lunedì 26 marzo 2012

Benito LORENZI

Il dopoguerra immediato, nel segno del “Grande Torino”, propone già i sintomi di una rivalità che Inter e Juventus coltivavano sin dai tempi del neonato girone unico. Ed una rivalità fra squadre, necessariamente, trascina confronti tra i rispettivi giocatori di maggior fama. A Milano, il 12 ottobre 1947, quando l’Inter batte la Juventus per 4-2, non accade, a prima vista, nulla di anormale. È la solita classica, con San Siro pieno come un uovo. La Juventus di Sentimenti IV°, portiere goleador, schiera in formazione talenti in piena esplosione, come Carletto Parola, centromediano già osannato per la rovesciata che fa sognare tutti ragazzini, e Boniperti che è appena diciottenne.

L’Inter, che contrappone un altro portiere di talento, Franzosi, è la ruvida determinazione del granitico Fattori e schiera, come mezzala destra, un giovanotto nervosetto ma di indubbia classe, che, in pochissimo tempo, ha conquistato la pur esigente platea di San Siro. Benito Lorenzi è il suo nome: i difensori bianconeri, in particolar modo Rava, patiscono più del lecito il ragazzo e non possono impedirgli di portare in vantaggio l’Inter con un gran goal, prima del riposo. Lorenzi trova anche il modo di ripetersi nella ripresa, sicché finisce per essere l’uomo partita di quel duello bianco/neroazzurro.
Il racconto di Carletto Parola. «Rava è stato in tutto e per tutto un campione. Ricordo una partita del 1947 a Milano con l’Inter dove ha esordito questo mattocchio di Lorenzi. Fischio e via, Lorenzi mi fa due goal. Rava non ci vedeva più, quello dopo ogni goal ci prendeva in giro, io dicevo a Pietro “stai tranquillo”, ma d’improvviso diventò rosso come un peperone, (quando arrossiva come un peperone guai a chi gli capitava sotto) mollò un cazzottone a Lorenzi che s’abbassò e beccò in pieno Quaresima, che rimase steso più di cinque minuti. “Che c’è, le bombe?”, disse quando si riprese». Come primo impatto non c’e davvero malaccio. Buon per la squadra bianconera che, nell’incontro di ritorno, l’Inter deve rinunciare a questa nascente cannoniere.
4 novembre 1948, Inter vincente a Torino, 1-0, goal risolutore, a metà ripresa, di Amadei. Su azione personale di Lorenzi, riportano le cronache del match. Ed i giornali sottolineano un’ottima prestazione dell’attaccante interista che, pur non segnando, mette a soqquadro l’intera retroguardia juventina. Partita di ritorno: è il 6 marzo del 1949, 1-1. Ancora Amadei eppoi pareggio di Muccinelli. Lorenzi così così, Angeleri ha fatto su di lui una guardia sopraffina.
Torneo 1949/50, scudetto che andrà nuovamente alla Juventus; ritroviamo qui le tradizione dei grandi scontri fra le due società, con Lorenzi sugli scudi nella qualità di guastafeste.
13 novembre 1949, il Comunale torinese straripa di folla e, ad ogni azione, il boato della folla sembra far sprofondare le gradinate stracariche. L’Inter è vicina alla Juventus in classifica e, per di più, comincia la partita in modo esemplare, con Tulipano Wilkes che lascia tutti a bocca aperta andando a fare goal all’incolpevole Viola. Il pareggio di John Hansen sembra ridare slancio alla Juventus, ma nessuno ricorda che Veleno Lorenzi è specializzato in goals terribilmente importanti. Un attimo di indecisione della difesa bianconera e Benito castiga i suoi avversari con la rete del nuovo vantaggio nerazzurro. Nel finale burrascoso, che premierà il gran premere degli avanti bianconeri per tutto il secondo tempo, Lorenzi si eclissa dalla partita. La Juventus vince la partita ed ipoteca il campionato: uno scudetto con largo anticipo, distaccando di sette punti il Milan ed undici l’Inter.
Juventus ed Inter, col Milan terzo incomodo, dominano i campionati. Il giorno della befana del 1952, lo scontro diretto è ancora una sagra delle emozioni. Primo tempo nerazzurro, ripresa bianconera, finisce 3-2 per la “Zebra”, ma ancora una volta Lorenzi fa passare momenti di panico alla difesa juventina. In chiusura del primo tempo, Rinone Ferrario, suo angelo custode, nonostante giochi un’ottima partita e sia un fior di marcatore, lo vede soltanto quando è troppo tardi e Veleno segna uno dei suoi goal beffardi ed irresistibili. Finché vince la Juventus tutto bene. Lorenzi crea guai, ma non risolve la partita. Ma nel match di ritorno, a San Siro, Lorenzi segna e risolve. Troppo tardi replicheranno Boniperti e John Hansen.
