Dopo ventitre anni – scrive Alberto Refrigeri su “Hurrà Juventus” del settembre 1973 – quello che va a incominciare sarà il primo campionato che non vedrà entrare sul terreno di gioco, armato dell’inseparabile e fornitissima valigia, Derio Sarroglia, il massaggiatore juventino di tre generazioni di giocatori.
Il nostro e non dimenticato «Derio», per questioni familiari e soprattutto di età (ha appena superato i sessantatre), non se l’è sentita di curare ancora per un anno i muscoli dei ragazzi.
Il 31 luglio, il mattino del raduno, negli spogliatoi, ho udito, proprio dal giocatore meno incline, almeno in apparenza, al sentimentalismo, una frase rivolta ai compagni: «Non c’è più Derio, non vi sembra che manchi qualcosa?». Sì, manca e mancherà qualcosa, un lavoratore indefesso, un professionista serio, un buon papà per tutti.
I tifosi, almeno quelli più attenti, sanno tutto di lui; mi sia comunque consentito soffermarmi su di un breve curriculum, una veloce carrellata sulla sua carriera.
Sarroglia è nato a Lione (i genitori, italianissimi, si erano trasferiti in Francia per questioni di lavoro), l’8 di agosto del 1910; rimane orfano a quattro anni ed è allevato da una zia, che gli fa frequentare un buon collegio.
Nel 1927, a diciassette anni, la sua passione per il mare lo spinge, ancora giovanissimo, ad arruolarsi volontario nella Marina italiana; vi rimarrà ben 12 anni, passando da una nave da guerra all’altra, negli ultimi anni come istruttore di ginnastica sui cacciatorpedinieri. Non c’è parte del mondo, dall’Africa, dall’Asia all’Australia, alle due Americhe che il nostro Derio non abbia toccato.
È stato anche un discreto calciatore, il suo ruolo preferito era quello di laterale sinistro, quello che adesso si usa chiamare «di spinta»; ma ha fatto anche un mucchio di sport, dalla palla a volo al canottaggio, dalla pallacanestro al tiro alla fune.
Si è cimentato, direi con un certo successo, anche nella lotta greco-romana; ha infatti vinto, nel lontano 1932, i campionati piemontesi della specialità nella categoria dei leggeri.
Nel 1947, a guerra terminata, si congeda dalla Marina, e diventa massaggiatore; in quei tempi, alla Juventus e in Nazionale, il «masseur» era Guido Angeli, che nel ‘51, anche lui per raggiunti limiti di età, lascia la professione, e Derio lo rileva alla cura dei preziosi muscoli dei giocatori bianconeri.
Trovo Sarroglia prima dell’incontro con la Bulgaria (non ha resistito a stare distante dai ragazzi), a tifare dalla tribuna senza poter nascondere qualche lacrimuccia; è appena arrivato da Ceriale, dove è andato a passare un periodo di ferie, ma a una partita della «sua» Juve, anche se soltanto da spettatore, non può evidentemente mancare, non sia mai detto. Faccio due chiacchiere nell’antistadio, continuamente interrotto da amici e tifosi che vogliono salutarlo, stringergli la mano, ricordare con lui recenti e lontane partite dei bianconeri; era mia intenzione portare a termine una lunga intervista, con argomenti inediti della sua vita di massaggiatore bianconero, ma Derio non è propriamente una persona che voglia svelare, anche se ai lettori di «Hurrà», i suoi piccoli segreti, e non possiamo proprio dargli torto. Solo una cosa gli chiediamo, e cioè quale è stata la sua più grande soddisfazione durante questi 23 anni juventini, e quale la più cocente delusione.
«Soddisfazioni tante, tantissime, scudetti, Coppe Italia, riconoscimenti di dirigenti e di giocatori, cose che quando vai in pensione ti fanno un piacere enorme e il cui ricordo rimarrà indelebile nella memoria anche quando, se cl arriverò, ma ho buone speranze..., festeggerò i cent’anni. Lei mi chiede la più grande delusione. Beh, piccole cose di nessun conto, e dl cui non vale nemmeno il caso di parlarne, sciocchezze insomma. L’unica vera grande delusione, quella che speravo cancellare prima di ritirarmi, era la Coppa dei Campioni. Avrei dato qualche anno della mia vita per riuscirci; peccato, siamo arrivati proprio al pelo, ma non ce l’abbiamo fatta. Auguro al mio successore, il bravo e capace De Maria, di potere al più presto incastonare sulla sua tuta quella splendida cosa che è la Coppa; quel giorno, anche se probabilmente non sarò in campo a ricevere gli onori del primato, sarà ugualmente uno dei più belli della mia vita; e, scusate se pecco forse di presunzione, ma sono certo che in quel momento i ragazzi un pensierino al loro vecchio Derio lo rivolgeranno; ed io, spiritualmente, darò a tutti un buffetto sulla guancia, complimentandomi con loro in un genuino piemontese: “Bravi fjoeui, bravi, ragazzi!”».
Dio t’ascolti, Derio!!!
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