sabato 6 febbraio 2016

Michele PAOLUCCI

17 gennaio 2010, la Juventus è impegnata al Bentegodi, contro il Chievo Verona. La compagine bianconera naviga in brutte acque: eliminata dalla Champions League, viaggia molto distante dalla testa della classifica e con il poco prestigioso score di sei sconfitte nelle ultime nove gare. Ciro Ferrara, mister bianconero, è sulla graticola e già da qualche domenica gira voce sul suo imminente esonero. Juve contro il Chievo, dicevamo. Causa qualche assenza di troppo, la maglia numero nove è affidata a Michele Paolucci, proveniente dal Siena, ma cresciuto nelle giovanili bianconere nelle quali si è distinto a forza di goal. Il ragazzotto è schierato accanto al suo idolo Del Piero e, forse vinto dall’emozione, forse contagiato dalla pessima prova di tutta la squadra, non combina un granché. Il clivense Sardo perfora Buffon e la campagna veronese si conclude con l’ennesima sconfitta. Destino segnato per Ferrara e anche per Paolucci: scenderà in campo altre quattro volte (sempre partendo dalla panchina) per poi tornare nella città del Palio a fine stagione.

MAURIZIO TERNAVASIO, “HURRÀ JUVENTUS” FEBBRAIO 2004
Ottantacinque goal (nelle sole gare ufficiali) in tre stagioni: questo l’incredibile score di Michele Paolucci, l’attaccante della Berretti di Maurizio Schincaglia che, nel campionato in corso, si trova già a quota diciannove, primo tra i cannonieri della sua squadra. «Ho sempre giocato da prima punta, credo di aver sin qui messo a segno almeno 250 marcature. Anche se sono ancora all’inizio della mia avventura calcistica, spero che ciò faccia ben sperare per il futuro».
Paolucci, maggiorenne da pochi giorni, nasce a Recanati, in provincia di Macerata. Il padre è proprietario di una catena di negozi di abbigliamento, la madre è impiegata in banca, la sorella ventiseienne sta ultimando gli studi. Dopo i primi calci nel campetto di casa, a sette anni entra nella scuola calcio della Civitanovese, poi passa ai Giovanissimi Regionali del Tolentino. All’inizio del 2001 approda a Torino dove, nell’ordine, scende in campo con Giovanissimi Nazionali, Allievi Regionali, Allievi Nazionali e Berretti. «Il presidente del Tolentino mi ha segnalato a Pietro Leonardi, il responsabile del Settore Giovanile della Juventus. Nel primo provino ho fatto due goal, nel secondo quattro, e così mi sono ritrovato in maglia bianconera», con la quale ha recentemente esordito, per uno spezzone di incontro, con la Primavera.
Michele, fisico prestante e movenze eleganti, è perfettamente ambidestro e possiede un gran fiuto del goal, quella dote che consente ai suoi fortunati possessori di sbattere la palla dentro sempre e comunque. Poi è veloce nel gioco con o senza palla, abile nel dribbling e nei movimenti negli spazi stretti. Insomma, a parte il colpo di testa, dove ha ancora ampi margini di miglioramento, è quello che si dice un giocatore completo. «Ho un ottimo rapporto con mister Schincaglia, con il quale ho fatto un discreto salto di qualità e i cui insegnamenti mi ha permesso di colmare le lacune che mi portavo dietro, e con Pietro Leonardi, che ha creduto in me nonostante le non positivissime prime stagioni torinesi».
