sabato 28 gennaio 2023

Carlo OSTI


GIANNI GIACONE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL GENNAIO 1981
Che effetto fa giocare, stopper o terzino è lo stesso, nella squadra che più di ogni altra ha esaltato i titolari di queste maglie, elevandoli all’azzurro? Che significa, per il talento giovane, raccogliere alla Juve eredità pesanti, di un Morini o di un Cuccureddu, di uno Spinosi o di un Bercellino? Son domande difficili, che avremmo voluto fare pari pari a Carlo Osti da Vittorio Veneto, e che invece non abbiamo fatto. Per evitare risposte retoriche, per non arrivare alla banalità con un personaggio che di banale non ha proprio nulla.
L’intervista a questo ragazzo di talento, che ha già trovato posto e simpatie in maglia bianconera pur dicendo a destra e a manca che non ha nessunissima fretta di «sfondare», passa attraverso interrogativi più modesti, più legati al quotidiano, e forse per questo meno convenzionali.
Andiamo qui alla scoperta di uno juventino dai tratti antichi, eppur modernissimo, prototipo in sé di questa nuova maniera di esser calciatori che può piacere o non piacere, che a noi personalmente piace parecchio, e che comunque significa, umanamente, evoluzione della specie, della categoria.
Osti, nel linguaggio e nelle abitudini fuori del campo, magari ricorderà pochissimo i colleghi di vent’anni fa, magari avrà poco o nulla da spartire con i rodomonte, epperò finirà, ne siamo quasi certi, per ripercorrerne la strada, per arrivare agli stessi, grandiosi risultati. Tutte le strade portano al successo, e ogni epoca ha la sua strada.
– All’Atalanta ti sei affermato come, difensore eclettico e irriducibile; all’Udinese hai confermato quanto di buono avevi lasciato intravedere a Bergamo. In entrambi i casi, hai avuto moltissime opportunità di metterti in evidenza. Alla Juve trovi una situazione obbiettivamente diversa. Ti spaventa l’idea di dover dimostrare il tuo valore in spezzoni di partita, oppure in partite magari isolate?
«Non mi crea particolari problemi. Giocare sempre aiuta moltissimo, ma arrivando alla Juve sapevo benissimo che non avrei potuto pretendere la luna. Perciò, sono contento così, e non mi pongo traguardi particolari. Del resto, sono convinto che una squadra come la Juve, prima o poi, ha bisogno di tutti i componenti del suo organico. Per quanto mi riguarda, certe opportunità le ho già avute, senza nemmeno dover aspettare troppo».
– Tutti i concorrenti ai posti di marcatore, nella Juve, sono nazionali o quasi. Una bella lotta, no?
«Bella e stimolante. Gentile, Cabrini e Cuccureddu sono degli autentici campioni, e anche a vederli dalla panchina ho tutto da guadagnare».
– Molti addetti ai lavori, pur apprezzando il tuo rendimento, criticano il tuo modo di giocare, il tuo stile. Dicono che sei un «duro», un cattivo…
«Credo che queste persone confondano la cattiveria con l’esuberanza. Il confine tra i due concetti, del resto, non è facilmente individuabile. Si può, si deve, a mio avviso, essere esuberanti, decisi, quando si gioca sull’uomo. Il difensore moderno, secondo me, anche se dispone di doti tecniche rilevanti, deve soprattutto avere grinta e anticipo, deve stare sull’avversario e non mollarlo mai. Quando poi ci sono le finezze, tanto di guadagnato, ma sono un di più».
– Il fatto che Azelio Vicini abbia coniato per te un paragone niente meno che con Burgnich ti ha creato dei problemi, o ti ha semplicemente fatto piacere?
«Essere avvicinato a quel grande campione che è stato Burgnich, tra l’altro l’idolo della mia infanzia, mi ha fatto estremamente piacere. Anche se credo che il signor Vicini abbia un po’, come dire, anticipato i tempi. Spero che sia stato un buon profeta, ma ritengo, in tutta onestà, di dover ancora dimostrare quanto valgo, e che certi paragoni siano prematuri».
– Tu sei un calciatore-studente. I tuoi hobby risentono in modo particolare di questo fatto, o sono gli stessi dei tuoi colleghi bianconeri?
