sabato 27 febbraio 2016

Valerij BOJINOV


UMBERTO ZOLA, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’AGOSTO/SETTEMBRE 2006
Avere vent’anni ed essere già considerati giocatori esperti può sembrare un paradosso. Non per il neo-bianconero Valeri Bojinov, uno dei talenti più precoci del calcio europeo, che calca i campi della massima serie da quando, di anni, non ne aveva nemmeno sedici. La sua carriera è cominciata prestissimo: il calcio l’ha portato a lasciare la Bulgaria e trasferirsi in Italia, sponda Lecce, appena tredicenne, per poi bruciare le tappe e risalire lo Stivale, dalla Puglia alla Fiorentina fino ad approdare, quest’estate, alla Juventus. Una chiamata che Valeri ha accettato al volo, sicuro di trovarsi di fronte alla grande occasione della propria carriera, indipendentemente dal campionato in cui si sarebbe giocato. «Stiamo parlando della Juventus» – è stato il suo primo pensiero – «certo che voglio giocare con voi».
È un ragazzo simpatico, Bojinov, e se non ci credete chiedete conferma ai tanti tifosi che l’hanno incontrato dal vivo, ad Acqui Terme e a Pinzolo, durante il ritiro bianconero. Sul palco del Summer Village alessandrino, con fare da showman navigato, ha trascinato la folla invitandola a cantare l’inno della Juventus e il coro più famoso dedicato al suo capitano, Alessandro Del Piero, «un calciatore straordinario, non vedo l’ora di giocarci insieme». Una settimana dopo, nel fresco verde della Val Rendena, si è ripetuto, dialogando coi tifosi e concedendo loro una marea di autografi. Simpatia contagiosa, talento in abbondanza, passione per il calcio e tanta voglia di vincere sono le sue carte vincenti, un poker che sin dai primi giorni di ritiro l’ha fatto entrare nel cuore degli appassionati bianconeri. Guadagnata la stima dei tifosi, ora Valeri vuole a tutti i costi mantenerla, rafforzarla, farla crescere. Come? Segnando gol a raffica per tutta la stagione.
Giocatore potente, abilissimo in zona gol tanto da riuscire a superare, non ancora maggiorenne, la boa delle 10 reti in campionato (precisamente 13, ed eravamo nel 2004/05) Bojinov ha sempre amato stare all’attacco. Fin da quando era un bambino e giocava a pallone tra le strade di Goriahovitza, la sua città natale, a metà strada tra la capitale Sofia e il Mar Nero. «È lì che tutto è cominciato», ci ha raccontato dopo un’intensa giornata di test atletici, preludio agli ancor più faticosi allenamenti che contraddistinguono ogni ritiro precampionato. «Avevo sei, sette anni, e giocavo coi miei amici nei campi pubblici. Purtroppo, ai miei tempi, in Bulgaria non era come in Italia, dove ci sono le squadre giovanili, le scuole calcio che ti seguono passo passo sin da piccolo. Ora la situazione è migliorata, ma quindici anni fa era molto difficile emergere. Se avevi talento, eri molto bravo, allora potevi entrare a far parte di qualche squadra e giocare con ragazzi più grandi di te. Altrimenti non potevi farcela, e il calcio rimaneva soltanto un divertimento con gli amici».
Valeri ce l’ha fatta: grazie al suo talento naturale, al fisico potente e veloce ha impressionato Pantaleo Corvino, ex direttore sportivo del Lecce, che gli ha dato l’opportunità di fare un provino per la squadra pugliese. Superato a pieni voti. «È bastato un giorno di prova per convincere gli osservatori del Lecce, che subito hanno deciso di acquistarmi. Così, a 13 anni, è iniziata la mia avventura».
– È stato difficile lasciare così giovane la tua famiglia, il tuo Paese, per venire a giocare a calcio in Italia?
