Non poteva esserci presentazione migliore che essere amico di Lilian Thuram – scrive Enrica Tarchi, da “Hurrà Juventus” dell’agosto 2005 –, che tutti, nell’ambiente bianconero, conoscono non soltanto come un calciatore eccezionale, ma anche come un uomo molto profondo, di grande cultura e sensibilità. Lilian ci presenta Patrick Vieira parlandone in modo semplice, genuino, ma molto incisivo: «È una brava persona, con la testa sulle spalle, è molto tranquillo e sa essere molto positivo. Il fatto che sia stato capitano dell’Arsenal e lo sia della Nazionale francese ne è una dimostrazione. Inoltre non dimentica le sue origini, sta facendo cose importanti per l’Africa».
Per il suo paese, Patrick, francese di origini senegalesi, sta facendo qualcosa di davvero speciale e lo racconta con orgoglio: «Ho aperto una scuola a Dakar, assieme a Bernard Lama e Jimmy Adjoviboco, dove i ragazzini sono impegnati al 70% con le lezioni e il 30% con il calcio. L’ho fatto, perché il nostro sport in Africa è una vera passione, è il sogno di ogni bambino, ma sappiamo bene quanto sia difficile affermarsi a certi livelli. Il mio obiettivo è che, parallelamente al sogno del calcio, gli allievi della mia scuola sognino di diventare professori, dottori, ingegneri, giornalisti. Ci sono insegnanti che vengono appositamente da fuori per far loro lezione, per farli appassionare anche ad altre cose che non siano un pallone da calcio. Se poi nel loro futuro ci sarà una carriera come la mia, bene, altrimenti ho la speranza che ci sia qualcos’altro e il nostro sport è sicuramente una leva importante per orientarli anche verso altri interessi. Io mi informo sempre di come vanno le cose laggiù, anche se a causa dei miei impegni calcistici non è facile essere presente, ma seguo con passione l’evolversi di questa struttura che presto sarà ultimata in tutte le sue parti, ma che lavora già a pieno ritmo da oramai due anni».
Eccolo il Patrick Vieira che non si conosce, il personaggio che sta alla base del grande campione che tutti apprezziamo e che i tifosi e gli appassionati di calcio amano e considerano uno dei più forti giocatori in circolazione. A volte bisogna scavare nel profondo di una persona per coglierne la vera essenza, capire come ha fatto a guadagnarsi un posto nell’élite del calcio mondiale, dove la tecnica non basta, ci vuole anche una forte personalità, una maturità che si acquisisce con il tempo, riflettendo su quello che si ha intorno, vivendo la vita e non facendosela scorrere addosso. «Quando ero ragazzino – ammette Patrick – non riflettevo abbastanza sulle cose, pensavo solo al calcio. Sono stati Bernard Lama, Jimmy Adjoviboco e Lilian Thuram ad aprirmi gli occhi. Ho capito che nella vita non c’è solo il calcio, che ci sono cose più importanti, come ad esempio aiutare la gente. Io sono nato in Africa e con il tempo ho capito che non lo dovevo dimenticare, che avevo il dovere di fare qualcosa per la mia gente. Con il mio amico Lilian, che era anche mio compagno di stanza in Nazionale e ora lo è nella Juve, si può parlare di tutto, lui ha un’opinione personale su tutti gli argomenti e questo mi piace, mi aiuta a riflettere. E una persona semplice e genuina».
È un’amicizia vera quella che lega i due assi francesi, sana e sincera, che lo ha anche aiutato a sentirsi a casa propria fin dal giorno del suo arrivo alla Juventus. Lilian lo ha preso per mano e lo ha accompagnato in un mondo in cui Patrick ha messo ben poco tempo ad ambientarsi, proprio come il suo amico fraterno aveva pronosticato. «Ci siamo conosciuti quando giocavo nel Cannes – racconta Vieira – e lui era nel Monaco, ci siamo trovati di fronte da avversari, ma la vera amicizia è sbocciata quando abbiamo iniziato a frequentarci in Nazionale».
Da allora sono successe tante cose, calcistiche e non. Patrick si è sposato, quest’estate, e Lilian ha partecipato al suo matrimonio con Cheryl. Quando è possibile, i due amici trascorrono un po’ di tempo assieme, anche se i casi della vita non li hanno mai portati, per esempio, a condividere una vacanza, ma ci sarà tempo anche per quello. «Magari – sorride Vieira – ora che viviamo nella stessa città ci troveremo per andare a giocare a golf».
