine dell’incontro colse l’attacco juventino.
Non è il caso di trarre dall’episodio considerazioni allarmanti. Conosciamo la Juventus e i giudizi non si rifanno ogni settimana. Quello di ieri ci è sembrato proprio un giuoco di mezza settimana, il convenzionale gioco degli allenamenti. Niente di grave, il pregio della Juventus è di sapersi adeguare alla statura dell’avversarlo, vedrete che sarà altra cosa a Genova. Ma il Venezia merita l’elogio più schietto e proprio non si capisce come non sia ancora riuscito a imbroccare una partita. Un nome nuovo fra i neroverdi: Leduc, ex-nazionale francese, già oltre la trentina, elemento positivo, misurato ed esatto nei passaggi, ma spesso travolto dal ritmo della lotta.
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