Il calcio visto con gli occhi un ventenne è più bello – scrive Matteo Marani sul “Guerin Sportivo” del 14-20 settembre 2004 – le speranze, i desideri, i sogni di chi ha smesso soltanto da poco di essere un adolescente. Dopo il calcio-scommesse che ha infangato l’estate del pallone, ecco arrivare sui grandi schermi della Serie A il calcio-scommessa, con tanti giovani su cui puntare. Diciamolo: per gli esperti di Fantacalcio sono proprio queste rivelazioni in nuce, nomi come Bovo o Aquilani, Montolivo o Meghni, la parte più divertente del gioco. Si narra ad esempio che Davide Chiumiento, quest’anno in prestito al Siena dopo i freschi trionfi con la Primavera della Juve, sia stato uno dei più gettonati nella campagna-acquisti di bar e uffici. Forse perché l’etichetta di nuovo Del Piero è risuonata lontana o forse perché a Siena – provincia pronta ad aprirsi ai giovani – l’italo-svizzero con un gettone in Serie A («Contro l’Ancona: emozione grandissima») può compiere il balzo finale verso la notorietà.
La sua storia, oltre tutto, contiene i requisiti della favola. Figlio di immigrati meridionali, è nato e cresciuto a Heiden, paesino del cantone tedesco della Svizzera. «Vengo da una famiglia umile, di lavoratori. Mio padre Gerardo, originano di Benevento, è operaio, e così mia mamma Manuela. Lei è di Randazzo, in Sicilia. Poi c’è mio fratello Claudio, più grande di me di due anni, che è arrivato sino alla Primavera del San Gallo».
Una famiglia solida e ben inserita tra le tante della comunità locale italiana. «In quel paese vivono parecchi connazionali, tutti tifosissimi della Nazionale. Ricordo la festa quando giocava l’Italia e la delusione patita nel Mondiale del ‘94».
È lì che il talento simile in tutto e per tutto a Del Piero (ne ricorda i modi anche nel parlare, ndr) ha capito il valore emotivo della maglia azzurra. Sì, quella che colleghi famosi sovente rifiutano. Ed è sempre lì che ha deciso – prima ancora dei no ufficiali pronunciati alla Federazione elvetica – di rifiutare le convocazioni con i crociati in attesa della Nostra. Lo avevano chiamato per l’Europeo Under 21, ci hanno riprovato con il pretesto della squadra maggiore. «L’ultima volta ho vacillato – dice Chiumiento – c’erano due gare di qualificazione al Mondiale. Per un ventenne era una buona opportunità».
A farlo desistere, lo svela un sorrisetto furbo, è stata una telefonata partita dall’ufficio di Luciano Moggi. «Che fretta hai, ragazzo?». Per lui c’è infatti un orizzonte azzurro in fondo al cammino appena avviato. Dopo il debutto in Serie A e la vittoria nel torneo di Viareggio un anno fa, i due obiettivi stagionali di Davide sono la prima chiamata di Gentile e la rete numero uno nella massima serie. «Vorrei aggiungere la salvezza del Siena» incalza lesto.
Sommando una dose di miele per la nuova realtà in cui si è calato dopo le vacanze estive tra Svizzera e Cipro: «Con Gigi Simoni mi trovo a mio agio, è una specie di papà professionale. Un paio di volte mi ha voluto spiegare perché mi impiegava a destra, ruolo non mio. Nessun problema per me, gli ho detto, pur di stare in campo andrei in porta».
Scaltro, educato, predestinato. «Non paragonatemi a Del Piero, è un confronto schiacciante. Ho in comune solo il fatto di aver vinto un Viareggio con il dieci della Juve sulle spalle».
In realtà le similitudini sono numerose. Dice che Pinturicchio visto da vicino gli ha fatto un’ottima impressione umana, ma il giocatore che l’ha conquistato per qualità dei colpi è Miccoli. «In allenamento gli ho visto concludere al volo un cross dal lato con colpo di tacco».