Ma è ben altro che li unisce. Si capisce, anche se non lo dicono. È come un filo sottile, una corrispondenza di pensieri, una grande umanità. Ecco cosa li rende tanto speciali. Si dice che gli opposti spesso si attraggono, ma anche tra simili a volte ci si trova a meraviglia. Patrick era fortemente richiesto non solo dalla Juventus, ma anche dal Real Madrid. Zidane contro Thuram, se vogliamo fare una forzatura. Ha vinto Thuram. «Diciamo che ho vinto io – spiega Vieira – nel senso che nessuno ha influito sulla mia scelta se non io stesso. Ho riflettuto a lungo e ho scelto la strada migliore per me, e ogni giorno che passa sono sempre più convinto di aver fatto la cosa giusta».
Un ritorno, quello nel campionato italiano, che potrebbe parere una stonatura a chi, qualche tempo fa, lo aveva sentito dire che non sarebbe tornato a giocare nel nostro paese dopo uno spiacevole e inqualificabile episodio razzista che lo aveva coinvolto. «Se avessi fatto quello che avevo detto in quell’occasione, l’avrei data vinta a una minoranza. Invece sono qui, e voglio pensare solo a giocare e a vincere».
Ora che ha vinto la sua personale battaglia contro l’intolleranza, a ulteriore dimostrazione di un carattere forte e tenace, Vieira si prepara a lanciare altre sfide, questa volta sportive: «Con la Juventus voglio vincere tutto, in Italia e in Europa. La Champions League è il sogno di tutti, è una competizione difficile in cui, negli ultimi anni, è capitato che trionfassero squadre diverse da quelle che il pubblico si aspettava. Quindi non si possono fare ragionamenti sulla carta, sarà il campo a parlare, ma noi faremo del nostro meglio per trionfare in tutte le competizioni a cui partecipiamo».
Tutti vogliono che il campo alla fine dica Juve e, con una squadra così, la sfida è lanciata. Fabio Capello, che l’ha allenato nella sua breve parentesi al Milan e ora l’ha fortemente voluto, si gode con soddisfazione la coppia di centrocampo Vieira-Emerson, che considera la più forte in assoluto, in Italia e non solo. E Patrick ricorda alcuni preziosi insegnamenti ricevuti dall’attuale tecnico bianconero: «Il mister, ai tempi del Milan, mi ha insegnato il metodo di lavoro e a credere in me stesso – racconta il francese – questo mi ha fatto maturare molto fino a diventare la persona che sono. Il fatto che Capello abbia detto che fin da giovane si aspettava da me che diventassi il nuovo Rijkaard mi fa molto piacere, anche perché l’olandese è sempre stato uno dei miei idoli».
Ora si sono ritrovati alla Juventus, un club che Vieira dopo pochi giorni descrive già in modo entusiastico: «Mi sono trovato subito benissimo, questa è la squadra perfetta per me, un ambiente eccezionale circondato da un entusiasmo che mi ha davvero colpito».
Un amore a prima vista, dunque, ricambiato dai tifosi bianconeri che lo hanno accolto a braccia aperte. Un altro campione per una squadra di campioni.
FILIPPO RICCI, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 26 LUGLIO – 1° AGOSTO 2005
Patrick Vieira parla poco, e quasi sempre a proposito. Di razzismo, per esempio. Lui, nato in Africa e cresciuto in un quartiere tosto della banlieu parigina. Il Vieira calciatore non ha grandi segreti, l’uomo, decisamente riservato, qualcuno in più.
La famiglia. Ovvero la madre e un fratello, con i quali Patrick arrivò in Francia a 8 anni. La mamma è da sempre il suo punto di riferimento. Fu lei a organizzare il trasferimento in Francia, trovando lavoro come cuoca in una scuola. Il padre non riconobbe Patrick, che in pratica non ha mai conosciuto. E del quale non parla. Si sa però che la madre, Emilienne, è nata a Capo Verde, l’arcipelago al largo delle coste del Senegal. Da qui il cognome, che trova le proprie origini nel portoghese, la lingua di Capo Verde. Emilienne è conosciuta in famiglia come “Mama Rose”. «Le sono legatissimo. Lei mi è sempre stata vicina, guidandomi nei momenti difficili sin da quando ero bambino. È una donna fortissima. Quando ci trasferimmo dal Senegal alla Francia lei lavorava e andava a scuola, per studiare. Non la vedevamo molto durante il giorno, ma sapevamo che stava lavorando duro per noi, per darci ciò che volevamo e ciò di cui avevamo bisogno. Ecco perché in tutti questi anni ho sempre chiesto a lei cosa fosse meglio per me, soprattutto la scorsa estate, nei tormentati momenti di indecisione sulla questione Real Madrid».
La nuova famiglia. Il 4 giugno scorso, senza grandi clamori, Patrick si è sposato a Vence, in Francia, con Cheryl Plaza, ragazza di Trinidad e sua compagna di lungo corso. A Londra vivevano in una bellissima casa ad Hampstead, divisa con il figlio di lei, avuto da una precedente relazione e in pratica adottato dall’ex capitano dell’Arsenal.