«Ricordo che i miei genitori hanno lasciato che facessi la mia scelta, senza condizionarmi in alcun modo. Mia madre, Pepa, è una sportiva, ha giocato nella serie A bulgara di basket. Però non mi ha detto di comportarmi nell’una o nell’altra maniera. Quando si ha un figlio o una figlia con una forte passione, un obiettivo preciso per il quale è disposto a fare sacrifici, ritengo che sia giusto lasciarlo provare. I bambini hanno bisogno di essere lasciati liberi, non bisogna viziarli, ma nemmeno opprimerli. Mia madre e mio padre mi hanno semplicemente detto: “L’opportunità è grande. Se te la senti, parti. Altrimenti, resta”. E, se fossi restato, cosa avrei potuto fare? Così ho scelto di partire e grazie all’aiuto di Dio ho avuto la fortuna di farcela. E pensate che, la sera del 6 ottobre 1999, giorno in cui sono arrivato a Lecce, è nata mia sorella, Michela».
– Quasi un segno del destino. Mentre a casa nasceva una bambina, a Lecce fioriva un campione. È stato un problema ambientarsi in Puglia?
«Per nulla. Da questo punto di vista, forse l’essere stato così giovane mi ha aiutato. Se fossi venuto in Italia a 17-18 anni, magari sarebbe stato più difficile. Sono stato seguito da persone molto brave, che mi hanno trattato benissimo, senza farmi mai mancare nulla. Se devo ringraziare qualcuno in particolare scelgo il mio procuratore Gennaro Palomba, con il quale ho un rapporto magnifico, da fratello. Mi è sempre stato vicino, aiutandomi quando ne avevo bisogno e “bastonandomi” quando meritavo una sgridata. E poi devo anche ringraziare gli italiani in generale, un popolo caloroso e aperto che mi ha sempre trattato bene».
– In Italia hai frequentato anche le scuole, per questo parli così bene la nostra lingua.
«Sì, ho studiato fino alla seconda superiore. Poi ho dovuto smettere, ero troppo impegnato con il calcio. Prima di andarmene, però, ho parlato con i professori e col preside. Mi hanno dato tutti il loro benestare, e poco tempo dopo ho debuttato in serie A».
– Al Lecce hai bruciato ogni tappa, dalle giovanili alla prima squadra fino a diventare, a 15 anni e 11 mesi, il più giovane straniero a esordire in Serie A.
«Ho incominciato subito a giocare coi ragazzi di un anno più grandi di me, poi mano a mano che crescevo passavo nelle rappresentative superiori e il divario di età aumentava, fino alla Primavera. Quindi, il 27 gennaio 2002, sono sceso per la prima volta in campo durante un match di Serie A. È stata un’emozione molto forte, purtroppo attenuata da una tragedia che aveva colpito proprio il Brescia, l’avversaria di giornata. Pochi giorni prima era infatti scomparso Vittorio Mero, difensore bresciano (vittima di un incidente stradale, n.d.r.). L’episodio mi aveva scosso profondamente, era un giovane come me, un compagno che avrebbe dovuto giocare quella domenica e che invece non c’era più. Non me la sono sentita di festeggiare, ero troppo triste per quel che era successo».
– Partita dopo partita hai iniziato a segnare sempre più spesso. Ora sono più le reti in Serie A dei tuoi anni: ben ventidue. Ne ricordi qualcuna in particolare?
«No, o meglio, le ricordo tutte benissimo. Non ce n’è una più bella e una meno, sono tutte stupende. Gonfiare la rete avversaria è la massima soddisfazione, la gioia più grande per un calciatore che ha sempre giocato in attacco. Fin da quando giocavo in Bulgaria il mio obiettivo è sempre stato quello di riuscire a segnare. Per questo ricordo e rispetto ogni mio gol».
– Dopo Lecce e Fiorentina, la Juventus. L’hai subito definita “l’occasione più importante della mia carriera”.
«E lo è. Ricordo che ero al mare, in Bulgaria. Il mio procuratore mi ha telefonato, dicendomi che la Juventus era interessata a me e chiedendomi se volevo venire a Torino. “Certo che voglio venire”, gli ho subito detto. È la più grande chance che io abbia mai avuto e non posso lasciarmela sfuggire. La Juventus è una grandissima squadra, conosciuta in tutto il mondo, e giocare con questa maglia, con le righe bianconere e la scritta Juventus, è il massimo per un calciatore giovane come me. È un’emozione, ma anche uno stimolo in più che mi sprona a impegnarmi e migliorare. Per questo ringrazio Dio, che mi ha dato queste opportunità, e il direttore sportivo Alessio Secco, che mi ha cercato».
– Si è parlato, in Bulgaria, del tuo passaggio alla Juventus?
