giovedì 14 marzo 2024

Fernando VIOLA


Prodotto del vivaio bianconero, veste la maglia più importante a vent’anni e ci arriva in una giornata per concentrazione di eventi, anche atmosferici oltre che sportivi: il giorno nel quale la Juventus di Vycpálek capisce in pratica di potere e volere lo scudetto numero 14. 12 marzo ‘72, al Comunale contro il Bologna: Nando Viola, elemento di spicco della Primavera, è chiamato a rimpiazzare niente meno che Causio già detto Brazil, a sua volta investito dei panni di Haller. «Esordire in Serie A – dice Fernando – è il miglior modo per prepararsi alla maggiore età. Certo, entrare nella Juventus in questo momento decisivo del campionato, è un’impresa. Prometto comunque il massimo impegno. Ho un po’ di emozione, ma sono sicuro che in campo tutto passerà».Piove a dirotto su Torino, il campo è un vero acquitrino: la compagine bianconera gioca bene, crea occasioni ma sono i felsinei a portarsi in vantaggio con Perani. Sembra impossibile poter risalire la china, ma la Juventus è coriacea e non molla mai, proprio come il suo allenatore. Nel giro di due minuti, 71’ e 72’, Anastasi e Marchetti rovesciano la situazione e la “Vecchia Signora” conquista due punti preziosissimi per continuare a inseguire quel sogno chiamato scudetto.
Così inizia la sua carriera juventina, non lunga ma nemmeno effimera e comincia in un modo che più bello non si potrebbe. Gran prova la sua, pur tra mille difficoltà contingenti. La grinta, il temperamento da veterano, abbinati a un tocco di palla che incanta la platea, definiscono l’atleta e il calciatore senza bisogno di altro. Il buon Vycpálek capisce immediatamente di avere a che fare con un cavallo di razza, ma non può né vuole bruciare il ragazzo, in un momento delicatissimo della stagione. Di Viola c’è bisogno, infortuni in serie costringono l’allenatore a rivoluzionare ogni domenica la formazione. Così, Viola torna in campo sette giorni dopo la vittoriosa, anche per merito suo, battaglia con il Bologna. Gioca a Napoli e conferma le cose buone intraviste la domenica prima.
Nel derby che può essere decisivo per l’assegnazione dello scudetto, sostituisce nel corso della ripresa lo spento Novellini e sono altri applausi, anche se la squadra si fa superare dai granata, dopo essere passata in vantaggio. Torna a tempo pieno nella gara del rilancio, contro il Varese, poi Vycpálek estrae dal cilindro la soluzione vincente; avanza Cuccureddu a mezzala e Viola è costretto a guardare da semplice spettatore l’avvincente finale.
C’è ancora qualche scampolo di calcio vero, con il girone finale di Coppa Italia e il buon Nando trova nuovamente spazio e consensi, giocando alla grande nella vittoriosa ancorché platonica gara interna con l’Inter.
A luglio è destinato in prestito a Mantova, dove trova il modo di mettersi in bella evidenza, in un campionato duro e faticoso come la Serie B.
«Non posso dire che l’anno passato a Mantova non mi sia servito a nulla. Certamente mi è stato utile per formarmi una personalità; credo anche di aver acquistato una capacità maggiore di reazione. Certo, tra la B e la A ho notato differenze davvero grandi, che in una certa misura non mi aspettavo. Il gran correre e l’alto grado di agonismo me li aspettavo, ma in misura minore: adattarsi alla nuova realtà è stato per me piuttosto duro, specialmente per via del clima infuocato e della durezza del gioco che ho ravvisato praticamente a ogni partita. Nel caso nostro, a Mantova ci si mise oltre tutto di mezzo la sfortuna, e le sconfitte in serie finirono per scuotere non soltanto la squadra, ma un po’ tutto l’ambiente, dai dirigenti ai tifosi. I rimedi non sempre portarono a dei progressi, e la retrocessione ne è stata la prova più evidente».
Il ritorno in bianconero avviene nel 1973-74 e Viola ritrova un ambiente che praticamente non è mutato per niente: poche le facce nuove, immutati i traguardi, sempre i massimi. L’anticamera, stavolta, è più breve. Dopo un inizio incerto, la squadra trova la via del gioco e dei gol e, in quel momento, trova anche in Viola un’ottima soluzione alternativa a Cuccureddu e Capello.
Nando debutta ai primi di dicembre e il suo arrivo coincide con la rotonda vittoria per 5-1 a spese del Verona; con la maglia di Capello, propizia almeno un paio dei 5 gol juventini e si distingue per la sua continuità di azione. In un’altalena di presenze e di ritorni in tribuna, Nando torna a far parlare di sé nel girone di ritorno; a Genova, contro i rossoblu, è tra i migliori in campo e nel big match di sette giorni dopo, contro il Milan, si rende pericoloso con conclusioni dalla distanza, che rivelano in lui doti niente affatto comuni.
La migliore partita della stagione Nando la gioca a San Siro, contro l’Inter: in una giornata importantissima per la Juventus, costretta a vincere per non lasciare via libera alla Lazio capolista, Viola mette lo zampino in entrambe le reti con le quali Bettega dà la vittoria ai suoi e gioca a tutto campo, con il mestiere e la concretezza di un veterano.
«È stato un 2-0 indimenticabile – racconta – in mezzo quel tripudio di bandiere bianconere, all’università del calcio italiano. Ma tutta la mia stagione è stata buona; dopo San Siro, credevo di aver chiuso, perché il titolare non ero io, ma l’indisponibilità di Capello prima e di Cuccureddu poi, mi hanno aperto le porte del campo».
In chiusura di stagione, in Coppa Italia, c’è altra gloria per il ragazzo di Torrazza, che a Cesena gioca al fianco di un ragazzino, debuttante assoluto, di cui si sentirà più tardi parlare: un certo Paolo Rossi. Scontata, naturalmente, la conferma di Viola per la stagione successiva, il 1974-75. Un’annata ricca di impegni, che fatalmente darà ancor più spazio ai giovani valorosi che ruotano intorno all’undici di base.
La duttilità di Nando non sfugge al nuovo allenatore Parola, che concede spesso fiducia a questo ragazzo dal fisico possente, dal passo di maratoneta, ma pure dotato di un controllo di palla invidiabile. Viola sa marcare e rifinire, è insomma quel prototipo di giocatore completo che la moda olandese di quei giorni non può che additare ad esempio.
Il campionato e la Coppa Uefa esaltano spesso le doti di Viola, cui il clima infuocato dei mercoledì di coppa pare essere particolarmente adatto. Si rende protagonista assoluto e pure goleador, nella vittoriosa partita dei quarti di finale contro l’Amburgo; il suo gol è un capolavoro di tecnica e tempismo, con uno slalom inarrestabile concluso da una fiondata secca e irresistibile.
«Il gol di Fernando Viola al dodicesimo minuto – scrive Franco Costa su “Stampa Sera” –  è il gol della consacrazione per questo ragazzo che faceva sempre trenta e mai trentuno. Giocava bene ma non mordeva, non azzannava l’avversario e la palla, quindi, non arrivava neanche al gol. Ieri sera ha dato spettacolo, esibendosi nel primo tempo e sacrificandosi nella ripresa. Per Viola, piemontese purosangue di Torrazza, quella con l’Hamburger è una partita storica, perché può segnare l’inizio della sua carriera come grande calciatore. Viola in questi anni ha cercato di farsi strada fra centrocampisti come Capello, Causio, Furino, Cuccureddu. Chiuso in partenza. Gli restava qualche soddisfazione in allenamento, qualche sostituzione in coppa o in campionato. Alla gente piaceva, così pulito, ordinato ed estroso nel gioco, ma non poteva entusiasmarsi, perché inserito saltuariamente, quindi disadattato; e sembrava, a noi, che il ragazzo non sapesse soffrire L’avevamo visto una volta chiudere gli occhi per saltare di testa temendo di farsi male, forse, contro un avversario. Una brutta impressione, cancellata finalmente dalla vigorosa prova di ieri sera contro quei tedeschi che non perdonano la paura e i tentennamenti. Viola sembrava dovesse essere uno di quegli enfant-prodige che con il trascorrere degli anni si riducono a enfants. Invece il ragazzo si è fatto evidentemente uomo, è migliorato in silenzio, lontano dalle attenzioni di molta gente e la partita di ieri sera si spiega. Per giocare come ha giocato ieri sera Fernando bisogna essere campioni. Questo è scontato. Non si improvvisa, né si inventa nulla nel calcio. Proprio perché esaminato e criticato in passato, la prova contro l’Hamburger stabilisce dimensioni esatte per il centrocampista di Torrazza al punto che oggi qualche intoccabile centrocampista della Juventus si chiede se quel Viola non rappresenta un rischio per il posto di titolare. Fernando non si chiede niente. Va bene cosi e sostituirà lo squalificato Causio domenica prossima. Neppure ieri sera si chiedeva qualcosa. Soltanto teneva sottolineare che forse aveva dimostrato di non essere un bluff e che la fioritura di un Viola per la prossima primavera è anche una garanzia per lo scudetto della Juventus».
In campionato, la sua giornata di maggior fulgore coincide con il risultato più eclatante conquistato dalla squadra bianconera, quel 6-2 inflitto al Napoli sul proprio terreno. Una delle 6 marcature porta la firma dì Viola e non per caso, perché Nando è uno dei migliori in campo. Con una quindicina di gettoni di presenza, complessivamente tra campionato e coppa europea, Viola si consegna agli archivi di quella stagione con un ruolo tutt’altro che di secondo piano.
Purtroppo per lui, i piani di ristrutturazione della società, in vista di un nuovo tentativo di scalata ai massimi traguardi italiani ed europei, prevedono anche il suo sacrificio. L’avventura bianconera di Nando Viola termina qui, dopo tre stagioni in prima squadra e un bel po’ di soddisfazioni, culminate nel contributo dato alla conquista di due scudetti. Quanto basta per farsi ricordare con grande simpatia.