La Francia. Quando arrivarono dal Senegal, i tre Vieira si stabilirono in un affollato appartamento nel quartiere Trappes, fuori Parigi, non lontano da Versailles. Allora, primi anni Ottanta, era un posto ruvido ma ancora non eccessivamente pericoloso. Oggi è diventato una specie di polveriera dove la commistione di razze e religioni non sembra aver funzionato a dovere.
L’Africa. «La mia identità africana aumenta con il passare del tempo, diventa sempre più importante. Quando abbiamo lasciato il Senegal, gli inizi sono stati molto difficili. Almeno parlavamo la stessa lingua, ma lasciarsi alle spalle la famiglia, gli amici, le abitudini, la cultura africana, il modo di vivere, in pratica tutto ciò che conoscevo, non è stato facile. In questi casi non sai dove stai andando, ma impari a conoscerti, a diventare più forte».
Il Senegal. Dopo averlo lasciato nel 1984, Vieira vi è tornato per la prima volta nel 2003, un viaggio emozionante alla scoperta delle proprie radici, per aprire una scuola calcio. «Era importante per me riconnettermi con il Senegal, tornarci portando qualcosa, in questo caso il progetto Diambars. Gli africani emigrati in Europa che tornano a casa non lo fanno mai a mani vuote, e per me è stato lo stesso, almeno in senso ideale».
Il progetto Diambars. Lanciato nell’estate 2003, è oggi in pieno sviluppo grazie alla continua raccolta fondi operata in prima persona da Vieira. Si tratta di un centro di formazione che abbina calcio e studio ed è riservato a una cinquantina di bambini. La parola Diambars in lingua Wolof vuol dire “guerrieri”, nel senso più nobile del termine. La sede è a Saly, centro della costa senegalese un’ottantina di chilometri a nord di Dakar. Vieira è il fondatore dell’accademia, insieme agli ex giocatori Bernard Lama e Jimmy Adjovi Boco. «Normalmente chi in Africa lancia delle scuole calcio lo fa solo a scopo di lucro, per vendere i giocatori. Non si pensa all’istruzione dei bambini, ai danni provocati da distacchi spesso brutali dalle famiglie e dalle proprie radici. Il calcio in Senegal è importantissimo, e noi vorremmo usarlo come mezzo di insegnamento e di formazione per i bambini. Vorrei far loro capire che solo lavorando duro si possono ottenere risultati. All’inizio ne sono arrivati alcuni che non sapevano leggere e scrivere. I progressi sono stati evidenti. Ora tutti leggono e scrivono, anche le loro storie. E giocano a calcio. Gli paghiamo l’università in Europa, e se non riescono a diventare calciatori, strada che è sempre decisamente complicata, avranno comunque l’istruzione e potranno tomare a casa con qualcosa in mano».
Che si tratti di fior di campione, lo si nota al primissimo impatto. Nel Trofeo Berlusconi, che costa caro a Buffon seriamente infortunato, Vieira canta e porta la croce, segnando il gol di apertura e correndo come un pazzo, a destra e a sinistra, a pressare e proporre. E in campionato, meglio di così non si può iniziare. A Empoli, alla seconda giornata, si conferma uomo ovunque, anche sotto porta avversaria; la sua rete è dirompente, sembra quasi voler annichilire gli avversari quando avanza o prende posizione sui calci piazzati. Risolve alla sua maniera la delicata trasferta di Udine, appena tre giorni dopo concede il bis a Parma, altro campo complicato.
Certo, non sono sempre rose e fiori; a volte va fuori misura esasperando la parte atletica a scapito della tecnica, ma certo tutto si può dire di lui tranne che tolga il piede prima del contrasto. Qualche infortunio e alcuni stop legati a squalifica limano a volte il suo contributo alla causa, che resta comunque importante. Risolutivo a Chievo alla prima di ritorno, poi un po’ appannato, Patrick riconquista tutta la considerazione di compagni e tifosi nella decisiva trasferta di Siena, che diventa una passeggiata dopo che lui ha risolto, di testa, sovrastando compagni e avversari, il problema di rompere il ghiaccio, segnando il primo gol.
Una stagione, la 2005-06, positiva, suggellata da prestazioni di spessore, al Mondiale tedesco, con la maglia della Nazionale francese. Poi, il rifiuto di giocare in Serie B e il trasferimento all’Inter. «La Juve nella quale sono stato io è una delle squadre più forti nelle quali abbia mai giocato e il mio anno a Torino è stata un’esperienza molto positiva. Me ne sono andato dopo un solo anno perché non volevo rimanere in Serie B. Mi è dispiaciuto, ma questa è la vita di un calciatore. Quella stagione in bianconero, però, è stata davvero bella».
Negativissimo contro l'Arsenal, dove si è fatto perfino espellere: grande giocatore, ma al momento buono non c'è mai stato.
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