«Se n’è parlato molto, anche perché sono il primo giocatore bulgaro che riesce a vestire la maglia della Juventus, una società molto famosa anche dalle mie parti. Ma sai, in verità non mi sono interessato molto a ciò che si è detto e scritto. Non sono uno che passa il suo tempo a leggere cosa i giornalisti pensano di lui. Preferisco i fatti: allenarmi bene, giocare e dare il mio contributo fino in fondo».
– In pochi giorni hai saputo ritagliarti uno spazio nel cuore dei tifosi. Merito della tua bravura, ma anche della tua simpatia. È importante l’affetto della gente quando ci si trova in campo?
«È molto importante. Per questo io dico sempre che “bisogna avere rispetto per ricevere rispetto”. Quando ne ho la possibilità, non mi faccio problemi a intrattenermi coi tifosi, a firmare gli autografi a chi me lo chiede, a esaudire le loro richieste. So che loro, in cambio, mi sosterranno dagli spalti durante le partite trasmettendomi il loro affetto, tifando per me. Come dite in Italia, il pubblico è il dodicesimo uomo in campo. Ti carica, ti dà quel qualcosa in più che è molto importante quando si gioca una partita».
– Cosa vorresti promettere loro?
«Le promesse a volte non si avverano. Io preferisco la concretezza. È sul campo che i calciatori devono dimostrare il loro valore. Se dai il massimo, se contribuisci al successo della squadra, tutti ti apprezzeranno. E questo vale più di ogni promessa».
– Cosa significa, per te, giocare spalla a spalla con grandi campioni?
«Avere nella propria squadra giocatori che, nella loro carriera, hanno vinto tutto, è una cosa fantastica. Penso a Del Piero, che ha vinto il Mondiale, la Champions League, gli scudetti. Un vero fuoriclasse che, per un giovane come me, è come uno scrittore, un artista, che può insegnarmi molto. Per questo mi impegnerò cercando di imparare il più possibile, da lui come anche da Pavel, un altro grandissimo».
– Ti trovi bene in Italia?
«Mi trovo benissimo. La gente è molto cordiale e poi, calcisticamente parlando, l’Italia è il massimo. Il campionato italiano è il più bello del mondo, il più seguito, il più difficile, il più stimolante. Il posto giusto per me».
– Che consiglio daresti a un ragazzo che si appresta a lasciare la sua famiglia per tentare l’avventura nel calcio italiano?
«Uno solo: usare sempre la testa e il cuore. Nient’altro. Certo, bisogna avere talento, ma non è tutto. Occorre impegnarsi rigorosamente e non smettere mai di provare passione per ciò che si fa. Testa e cuore, se si hanno queste due qualità, si può sfondare in ogni campo».
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La Juventus crede molto in Valeri, peccato che non sia dello stesso parere Deschamps con il quale Bojo entra presto in conflitto. Per tutta risposta, Didì lo lascia spesso in panchina, anche quando la Juventus è in difficoltà, a causa degli infortuni di Trézéguet e Del Piero.
Bojinov, comunque, comincia bene la stagione in bianconero: in Coppa Italia segna una rete al Martinafranca e una al Cesena. In campionato, titolare a Crotone alla terza giornata, realizza una doppietta, trascinando la Juventus alla vittoria. Dopo pochi spezzoni di partita, Valeri ritorna protagonista proprio contro il Lecce del suo mentore Zeman: dopo pochi minuti della ripresa, la Juventus passa sorprendentemente in svantaggio. Così, Deschamps è costretto a far entrare in campo il bulgaro, il quale realizza una doppietta; il primo gol è di rapina, sfruttando un errato disimpegno della difesa leccese, il secondo è con una perfetta punizione dalla destra.
Titolare anche la partita successiva, nell’insidiosissima trasferta di Genova, Bojo non riesce a mettersi in evidenza, nonostante la buona prova della compagine bianconera. Ritorna protagonista qualche mese dopo, nella trasferta di Modena: buttato nella mischia a pochi minuti dal termine, confeziona il perfetto cross che genera l’autogol del difensore emiliano e, di conseguenza, la vittoria della Juventus
L’avventura di Valeri alla Juventus termina qui: i tabellini parlano di 21 presenze, ma le partite intere saranno solamente 3. Inevitabile il ritorno alla Fiorentina, con tantissimi rimpianti di non aver potuto capire il reale valore del giovinotto bulgaro.

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