VLADIMIRO CAMINITI
Come è duro per un torinese arrivare a giocare in prima squadra, anche fornito di tutto, quadrato come un lottatore, simpatico e coi riccioli, se non si possiede il concetto del gioco corale, ci si appassiona del pallone, si amano le sgroppate e i tiri impossibili, non si partecipa con l’ispirazione giusta. Viola studente in lingue, uscito dal vivaio e malviso al suo primo maestro per ragioni private, ebbe nella Juve uno sbocco e cercò di imporsi. Giocò una grandiosa partita in Coppa Uefa contro l’Amburgo con un gol da campione, ma per il campionato ‘75-76 fu ceduto al Cagliari.
Nenè vecchio, Riva acciaccato, Niccolai declinante, Vecchi con una mano a pezzi, campionato rovinoso e per il sardo Tiddia, quel bianconero aveva poco nerbo e troppa lingua, meglio altri. Girovagare è il suo destino e viene ceduto alla Lazio allenata dal mister ombroso Vinicio. Subito dichiara di dover giocare per diritto di classe e Vinicio lo lascia fuori. In realtà, è difficile afferrare il nocciolo della personalità strategica di questo attaccante, che scatta a testa bassa, che ha momenti deliziosi, che alla fine ti lascia perplesso perché ha aspettato più di accorrere, ha eseguito più di intuire.

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