L’anno dopo Benito supera sé stesso costruendo, con le proprie prodezze, lo scudetto nerazzurro: la squadra di Foni, con una difesa ermetica ed impenetrabile imperniata sui terzini Blason e Giacomazzi, trova nelle folgorazioni di Lorenzi, oltre che nelle serpentine di Skoglund e Nyers, la soluzione tattica per liquidare la concorrenza.
La Juventus è avversaria irriducibile, ma nello scontro diretto deve soccombere: primo tempo incertissimo, difese che prevalgono sugli attacchi. Poi, improvvisamente, Lorenzi realizza l’1-0. Raddoppia Skoglund in chiusura, ma è quasi inutile. Rimontare un goal all’Inter, infatti, con la difesa che si ritrova, è impresa ardua anche per gente come Præst e John Hansen.
27 ottobre 1957, una generazione di calciatori è tramontata dalla prima volta: adesso gli assi forestieri della “Vecchia Signora” non si chiamano più Hansen e Præst, ma Sivori e Charles, e la Juventus sta tornando prepotentemente al vertice. Anche l’Inter allinea un fuoriclasse straniero, argentino come Omar: si chiama Angelillo ed è, naturalmente, il sorvegliato speciale dell’attacco nerazzurro, che rispolvera, per l’occasione, un Lorenzi ormai al tramonto. Segna l’Inter e per la Juventus ci vuole tutta la classe di Charles per evitare la sconfitta. Goal di Lorenzi, naturalmente, per un grande commiato.
Molti ricordano Benito Lorenzi come un cattivo in campo. Il giorno dell'esordio in maglia nerazzurra, contro l’Alessandria, si fece espellere ed ai Mondiali di Svizzera del 1954, nella partita contro i padroni di casa, rifilò un calcione all’arbitro brasiliano Viana. Ecco il racconto di Veleno. «Come al solito dissero che ero stato io. Sì, certo qualche calcio glielo sferrai pure io, ma ero uno degli ultimi, gli altri lo avevano già spintonato, scalciato, se lo meritava. E quando entrò nello spogliatoio corse incontro ad un certo signor Andreolo, ex campione del mondo che era il nostro accompagnatore, come per chiedergli protezione visto che era sudamericano come lui. Per tutta risposta Andreolo, quando gli fu a tiro, gli piazzò un cazzotto in faccia. Quel Viana non arbitrò più, fu radiato e perdonato solo trent'anni dopo».
Quando, contro la Fiorentina, il compagno Stefano Nyers sbagliò un goal clamoroso, Lorenzi lo colpì costringendo l’ungherese ad allontanarsi dal campo. Richiamato bruscamente all’ordine («rientra che i conti li facciamo dopo»), alla seconda occasione Nyers segnò e rincorse Lorenzi per restituirgli il favore.
Era anche noto per strizzare, di nascosto, i testicoli degli avversari per sbilanciarli durante i contrasti aerei e non si tratteneva mai dall’usare il suo taglientissimo vernacolo toscano per provocare gli avversari. Sua l’invenzione del soprannome Marisa, affibbiato a Giampiero Boniperti con grande disappunto dell’interessato. In pieno stile anche la provocazione a John Charles. Veleno, infatti, non fu tanto tenero nei confronti della Regina d’Inghilterra, definendola una donna di facili costumi. La provocazione non ebbe effetto, perché il Gigante buono, rispose pacificamente: «Non è la mia regina, io sono gallese».
Il soprannome di Veleno, però, non deriva dai giornalisti, che si limitarono ad appropriarsene, ma dalla madre Ida, che lo chiamava così per i suoi trascorsi di bambino molto vivace. Anche il nome Benito nacque da uno scherzo, voluto dal nonno del calciatore come sfottò verso il nascente regime fascista, che lo aveva costretto a chiudere la sua panetteria.
Ma il massimo lo raggiunse durante un derby Inter-Milan, quando venne fischiato un rigore assai dubbio a favore dei rossoneri. Lorenzi andò dal proprio massaggiatore e si fece consegnare un pezzo di limone. Mentre l’arbitro Lo Bello era distratto dalle proteste dei giocatori in campo, lo posizionò rapidamente appena sotto il pallone, posato sul dischetto degli undici metri. Nonostante le grida dei tifosi, il rigore venne tirato da Cucchiaroni, ala sinistra del Milan, che non si era accorto di niente. Il tiro sbilenco fece uscire il pallone di oltre sei metri e la partita si chiuse sull’1-0 per gli interisti. Tutto questo, però, costrinse Veleno ad una rapida fuga negli spogliatoi per evitare l’invasione di campo dei tifosi avversari, infuriati.

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