mercoledì 12 ottobre 2022

Emanuele BELARDI



Spesso si sceglie di stare tra i pali perché gli altri sono più bravi a giocare la palla – scrive Umberto Zola su “Hurrà Juventus” dell'ottobre 2006 – oppure perché nessuno vuole rimanere fisso in porta e tutti vogliono essere protagonisti nell’area avversaria. Non è questo il caso: Emanuele Belardi oggi ha ventinove anni, ma già quando era un bambino come tanti e giocava a pallone nei campetti di Eboli, il neo acquisto bianconero preferiva le parate ai calci, amava tuffarsi piuttosto che correre. La voglia c’era, le qualità pure e così la sua passione si è trasformata in una professione. Undici anni di onorata carriera, coronata quest’estate dalla chiamata della Juventus, «un’opportunità colta al volo».
Lasciamo però il presente per lare un passo indietro fino agli esordi: «I primi calci, anzi le prime parate, le ho fatte in una scuola calcio di Eboli, il mio paese natale. Ho sempre amato il ruolo del portiere, in primo luogo perché non dovevo correre per tutta la partita come gli altri e poi perché sentivo di essere bravo tra i pali. A tredici anni sono stato chiamato dalla Reggina e la mia aspirazione si è trasformata in realtà».
– Quando hai capito che ce l’avresti fatta? «Inizialmente era solo un sogno, ma dopo un anno tra gli allievi è arrivato il debutto in Primavera e ho iniziato a crederci sempre più. Eravamo una buona squadra, abbiamo anche raggiunto le semifinali scudetto. Così, l’anno dopo, mi sono trovato nella rosa della prima squadra e a diciotto anni ho esordito in Serie B. Dopo un paio di stagioni a Reggio sono passato al Turris, in C1. Un’esperienza dura, a quei tempi i giovani calciatori non avevano vita facile, specie nelle serie minori. Comunque mi è servito, in quella stagione ho imparato molte cose, ho fatto la giusta gavetta e ciò mi è stato utile nel proseguo della mia carriera».
– Una carriera che ti ha visto protagonista a Reggio Calabria per sei anni consecutivi. Poi Napoli, la breve parentesi di Modena, Catanzaro e ora la Juventus. Te lo saresti mai aspettato? «Beh, è stata certamente una sorpresa. Ma nella vita non si può mai dire mai, specie se si fa il mio mestiere. Il calcio è strano: nel 2004-05 venivo da tre stagioni giocate alla grande, una promozione in A e due salvezze nella massima serie, e mi sono ritrovato a giocare in C1. Quest’estate, al contrario, ero tornato alla Reggina dopo i guai finanziari del Catanzaro, credevo di dover andare ad Ascoli e invece mi è arrivata la chiamata della Juventus, una delle squadre più conosciute al mondo. Non ho esitato nemmeno un secondo, ho detto al mio procuratore che ci sarei venuto anche di corsa».
– Come è stato il primo impatto? «Ricordo che i primi giorni mi limitavo a guardare i grandi campioni, per capire cosa avevano di speciale, quali erano i loro segreti. Poi ho capito che sono persone semplici come lo sono anch’io. Scendendo in Serie B, hanno dimostrato di avere una grande umiltà, di essere dei professionisti, dei veri fuoriclasse».
– Tu conosci bene sia la massima serie che quella cadetta. Quali sono le differenze più rilevanti? «In Serie B c’è molta più quantità. Si corre di più, c’è più agonismo. Per vincere ci vogliono lo spirito e la mentalità giusta. Se si gioca col massimo impegno, allora la qualità farà la differenza. Parola di un portiere che di B ne ha già vinte due».
– Cosa significa difendere la porta bianconera? «Vuol dire impegnarsi sempre anima e corpo, cercando di farsi trovare pronti nelle occasioni che capiteranno. Dare il massimo... è il minimo che io possa fare per ripagare l’opportunità che la Juventus mi ha offerto».

Nelle gerarchie bianconere è il terzo portiere, dietro a Buffon e Mirante, e non scende mai in campo. «Gigi è il numero uno in assoluto – rivela – e avere rapporti con Del Piero, Camoranesi, Trézéguet, Nedved, calciatori che qualche mese prima avevano disputato la finale di un Mondiale, fu fantastico, perché erano di un’umiltà spaventosa. E fu proprio questo che mi colpì di quei grandi campioni. Per tutti qual campionato in Serie B sembrò una passeggiata, ma sotto l’aspetto psicologico fu una situazione particolare. Ma non per me, perché io l’avevo già vissuta diverse volte. Anche in quell’occasione dimostrarono un grande attaccamento e una grande umiltà in una situazione che per loro era surreale».
Nella stagione successiva è acquistato definitivamente dalla Juventus e, con la cessione di Mirante alla Sampdoria, è promosso nel ruolo di secondo portiere. Sotto la guida di Claudio Ranieri gioca titolare in Coppa Italia, mentre in campionato è chiamato a sostituire il titolare Buffon, spesso frenato dai dolori alla schiena. Esordisce in maglia bianconera, avversaria la Reggina; è schierato ancora contro il Livorno, il Cagliari e, nuovamente, la Reggina, nella partita persa dai bianconeri per 1-2, incontro pesantemente condizionato dai clamorosi errori dell’arbitro Dondarini.
L’ultima presenza di Emanuele è a Genova, nell’ultima partita di campionato con la Samp, durante la quale si toglie la soddisfazione di parare un rigore a Cassano. Al termine del campionato totalizza nove gare, comprese le partite di Coppa Italia, sostituendo degnamente il portiere Campione del Mondo.
«La partita del debutto fu a Livorno, anche se esordii ufficialmente nei cinque-dieci minuti finali del match con la Reggina. In Toscana andai abbastanza bene ed ero in camera con Giorgio Chiellini e mi dicevo “Ma se me la sono cavata nelle squadre piccole, sarà una passeggiata giocare nella Juve”. La presi con questa filosofia e poi, per dire la verità, a detta degli addetti ai lavori giocai bene. Fu un anno fantastico, perché nonostante una rosa normalissima e i tanti infortuni, con un gruppo fortissimo arrivammo in Champions e battemmo l’Inter a San Siro, il Milan Campione d’Europa e del Mondo e tante altre squadre. C’era Legrottaglie in difesa, Cristiano Zanetti e Nocerino a centrocampo: davvero dei bei ricordi. E questa credo sia la più limpida dimostrazione che se c’è un gruppo forte si possono ottenere grandi risultati».
Il 20 luglio 2008 è ceduto in prestito all’Udinese, nell’operazione che riporta a Torino Antonio Chimenti.

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