Dispiaciuto per la partenza verso Firenze? «Per Fabrizio è difficile accettare di giocare poco. Lo capisco. Alla Juve tornerei di corsa, ma è meglio giocare in una squadra che lotta per salvarsi piuttosto che rimanere in panchina in una grande».
La sua scalata è stata imperiosa. I primi calci nella squadra di Heiden, dove papà era l’allenatore, quindi le giovanili nel San Gallo, venti minuti da casa. Di seguito le partite con l’Under 15 svizzera dove lo vide Ceravolo, osservatore della Juve. A quindici anni, finita la scuola media (ora gli manca l’ultimo anno di ragioneria), il passaggio a Torino. Il pensionato diviso con Clemente – una sorta di fratello acquisito – e le lacrime per la lontananza. In quel pensionato era passato Del Piero, lì sono ancora appese le foto del campione di San Vendemiano, davanti alle quali il piccolo Chiumiento passava ore a sognare. «È stata dura, ma sono cresciuto in fretta e oggi mi sento più di vent’anni».
Realtà che vale per buona parte della nuova generazione. «Il più forte di tutti noi è Cassano, però mi impressiona pure Meghni».
«Lo scudetto va alla Juve, perché conosco la mentalità dell’ambiente», assicura al momento dei saluti. Con la convinzione interiore di diventarne presto un simbolo. La stella di Davide brilla già.
FRANCESCO FALZARANO DA GIANLUCADIMARZIO.COM DEL 14 FEBBRAIO 2019
Davide Chiumiento, svizzero di Heiden, piccolo paesino di 4.200 anime, per un po’ ha sognato di essere il nuovo Alex Del Piero. Già, perché nel settore giovanile bianconero era lui la stella che avrebbe dovuto prendere il posto dell’allora capitano bianconero. “Il nuovo Pinturicchio” così veniva chiamato. Ma se adesso vi state chiedendo chi sia Davide Chiumiento, è chiaro che qualcosa è andato storto. Il talento cristallino, una maglia bianconera addosso, le urla di Gasperini. Tanto poteva essere, tanto non è stato. Una favola senza lieto fine forse, o forse no. Questione di punti di vista, di prospettive. Oggi Davide vive in Canada e allena i ragazzi. Tra rabbia e amarezza, racconta la sua parabola: «Dicevo sempre a scuola che sarei andato in Italia a fare il calciatore». Nessuno però lo prendeva sul serio. La sua storia parte da San Gallo, è stata quella la sua prima vera squadra: «Feci sei gol in un’amichevole contro di loro. Mi vollero subito». Fu quello il primo passo verso il sogno chiamato Juventus, che poi si è rivelato un boomerang per la sua carriera. Ma riavvolgiamo il nastro.
Il sogno e il destino si incrociano per la prima volta in un torneo Under 15 in Francia, e fu amore a prima vista: «I dirigenti della Juve mi videro e mi dissero che volevano portarmi a Torino». L’attesa fu molto rapida, infatti bastarono due allenamenti per convincere la dirigenza bianconera: «C’erano Bettega, Gasperini e Moggi. Mi vollero acquistare subito. Bettega mi disse “tu devi venire alla Juventus”». Una vera e propria favola, non esente da effetti collaterali: «Per me fu difficilissimo lasciare la famiglia, la mia casa. Volevo tornare in Svizzera per parlare con mia madre che non era lì, e in sede Moggi mi disse “se non firmi ci sono altri milioni di bambini al tuo posto”». Alla fine quella firma arriva.