«Confesso che non conosco ancora abbastanza a fondo i miei compagni di squadra per sapere quali sono i loro hobby. Posso dirti che i miei sono assolutamente normali. A parte lo studio, leggo abbastanza e vado al cinema. A Udine, certo, la mia vita fuori del campo era molto diversa. Vivevo praticamente a casa, con gli amici, frequentavo il solito bar e via dicendo. A Torino mi sto ambientando, e trovo vantaggi e svantaggi. I secondi, per fortuna, sono pochi. Tra i vantaggi, direi che qui sono in una città che offre, culturalmente, parecchie opportunità, e le sto valutando con attenzione. Tornando alla domanda sugli hobby, mi piace viaggiare e conoscere gente nuova: col lavoro che faccio, mi definisco senz’altro, in tal senso, un privilegiato».
– Qual è la tua opinione sugli stranieri? Servono, sono indispensabili, sono superflui?
«Servono, in generale. Sono indispensabili, se sono dei campioni. Il nostro Brady lo è senz’altro, e credo quindi che per la Juve l’arrivo dello straniero sia stato un grosso vantaggio. Liam, oltretutto, è un ragazzo d’oro, simpaticissimo. Si è inserito subito tra di noi, non solo tecnicamente, ma anche e soprattutto sul piano umano».
– Qual’è stato, sino a oggi, il tuo maggiore rimpianto?
«Il non aver potuto partecipare, con la nazionale Olimpica, alla spedizione a Mosca. Un rimpianto, comunque, relativo, perché se anche avessimo conquistato il posto a spese della Jugoslavia, io personalmente, in quanto militare, non avrei potuto andarci, per il noto veto».
– Restiamo in argomento nazionale: come Under 21 sei fuori quota, come «moschettiere» hai davanti una nutrita concorrenza...
«Proprio così. Ma non me ne faccio un grosso problema. Questo è un anno importante, nel calcio ogni anno, ogni mese, può essere decisivo. Certo che mi farebbe un immenso piacere entrare nel giro della Nazionale maggiore. Però, i Collovati e i Gentile sono fortissimi, e per il momento non credo proprio che ci sia bisogno di me».
– Hai scelto Giurisprudenza: motivi familiari, visto che tuo padre è avvocato, o decisione autonoma?
«Decisione autonoma, condizionata dalla mia carriera di calciatore e dagli studi che avevo concluso. Ho fatto il liceo classico, e giurisprudenza veniva a pennello anche perché non mi costringeva a frequentare le lezioni. Adesso sono iscritto al quarto anno, e non mi sono trovato male sin qui. Penso che mi laureerò, prima o poi».
– Ritieni di restare nell’ambiente del calcio, dopo la fine della carriera, o pensi che sia troppo presto per una decisione del genere?
«In proposito, ho le idee abbastanza chiare. No, non resterò nell’ambiente del calcio. Dopo anni passati a giocare, sono convinto che arrivi il momento in cui sei saturo, e cerchi altri ambienti, altri settori dove realizzarti. La laurea dovrebbe aiutarmi proprio in questo senso».
– Le norme che regolano il calcio, in Italia, sono sorpassate: lo dicono coloro che sono chiamati ad applicarle, nell’ambito della giustizia sportiva, e quindi è un’opinione più che autorevole. Pensi che una trasformazione possa avvenire in tempi brevi?
«Sono convinto di no, anche se determinati principi, come quello della responsabilità oggettiva della società per fatti compiuti dai propri giocatori o tifosi, mi sembrano abbastanza ingiusti. Credo, infatti, che su quei principi, che hanno retto per decenni questo sport, si basino rapporti e situazioni che potranno modificarsi solo lentamente e gradualmente. Sennò, si rischia il caos».
– Hai un obiettivo specifico, per questa stagione?
«Sì: a parte giocare il più possibile, vorrei che la Juve tornasse a vincere lo scudetto. Non sarà un desiderio granché originale, ma personalmente, ti assicuro, è sentitissimo».
La chiacchierata si esaurisce qui, e non certo per mancanza di argomenti. Basterebbe rivedere l’Osti più recente, quello che gioca con grinta leonina contro l’Inter cancellando dal campo Muraro e propiziando il successo che significa tante cose e tante rinnovate ambizioni. Ci sarebbe un altro articolo da fare, solo per parlare di questa prestazione. Rimandiamo alla prossima occasione, convinti che non dovremo aspettare molto.

Carlo vedrà esaudito il sogno di vincere lo scudetto (anzi, saranno ben due !), ma il campo lo vedrà in rare occasioni: in tutto 24 presenze (12 in campionato, 11 in Coppa Italia e una sul palcoscenico europeo). Lascia la Juventus, con destinazione Avellino, nell’ottobre del 1982. Poi, dopo un biennio in Irpinia, ritorna all’Atalanta.

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