Paolucci, i cui idoli si chiamano Van Basten e Van Nistelrooij, è un ragazzo risoluto che sa il fatto suo. «Sin qui mi hanno aiutato la voglia di arrivare e l’ambizione: nonostante i comprensibili problemi di ambientamento, in allenamento cerco sempre di dare il massimo. Poi credo di sapere cosa sia lo spirito di sacrificio e l’umiltà nel carpire i segreti a chiunque mi bazzichi intorno».
Paolucci e la scuola. «Frequento regolarmente il quarto anno di ragioneria e me la cavo abbastanza bene com’è giusto, visto che la società e la famiglia su questo non transigono. Se è difficile conciliare il calcio con gli studi? Direi proprio di no, basta stare attenti durante le lezioni e applicarsi il minimo indispensabile, anche perché in genere i professori con noi sono piuttosto comprensivi».
Michele e gli amici, Michele e le ragazze. «Bisogna stare attenti, molti sono pseudo amici, ma io credo di saper distinguere quelli che mi vogliono bene davvero. Da circa un anno ho un rapporto con una ragazza che sta lontano da Torino, il che mi consente di sentirmi appagato sentimentalmente, ma di non distrarmi troppo».
Quali sono le tue impressioni sul mondo del calcio giovanile professionistico visto dal di dentro? «È certamente meglio di quanto si creda, anche perché quasi tutte le società vi fanno ricorso per necessità, vista la crisi che attanaglia il mondo del calcio, e mettono a disposizione le migliori risorse, sia dal punto di vista professionale, sia sotto il profilo umano. Nella Juve i metodi e gli obiettivi sono di grande spessore, perché la società cerca innanzitutto di far crescere gli uomini, poi i giocatori. L’educazione e il rispetto vengono prima di ogni cosa, vivere in questo ambiente è un piacere e costituisce un modo graduale per entrare a far parte del calcio che conta. E se ci sono degli stress, sono sempre costruttivi».
Il gioco della Berretti di quest’anno ci sembra particolarmente brillante: è anche merito dei tuoi goal? «Direi proprio di no, c’è lo zampino degli schemi di Schincaglia e del suo gioco fatto di tattica e di rapidità. Il mister è uno che dedica molto tempo a colmare le lacune dei singoli, non so quanti lo farebbero. Piccoli particolari, d’accordo, ma di grande importanza. Anche contro la Primavera e la Prima Squadra facciamo sempre la nostra figura, grazie a una condizione atletica, garantita dal preparatore Andrea Lemma, costantemente all’altezza della situazione. Insomma, abbiamo tutti i numeri per far bene sin da subito, i 1985 e 1986 della squadra mi sembrano davvero ben amalgamati per consentirci di vincere qualcosa di importante».
Di solito quando si arriva a certi livelli, anche se il futuro di Paolucci è ancora tutto da scrivere, non è soltanto merito di chi scende in campo. «Come ho detto, ho vissuto delle stagioni difficili, ma non mi sono perso d’animo grazie soprattutto all’aiuto della famiglia. Mi sono stati vicini e hanno creduto in me quando non andavo tanto bene ed ero giù di morale. Non so quanti si sarebbero comportati così, avendo un figlio lontano da casa».