Dal piccolo paese alla grande città. Dalla scuola calcio di Heiden alla Juventus. Un mondo sconosciuto per Davide. Il suo percorso in bianconero è marchiato a fuoco nel nome di Gian Piero Gasperini. Un rapporto di amore e odio il loro, che spesso l’ha fatto scontrare con il suo allenatore: «Io non ero abituato a vedere un allenatore gridare, e inizialmente la prendevo malissimo, volevo tornare a casa». Alla fine, però, Davide quella maglia non riesce proprio a mollarla. Spesso però quegli scontri non lo facevano stare bene «Eravamo in ritiro con la Primavera, ero molto giovane e giocavo poco. Dissi al responsabile che volevo andare via». La reazione di Gasperini non fu delle migliori: «Mi rimproverò duramente davanti a tutta la squadra. Mi disse che così non sarei diventato un calciatore». Un ricordo positivo? «Il primo Viareggio. Il gol che feci in finale sancì il nostro lieto fine. Gasperini diceva sempre che avevo un talento immenso».
Poi arrivò il secondo Viareggio e l’approdo nella Juve dei grandi: «Alla prima partita di quel Viareggio c’era Tacchinardi che non capiva come mai io non facessi parte della prima squadra. Così quando iniziai ad allenarmi con loro lui mi disse “io di solito i giovani li meno in campo ma tu sei un bravo ragazzo ti lascio tranquillo”». Dopo il Viareggio, arriva anche l’esordio in Serie A con l’Ancona e quello in Champion. L’ascesa è inesorabile: «Quello è stato il momento in cui i sacrifici miei e della mia famiglia sono stati ripagati». Poi ricorda: «Lippi mi chiamò e mi disse “hai talento non aver paura”. Io ricordo che avevo le gambe pesanti e il campo sembrava più grande del solito».
Per Chiumiento è arrivato il momento di andare a giocare: «La Juve era in dubbio se farmi crescere insieme a grandi campioni oppure farmi andare a giocare. Scelsero la seconda, anzi scelse Moggi, quando c’era lui si faceva quello che diceva lui». Arriva così il Siena: «Lì Ho conosciuto Gigi Simoni, lui non guarda in faccia a nessuno anche se eri giovane se facevi bene in allenamento lui ti faceva giocare». Qualcosa però non andò per il verso giusto: «A gennaio presero De Canio che puntava su calciatori d’esperienza, io volevo tornare a Torino e cambiare squadra, ma qualcosa si incrinò tra me e il mio entourage e la Juventus».
È l’inizio della fine. In estate, infatti, arrivò la definitiva rottura: «Volevano mandarmi in serie B a Crotone, io volevo restare in A. C’è stato un forte litigio che rovinò definitivamente il rapporto con la Juve». Cosa penso? «Andare contro il volere di Luciano Moggi, mi ha chiuso le porte per il futuro. Sono successe cose che non dovevano succedere e ci sono andato di mezzo io. Mi sono ritrovato dall’essere il nuovo talento del calcio italiano a non valere nulla». Una cosa Davide, però, non si perdona: «Non aver giocato l’Europeo Under 19 con la Svizzera. In quel momento volevo solo la nazionale italiana, fu un grandissimo errore».
Davide ci riprova, si rimette in gioco nella sua Svizzera, e rinasce nel Lucerna: «Avevo ancora venticinque anni c’era tempo per rifarsi Ma ero in scadenza ed ero convinto di tornare in Italia. Meritavo una seconda chance». Invece l’Italia si era definitivamente dimenticata di lui: «Era come se quello che fosse successo con la Juve mi avesse chiuso tutte le porte». Davide è amareggiato. Su quel treno dei desideri lui c’era salito, ma poi l’hanno fatto scendere forzatamente «Ci sono state situazioni che non dovevano accadere. Sono sempre stato troppo buono, nel calcio serve un po’ di sana arroganza».
Lasciamo Davide andare ad allenare i suoi bambini in Canada. Insomma, è difficile stabilire se c’è stato oppure un lieto fine. Sicuramente Chiumiento è uno di quei talenti che avrebbe potuto fare del bene al calcio italiano. Ora si vive la sua vita in Canada, pensando a cosa poteva essere e cosa non è stato, ma felice del suo percorso. Spesso purtroppo, una scelta, una situazione o una circostanza cancellano la strada di un destino che sembra scritto.
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