DANIELE PERTICARI, “NERO SU BIANCO” MARZO 2007
È un gruppo di eletti, un gruppo di elementi sorteggiati dal “Dio del calcio” tra un insieme di aspiranti debordante per quantità. Quando ti accorgi di farne parte, ti rendi conto che sei particolare: non per la macchina sportiva dell’ultima generazione che (quasi di sicuro) potrai permetterti nella vita e nemmeno perché le ragazzine verranno da te a chiederti l’autografo perché “sei bono”. No. Quando ti accorgi di essere nato per far parte del gruppo dei bomber ti rendi conto di aver già realizzato una parte del sogno. Perché quando inizi a correre dietro ad un pallone che rotola, ai giardini vicino casa, al campetto improvvisato nel cortile della scuola, in camera da letto usando gli stipiti delle porte come pali, beh, inizi a pensare che essere bomber, fare goal, esultare, mettere “tacche” sul tuo curriculum sia davvero la cosa più bella del mondo. Ti accorgi di essere eletto e ti fermi a pensare se basterà per diventare un grande.
Michele Paolucci, ventuno anni compiuti proprio in questi giorni («E mi raccomando, scrivi che sono di Civitanova Marche pur se sono nato a Recanati, mi raccomando davvero, ci tengo») ha praticamente dimenticato l’accento marchigiano («Con i giornalisti, ma con gli amici assolutamente no»). Cinque anni nelle giovanili della Juventus dopo la trafila nella Vis Civitanova e nel Tolentino, la voglia di spaccare il mondo cosciente però che per farlo servono il lavoro e l’equilibrio. «Ho avuto fegato nel 2001 – dice il giovane attaccante dell’Ascoli di Sonetti – perché a quindici anni pensi alla discoteca con gli amici, al divertimento. Io invece scelsi di partire per Torino perché per me il calcio è una specie di missione. Il tutto senza poster in camera, senza miti particolari».
Un modo di vivere lo sport e il goal professionale ed emozionante al tempo stesso, un modo che Michele Paolucci ha saputo metabolizzare così bene da non risultare tramortito nel giorno della sua definitiva consacrazione. 28 gennaio e Ascoli (la squadra in cui ha deciso, con un biglietto andata-ritorno da Torino, di provare a vedere che sapore ha la Serie A) con un piede e mezzo in B al San Filippo di Messina. Novanta minuti di battaglia, sudore, delusione, fino al riscatto. Duecento secondi a cavallo del novantesimo, doppietta, flash, interviste (con complimentoni della D’Amico su SKY che non passano mai inosservati), sguardo da bomber sulle copertine dei giornali, equilibrio. «Non è che per una doppietta, ora, sia diventato un eroe. Anche perché la vittoria di Messina deve servire a tutti, perché è merito di tutti, per risalire la china e puntare alla salvezza».
Però Paolucci, dopo Messina, ha continuato a segnare ancora. Fa goal, il Michele da Civitanova, lo fa con una facilità impressionante sin da quando era piccino. Tutti si chiedevano: ce la farà anche in Serie A? Sembra proprio di sì, nonostante abbia dovuto aspettare qualche mese (e un problemino del panzer croato Bjelanović) per avere fiducia incondizionata dal tecnico piceno Sonetti. «Quando sono arrivato qualcuno mi guardava con diffidenza, quasi fossi un raccomandato. Dico io: aspettate un attimino, osservate prima di giudicare. Ora che succede? Nulla in particolare, gioco in Serie A a vent’anni, è il massimo per me, specie perché sono vicino a casa e posso raggiungere spesso i miei cari».
Adesso può farlo, anche se il suo sogno, ovviamente, è quello di farlo molto più di rado, perché vorrebbe dire essere tornati in maglia juventina, aver timbrato anche sulla faccia dove c’è scritto “ritorno” il biglietto datogli in mano dall’ex responsabile del settore giovanile Nello De Nicola quando l’ha mandato (o meglio, portato) ad Ascoli. «È normale che il mio sogno sia quello di tornare a giocare nella Juventus. Là c’è Alex Del Piero, un grande, ma non a livello tecnico, perché non servo io a testimoniare le sue capacità in campo. Alex è un grande a livello umano: un giorno, con mister Capello, mi ha fatto uno scherzo. Ero arrivato in ritardo a pranzo, ha fatto finta di fare la spia. Quante risate! Si è parlato del Manchester United nel mio futuro: è la Juventus che deve decidere, è solo lei che può farlo ed è la Juventus che aspetto. Anche se potrei liberarmi con due anni di anticipo e se, sono sincero, non ci penserei più di un minuto ad accettare».
Chi ha la fortuna di osservarlo da vicino si accorge che è educato (come tutti i giovani della Juve), che è misurato (come tutti i giovani della Juve), che è bravo in campo (come moltissimi dei giovani della Juve), ma che ha altre qualità: il dono di saper esprimere la propria opinione e quello dell’umiltà. Provate a intervistarlo o ad andare al centro sportivo di allenamento dell’Ascoli: Michele Paolucci vi guarderà in faccia se siete della carta stampata, guarderà fisso la telecamera se siete della TV, ma soprattutto, dopo aver fatto tiri, palleggi e punizioni, aspetterà il rientro negli spogliatoi di tutti i compagni e tornerà dopo aver raccolto tutti i palloni della squadra e riempito il sacco. Bravo, umile, ottimo davanti alle telecamere.

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